Doillon, Jacques
Regista cinematografico francese, nato a Parigi il 15 marzo 1944. Autore dotato di originale espressività narrativa, è considerato uno dei più significativi esponenti della generazione successiva alla Nouvelle vague in quanto rappresentante di un cinema di ricerca, basato sul primato della ripresa e della recitazione e su sistemi di produzione indipendenti e di basso costo che ne hanno accentuato la forte impronta autoriale. Nel 1979 ha ottenuto al Festival di Cannes il Prix du jeune cinéma con il film La drôlesse.
Dopo quasi un decennio di lavoro, prima come montatore e poi come regista di documentari e di un lungometraggio pervaso da spirito collettivo e sessantottesco, L'an 01 (1972, con episodi diretti da Jean Rouch e Alain Resnais), D. si fece notare nel 1974 con il suo secondo film, Les doigts dans la tête, essenziale ritratto in interni di alcuni diciottenni parigini di estrazione popolare, con i loro instabili rapporti sentimentali, elogiato anche in un articolo-investitura di François Truffaut uscito l'anno successivo. Con questo, che fu il suo vero film d'esordio, il regista entrò in un mondo, quello dei giovani con i loro amori e le loro emozioni, che resterà tema costante di tutta la sua filmografia. Dopo Un sac de billes (1975), interpretato da bambini e a essi destinato, di ambientazione storica e impianto industriale, la sua produzione continuò a crescere intensissima alla media di un'opera all'anno, anche grazie a originali soluzioni produttive e di casting che lo indussero a volte a recitare nei suoi film o a farvi lavorare le figlie, gli amici e i collaboratori. Questa dimensione familiare è connessa, oltre al frequente protagonismo infantile, all'interesse per le tematiche parentali e le ambientazioni domestiche, evidente a partire da La femme qui pleure (1978) e nell'esemplare La vie de famille (1985; Vita in famiglia). Ma anche in La drôlesse, fra il giovane ritardato e la ragazzina da lui rapita si instaura una sorta di ménage familiare, mentre in La fille prodigue (1981) ‒ in cui compare per la prima volta Jane Birkin, sua seconda moglie e interprete di altri suoi film ‒ centrale è il rapporto fra una figlia adulta e il suo vecchio genitore; notevoli figure di anziani sono presenti anche nei successivi L'arbre e Monsieur Abel, rispettivamente del 1982 e del 1983.
È stato però a partire da La pirate (1984) che il cinema di D. si è concentrato più esplicitamente sulla fisicità degli attori, sui movimenti della cinepresa, su piani-sequenza insistiti pur non escludendo un intenso coinvolgimento emozionale dei personaggi e degli stessi interpreti sul set. In questa linea si collocano, con spunti narrativi diversi, i successivi film La tentation d'Isabelle (1985), La puritaine (1986; La puritana), Comédie! (1987), La vengeance d'une femme (1990; La vendetta di una donna), Un homme à la mer (1993), tutti presentati nei maggiori festival e spesso bersagliati di critiche da parte del pubblico meno disponibile a questo cinema astratto e arabescato, ma solo apparentemente gratuito.Con Le petit criminel (1990) il cinema di D. ha ritrovato accenti sociali, riapparsi sia nel ritratto collettivo dei giovani liceali parigini di Le jeune Werther (1993), sia in quello dei ragazzi emigrati e di periferia di Les petits frères (1999). Ma il suo interesse per le età più acerbe e la sfida registica di lavorare con interpreti sempre più naturali lo hanno portato anche al mirabile Ponette (1996, premiato a Venezia per la migliore attrice protagonista, Victoire Thivisol), esempio estremo della capacità di coinvolgere una bambina di quattro anni in una tragica vicenda familiare. Nello stesso periodo Du fond du cœur: Germaine et Benjamin (1994), sofisticato serial girato con la tecnologia digitale in dodici puntate, sulla relazione amorosa e intellettuale fra Benjamin Constant e Madame de Staël, o il ritratto televisivo Nathalie Sarraute (1995) hanno evidenziato tutta la ricchezza di interessi sia tematici sia professionali del regista, al quale la tecnologia digitale ha continuato a fornire nuovi stimoli estetici e produttivi, come in Carrément à l'Ouest (2001), ennesimo, sempre uguale e sempre diverso, gioco d'amore e di violenza, di sfrontatezze e di reticenze, fra giovani di varia identità sociale, che ha esaltato la maestria e la sensibilità dell'autore nel mettere in scena corpi e spazi, linguaggi e sentimenti.
A. Philippon, Jacques Doillon, Dunkerque 1991; Questa tensione verso l'utopia, conversazione con Jacques Doillon a cura di E. Bruno, in "Filmcritica", 1994, 144, pp. 147-56; A Farassino, Jacques Doillon, Milano 2000.