SAINT-PIERRE, Jacques Henri-Bernardin de
Scrittore francese, nato a Le Havre il 19 gennaio 1737, morto a Éragny (Seine-et-Oise) il 21 gennaio 1814. Di condizione civile, con pretese di nobiltà (il padre, direttore delle messaggerie, si vantava discendente del popolare Saint-Pierre, eroe di Calais), compì gli studî classici dai gesuiti, prima a Caen, poi a Rouen, distinguendosi nelle matematiche. Le più vive impressioni della sua adolescenza furono un viaggio alla Martinica, la lettura del Robinson Crusoe, lunghe passeggiate a mare, e le tenerezze della madre. Sarebbe egli stato così, secondo le sue parole compiaciute, "un enfant à la fois rêveur, exalté, passionné d'aventures". Avventuroso fu, in realtà, da giovane; per il resto sembra sia rimasto tutta la vita quello che le indulgenze materne ne avevan fatto: tenero, puerilmente presuntuoso e suscettibile all'eccesso, sempre disposto a scusare sé stesso e a rimproverare agli altri (vale a dire alla "società" e alla "civilizzazione") quell'assenza di scrupoli e quell'egoismo di cui egli stesso diede più volte palese prova.
Orfano di madre, entrò nel 1757 all'École des Ponts et Chaussées, che venne però chiusa l'anno seguente, lasciandolo a studî incompiuti, senza titolo. Lo troviamo nel 1760 alla campagna di Assia, come sottotenente del genio, e l'anno dopo alla spedizione di Malta, come "ingegnere geografo": impieghi che dovette quasi subito abbandonare. Poi a Parigi, dove dava lezioni di matematica e assumeva il nome di Chevalier de Saint-Pierre; di lì in viaggio verso la Russia, col preteso scopo di fondare una colonia egualitaria sulle rive del Lago Aral: per Amsterdam, Lubecca e Pietrogrado, cercando ovunque denaro e protezione. A Mosca, strumento del de Villebois, diventò capitano del genio e, pare, amante dell'imperatrice Caterina II. Caduto in disgrazia, passò a Varsavia, dove esercitava lo spionaggio per il residente di Francia e faceva all'amore con una principessa; quindi a Vienna, poi a Dresda, legato ad una cortigiana, e a Berlino, alla corte di Federico il Grande.
Ritornato in Francia, la protezione del barone di Breteuil gli ottenne il grado di capitano-ingegnere del re, all'Île-de-France (cioè l'Isola Maurizio). Compì laggiù un'esplorazione attorno all'isola guadagnandosi l'accusa di maltrattamenti ai portatori negri; e liti e incidenti varî lo spinsero presto al ritorno. A Parigi, amico di Rousseau e di d'Alem, bert, introdotto nei saloni letterarî, decise di scrivere; uscirono così, nel 1773, il Voyage à l'Île-de-France, par un officier du roi, de Bourbon au cap de Bonne-Espérance (Amsterdam e Parigi, 2 volumi), e nel 1784 i primi tre volumi delle Études de la nature, cui fecero seguito il famoso romanzetto di Paul et Virginie (1789), e il racconto La Chaumière Indienne (1790). Libri che ebbero immenso successo, e gli fruttarono donativi, pensioni e favori d'ogni genere. Luigi XVI lo nominò intendente del Jardin des Plantes; la rivoluzione, professore di morale all'École Normale. Fu dell'Institut alla sua fondazione (1795), pensionato e decorato da Napoleone. Felicité Didot, figlia del suo editore, si innamorò di lui e gli portò ricca dote, avendone in cambio maltrattamenti. Vedovo più che sessantenne sposò la giovanissima Désirée Pelleport, passando placidamente con lei gli ultimi anni tra Parigi e la sua proprietà di Éragny, dove lo colse la morte. La vedova sposò il letterato Aimé Martin.
Il S.-P. scrisse inoltre: Vœux d'un solitaire, pour servir de suite aux Études de la nature (1789); De la Nature, de la Morale (1798); La mort de Socrate, dramma (1808); Essai sur J.-J. Rousseau; Récits de voyage, ecc.; Harmonies de la nature (1815). Aimé Martin pubblicò dopo la sua morte Œuvres complètes (voll. 12, 1818-20); Correspondance (voll. 4, 1826); Œuvres posthumes (voll. 2, 1833-36); Opuscules (voll. 2, 1834)
Egli fu impareggiabile divulgatore, in tutti i suoi scritti, delle utopie naturistico-umanitarie allora tanto in voga: fu il più autentico pittore della natura, romanziere dell'innocenza, moralista religioso-anticlericale. La sua filosofia di evidente derivazione rousseauiana (un poema epico da lui progettato doveva celebrare, sotto il titolo di Arcadia, i tre stadî dell'umanità: barbarie, natura e corruzione) è però così grossolana da parere piuttosto una parodia. Tutto l'universo non è per lui che una macchina gigantesca montata dalla Provvidenza per procurare il benessere dell'uomo: armonie, concerti, convenienze, previdenze, fino agli stessi contrasti, che diventano armonie. I mali dell'umanità derivano dall'ateismo, dalla ricchezza o dalla scienza: tre forme diverse della stessa condannabile "vanità egoistica", di natura demoniaca.... Pure il suo posto nella storia della letteratura è notevole, perché questo idilliaco semplicista fu un incomparabile osservatore degli spettacoli naturali e un vivacissimo descrittore, con uno stile d'una purezza e facilità straordinarie. Del suo Voyage à l'Île-deFrance fu detto con ragione che egli aveva inventato il viaggio pittoresco. Le sue descrizioni di tempeste, le sue marine, le sue foreste tropicali, i suoi tramonti, fecero epoca. L'idillio di Paul et Virginie, lagrimoso e piuttosto insipido nelle passioni e nei caratteri, vive ancor oggi soprattutto per la magica evocazione dell'ambiente. Chateaubriand, e attraverso lui la prosa francese di tutto il sec. XIX, molto gli debbono. L'audacia nell'usare parole tecniche, termini botanici e scientifici in sede puramente letteraria, rompendo gli schemi del classicismo, la straordinaria ricchezza e precisione della sua tavolozza, portarono una vera rivoluzione nello stile poetico.
Bibl.: A. Martin, Essai sur la vie de B. de S.-P., Parigi 1820 (con supplemento, ivi 1926); Ch.-A. de Sainte-Beuve, Causeries du Lundi, IV; Prévost-Paradol, Éloge de B. de S.-P., Parigi 1852; A. Barine, B. de S.-P., ivi 1891; F. Maury, Études sur la vie et les œuvres de B. de S.-P., ivi 1892; M. Souriau, B. de S.-P. d'après ses manuscrits, ivi 1905; G. Lanson, Un manuscrit de "Paul et Virginie", in Revue du mois, aprile 1908.