Derrida, Jacques
Filosofo francese, nato a El - Biar (Algeri) il 15 luglio 1930. Considerato uno dei più importanti maîtres à penser della seconda metà del 20° sec., le sue riflessioni sono state spesso utilizzate come strumenti interpretativi sia dalla critica cinematografica sia da quella letteraria.
Trasferitosi in Francia nel 1949, nel 1952 si iscrisse alla facoltà di Filosofia dell'École normale supérieure di Parigi, dove si laureò con una ricerca su E. Husserl. Nello stesso Istituto ha insegnato come assistente dal 1965 al 1984, tenendo contemporaneamente corsi alla Sorbona; a partire dagli anni Settanta ha insegnato anche in alcune università statunitensi (Johns Hopkins University, Yale, University of California a Irvine). Nonostante la lunga attività didattica, ha ottenuto la libera docenza soltanto nel 1980. Dal 1983 è diventato direttore del Collège international de philosophie di Parigi, da lui stesso fondato. È apparso come attore (nella parte di sé stesso) in Ghost dance (1983) di Ken McMullen, in D'ailleurs, Derrida (1999) di Safaa Fathy e in Derrida (2002) di Amy Z. Kofman e Kirby Dick.Di formazione fenomenologica, studioso di F. Nietzsche, M. Heidegger e E. Levinas, della psicoanalisi e dello strutturalismo, D. ha discusso il problema heideggeriano della "differenza ontologica", proponendo una critica radicale della metafisica occidentale e del suo logocentrismo. In questo contesto ha elaborato il concetto di "decostruzione", inteso non tanto come metodo di analisi critica o di interpretazione dei testi consegnati alla tradizione, quanto come atto filosofico che indaga le strutture e i problemi della metafisica attraverso la forma con cui questa si trasmette, vale a dire la scrittura. Il concetto di "decostruzione" è entrato ben presto nel vocabolario concettuale della teoria del cinema (soprattutto di area angloamericana), spesso utilizzato come metodo di lettura del film più che come concetto filosofico. Dopo la sua esperienza, assai particolare, di attore, D. ha iniziato a interessarsi alla forma cinematografica, individuando in essa la dimensione di una messa in scena del fantasma ‒ inteso come fenomeno al limite tra il visibile e l'invisibile, tra la presenza e l'assenza ‒ che avvicina il cinema alla ricerca filosofica, essendo quest'ultima da sempre, secondo il filosofo francese, ossessionata dalla dimensione spettrale dei concetti. Il cinema quindi (e più in generale, ogni forma di produzione di immagini in movimento) è visto da D., da una parte come esperienza legata a un piacere immediato, infantile, preconcettuale, dall'altra, soprattutto nella pratica del montaggio o nel differimento del corpo filmato rispetto al corpo reale, come pratica analoga al discorso filosofico della decostruzione.Tra i suoi scritti di analisi del mezzo cinematografico e televisivo, si ricordano: Échographies de la télévision, in collaborazione con B. Stiegler, 1996 (trad. it. 1997, in partic. pp. 115-38); Tourner les mots. Au bord d'un film, in collaborazione con S. Fathy, 2000; Le cinéma et ses fantômes, in "Cahiers du cinéma", 2001, 556, pp. 74-85.
P. Brunette, D. Wills, Screen/play. Derrida and film theory, Princeton 1989.
M. Ferraris, Postille a Derrida, Torino 1990.
S. Fathy, Tourner sous surveillance, e Tourner sous tous les fronts, in J. Derrida, S. Fathy, Tourner les mots: Au bord d'un film, Paris 2000, pp. 27-70 e 127-67.
Pensare al cinema, in "Aut-aut", 2002, 309 (in partic. P.A. Rovatti, Di alcuni motivi che legano la filosofia al cinema, pp. 29-37).