MENDELSSOHN (Mendelssohn-Bartholdy), Jakob Ludwig Felix
Musicista, nato ad Amburgo il 3 febbraio 1809 da Abramo M. banchiere, figlio di Moses M. (v.) e Lea Bartholdy, essa pure di cospicua casata di finanzieri, il cui cognome fu aggiunto al proprio da Abramo M., allorché questi passò dalla religione ebraica alla protestante. Stabilita la famiglia nel 1811 a Berlino, il piccolo Felice e la sorellina Fanny, di tre anni maggiore, ricevettero la prima educazione musicale dalla madre: ambedue i fanciulli mostrarono precocissime attitudini all'arte. A nove anni Felice suonava la prima volta in pubblico, sostenendo con sicurezza la parte del pianoforte in un Trio di E. W. Wolf; a dieci era ammesso fra i contralti della Singakademie. Il tono di vita semplice, signorile e nutrito di buona cultura condotto dai M. era quanto mai favorevole all'educazione dei figliuoli, nel frattempo cresciuti a quattro con Rebecca (1811, cantatrice) e Paolo (1813, violoncellista). Alla guida materna succedevano, per le varie discipline, maestri di grido: oltre all'umanista L. Heyse (padre del poeta Paolo H.), ospitato come precettore per le lingue modeme e classiche, il giovinetto Felice ebbe la guida di K.F. Zelter, l'amico e corrispondente di Goethe, per la composizione, del Roesel per il disegno e la pittura. L'innata versatilità gli fece trarre profitto dagli studî svariati: egli riuscì infatti chiaro scrittore, abile traduttore dal latino e dal greco (una traduzione dell'Andria di Terenzio gli valse i complimenti di Goethe) e buon disegnatore. Più tardi seguì con interesse i corsi di Hegel, in particolare le lezioni d'estetica, nell'università di Berlino. Ma al rapidissimo irrobustirsi del suo talento d'artista giovarono soprattutto i concerti ch'egli allestiva ogni domenica nella casa paterna, per i quali aveva a disposizione solisti, cori e una piccola orchestra. Così accanto alle pagine classiche e alle contemporanee più ardue e audaci (il padre non amava Beethoven: lo qualificava "romantico", cioè avventato e fumoso, e l'adolescente M. aveva pena a difenderlo) egli poteva udire e far udire, preziosa esperienza, le pagine proprie: sonate per pianoforte solo o con violino, brevi cantate e minuscole opere, Lieder, canzoni corali, ecc. Dello spirito romantico propriamente detto egli aveva fatto i primi assaggi nel 1821, conoscendo il Weber, per il quale s'era acceso d'entusiasmo: ma a temperare simili ardori valeva lo Zelter e, per il tramite di lui, l'ombra a un tempo maestosa e sarcastica di Goethe. A questi lo Zelter l'aveva presentato nello stesso 1821. Tre anni dopo, eseguita in casa M. la quarta opera del giovinetto (I due nipoti), il maestro scriveva al poeta: "... Per parte mia non so riavermi dallo stupore. È un fanciullo che non ha ancora quindici anni, e ciò che fa è musica, vera musica, originale, nuova, piena di grandezza e di carattere. Tutto vi scorre di vena, con serenità e ampiezza... Impossibile mostrare maggior abilità nell'uso delle voci e spiegare nella strumentazione un genio al tempo stesso più ardito e più spontaneo... Vivacità, gaiezza, monelleria, melanconia, passione, tenerezza, amore: v'è tutto, e in più una vernice d'innocenza e di giovinezza che fa piacere e commuove...". Le qualità enunciate dal vecchio maestro, che in quella stessa occasione promoveva solennemente il discepolo a "compagno d'arte", sono in realtà quelle che anche oggi possiamo apprezzare più di frequente nel M.
Per il quale dal 1825 comincia la vera vita d'artista. Torna col padre - vi era già stato sei mesi nel 1816 - a Parigi: tra le molte conoscenze musicali che stringe v'è quella del "burbero" Cherubini. L'anno seguente, di nuovo a Berlino, scrive la mirabile ouverture al Sogno d'una notte d'estate di Shakespeare: pagina di stupenda lievità e finitezza nella quale il maestro diciassettenne attinge di colpo le vette della sua arte (la musica di scena per la stessa commedia è di quindici anni più tardi). Quindi, dopo un unico e mediocre pubblico esperimento teatrale (Le nozze di Gamaco, 1827) e una magnifica affermazione quale direttore di concerti (la memorabile esumazione della Passione secondo Matteo di G. S. Bach alla Singakademie, 1829), ha luogo il suo primo viaggio a Londra per dirigervi, acclamatissimo, opere proprie; e di lì in Scozia. Del '30, preceduto da alcune settimane di sosta a Weimar, dove ha benigna e lieta accoglienza da Goethe, è il viaggio in Italia. Venezia e Firenze lo incantano: a Venezia non si stanca di ammirare Tiziano, "uomo che sa come le cose si svolgono in Cielo e come in terra: che non ignora né l'estremo dolore né l'estrema felicità". Ma soprattutto Roma lo commuove: "La singolarità di Roma è quella di rappresentare la grandezza calma e sicura di sé. E mentre altrove le rovine esprimono distruzione e fanno pensare al nulla, qui al contrario sorgono fieramente, quasi trofei monumentali d'etema potenza". A Roma frequenta il Thorwaldsen e Orazio Vernet, allora direttore dell'Accademia di Francia a Villa Medici; l'amore per la polifonia classica (Palestrina, Allegri) lo spinge a intrattenersi con l'erudito e paziente raccoglitore d'un prezioso archivio musicale, l'abate Santini. Per la musica italiana contemporanea, invece, non ha alcuna tenerezza. Compone l'ouverture Le Ebridi (La Grotta di Fingal), ricordo del viaggio in Scozia; tre mottetti per il modesto coro di monache della Trinità dei Monti, alcuni Lieder. Nel 1832, ripassato da Parigi ove s'ammala di colera, torna in Inghilterra e fra l'altro vi pubblica il primo volume delle Romanze senza parole. Morto frattanto lo Zelter, il M. avrebbe desiderato succedergli nella direzione della Singakademie berlinese: il desiderio non fu esaudito. Ebbe incarichi di direzione d'orchestra a Düsseldorf e a Colonia, finche, nell'agosto 1835, fu chiamato a dirigere i concerti del Gewandhaus di Lipsia, ch'egli con magica efficacia d'interprete e col crescente prestigio di compositore innalzò in pochi anni a fama europea. L'anno 1836 è contrassegnato nella vita del M. dall'esecuzione, a Düsseldorf, di quello che fra gli Oratorî è il suo capolavoro: Paulus, e dalla nomina a dottore in filosofia honoris causa decretatagli dall'università di Lipsia; il 1837 dal matrimonio con Cecilia Jeanrenaud dalla quale, in unione perfetta, ebbe cinque figli. Nel 1843, devoluto a ciò un lascito Blümner di 60.000 marchi, del quale il re di Sassonia poteva disporre per un fine d'arte, M. assistito da un gruppo di amici fondava a Lipsia il conservatorio di musica, avendovi tra i primi maestri Roberto Schumann e Ferdinando David. Fin dal 1841, chiamato dal re di Prussia Federico Guglielmo IV, egli divideva la sua attività tra Lipsia e Berlino; quivi diresse la prima esecuzione delle musiche composte, a invito del re, per l'Antigone di Sofocle (cori virili e orchestra) e poi, assunto al grado di Generalmusikdirektor, le pagine orchestrali e vocali per Edipo a Colono e per l'Atalia di Racine. Ma Lipsia ormai era il suo centro preferito. Se ne allontanò per una stagione di concerti a Francoforte s. M., tra il 1844 e il '45; e nell'estate del '46 per dirigere a Birmingham la prima esecuzione dell'oratorio Elia, trionfalmente accolto. Al ritorno da quest'ultino viaggio ebbe, improvvisa, la notizia della morte, per congestione cerebrale, della diletta sorella e compagna d'arte, Fanny. Non si riebbe dall'accoramento. Pochi mesi dopo (4 novembre 1847) soccombeva anch'egli, trentottenne, allo stesso male. La salma, esposta dapprima in San Paolo di Lipsia, al suono del dolente preludio che accompagna nell'Antigone i passi di Creonte portante il corpo inanimato del figlio, fu trasportata a Berlino e sepolta accanto a quella della sorella, nella chiesa della Trinità.
L'artista. - Il giudizio che M., in una lettera da Roma, dava del pittore Orazio Vernet (".. . nulla di più agevole, di meno impettito del suo lavoro. Qualunque figura gli sembri espressiva è fissata da lui senza altro sulla tela, in minor tempo che non occorra a noi profani per decidere se essa meriti o no il nostro interesse...") può in un certo senso rivolgersi a lui medesimo quale compositore. Anche il M. ha goduto la stessa fecondità che ammira nel Francese: "fecondità preziosa, che facendo risparmiare un tempo considerevole, riesce ai più felici effetti: poiché īl lavoro piu̇ scorrevole è di solito anche il migliore, e la freschezza d'esecuzione, la serenità di spirito che ne provengono sono inestimabili". Ma ne ha pur patito i danni, da parte specialmente della critica moderna che lo ha accusato di melodiosità superficiale e sentimentale, di fredda politezza, di stemperata formalistica prolissità. E l'accusa, per certe parti dell'opera sua, e proprio per le più popolari, non è infondata. Al M. fanno difetto sovente il forte senso drammatico, l'espressione pregnante, il vigore della sintesi. Il suo spirito è fluidamente lirico e ama distendersi nella tranquilla obiettiva grazia del narmtore, piuttosto che impegnarsi in profondità o tentare avventure rischiose in fatto d'armonia, di ritmo e di colorito. Ma là ove si concentra non gli mancano accenti intensi: o contenuti in maschia e severa dolcezza, come nell'adagio della sinfonia Lobgesang, o innalzati a epica grandiosità come spesso nel Paolo e nell'Elia, nei quali si riflettono degnamente i grandi modelli Bach e Händel.
È nota l'ammirazione che all'autore dei cori per l'Antigone e del magico tessuto orchestrale della Melusina e delle Ebridi tributò Schumann, al quale pareva non passasse giorno senza che dall'armonioso animo del M. uscissero "almeno due idee degne d'essere senz'altro incise in note d'oro". In realtà ingegno limpidissimo e finissimo, delicatamente sensibile, superiormente colto, tecnicamente ferrato, il M. ebbe come pochi il dono della cantabilità suasiva, serena, spontaneamente tenera e arguta. Ma il paragone con Mozart, che lo stesso Schumann osò recensendo il Trio op. 49, denuncia la differenza di primigenia freschezza tra l'uno e l'altro. Meglio forse la formula di "classico fra i romantici" (idealismo classico di derivazione goethiana e corrente romantica esemplata principalmente in Weber), può far intendere la fusione tra il gusto personale e la spiritualità circostante che si concreta nell'opera sua, e mostrare con gl'innegabili valori i limiti del suo temperamento d'artista.
Opere: Dall'opera 1 a 72 pubblicate in vita; da 73 a 121, oltre a diverse senza numero, postume: tutte raccolte nell'edizione curata da J. Rietz, Lipsia, Breitkopf e Härtel, 1874-76.
1. Sinfonie: I, op. 11; II (Sinfonia-cantata, Lobgesang), op. 52; lII (Scozzese), op. 56; IV (Italiana), op. 90; V (Riforma), op. 107.
2. Ouvertures: Le nozze di Gamaco, op. 10; Sogno d'una notte d'estate, op. 21; Ouv. per Banda, op. 24; Le Ebridi, op. 26; Meeresstille und ghückliche Fahrt, op. 27; La beila Melusina, op. 32, Die Heimkehr aus der Fremde, op. 89; Ruy Blas, op. 95; Ouv. delle Trombe, op. 101.
3. Orchestra e strumenti solisti: con pianoforte: Concerti, opere 25 e 40; Capriccio brillante, op. 23; Rondò, op. 29; Serenata e Allegro gioioso, op. 43; Duo concertante sulla Marcia di "Preciosa" (Weber), in collaborazione con I. Moscheles, due pianof. e orch., s. num.; con violino: Concerto, op. 64.
4. Oratorî: Paulus, op. 36; Elias, op. 70; Christus (incompl.), op. 97; Salmi per soli, coro e orch.: 115, op. 31; 42, op. 42; 95, op. 46; 114, op. 51; 98, op. 91. Inoltre: Lauda Sion, op. 73; Tu es Petrus, op. 111. Senza orch.: Mottetti, opere 39 e 69; Versetti, op. 79; Canti spirituali, opere 112 e 115.
5. Teatro e musica di scena: Sogno d'una notte d'estate, op. 61; Atalia, op. 74; Antigone, op. 57; Edipo a Colono, op. 93. Inoltre: finale 10 atto d'una Loreley, incompl., op. 98, n. 1.
6. Musica da camera: per archi: Ottetto, op. 20; Quintetti, opere 18 e 87; 6 Quartetti, opere 12, 13, 44 (n. 1, 2, 3), 88; Andante, scherzo, capriccio e fuga, op. 81; Quartetto in mi bem., s. num. Con pianoforte: 3 Quartetti, opere 1, 2, 3; Sestetto, op. 110; Trii, opere 49 e 66; Sonata per pianof. e violino, op. 4; Variazioni e due Sonate per pianof. e violoncello, opere 17, 45, 58; 2 Pezzi di concerto per pianof., clarinetto e corno di bassetto, opere 113 e 114.
7. Per pianoforte solo: Capriccio, op. 5; Sonata. op. 6. Pezzi caratteristici, op. 7; Rondò capriccioso, op. 14; Fantasie e capricci, opere 15, 16, 28, 33, 118; Romanze senza parole, opere 19 b, 30, 38, 53, 62, 67, 85, 102; Preludî e fughe, op. 35; Preludî e Studî, op. 104; Variazioni, op. 54 (sérieuses), 82, 83; Pezzi infantili, op. 72; Sonate, opere 105 e 106; Moto perpetuo, op. 119 e altre composizioni minori o s. num.
8. Per organo: 3 Preludî e fughe, op. 37; 6 Sonate, op. 65.
9. Liriche vocali: a una voce e pianoforte: 73 Canti e Lieder, opere 8, 9, 19, 34, 47, 57, 71, 84, 86, 99; alcuni s. num.; 13 Lieder a due voci opere 63 e 67; Cori religiosi, op. 115, e Lieder a sei voci virili, opere 50, 75, 106, 120; 28 Canti a quattro voci miste, opere 41, 48, 59, 88, 100.
Bibl.: Oltre le lettere del M. (pubblicate dal fratello Paolo in due serie: 1ª, 1830-32, 5ª ed., Lipsia 1882, e IIª, 1833-47, ivi 1863; trad. ital. di C. Barassi, voll. 2, Milano 1895; altre in: F. Hiller, F. M. Briefe u. Erinn., Colonia 1874; E. Moscheles, Briefe von F.M. and I. und C. Moscheles, Lipsia 1888; A. A. Rolland, Lettres inéd. de M., Parigi s.a.), v.: C. Mendelssohn (primogenito del musicista), Goethe e F.M., Lipsia 1871; F. Hiller, F.M., 1874; E. David, Les M.-B. et R. Schumann, Parigi 1887; S. Henselt, Die Familie M., voll. 2, 19ª ed., Lipsia 1924; W. A. Lampadius, F. M.-B., Lipsia 1886; E. Wolff, M., Berlino 1906; C. Bellaigue, M., Parigi 1907; P. de Stoecklin, M., ivi 1907; W. Dahms, M., Berlino 1919; F. G. Edwards, The Hist. of M.s Orat. Elijah, Londra 1900; A. Eccarius-Sieber, M.s Klavierstil u. Klavierw., in Die Musik, 1908-09; R. Hohenemser, Über F. M.s geist. Musik, ivi 1908-09.