Demy, Jacques
Regista cinematografico francese, nato a Pontchâteau (Loire-Atlantique) il 5 giugno 1931 e morto a Parigi il 27 ottobre 1990. In un periodo in cui il cinema sembrava andare sempre più verso la 'realtà', D. si mosse controcorrente, nella dimensione del classico, con evidente simpatia per i generi più vicini all'idea di 'sogno', dal musical alla favola, che seppe rivisitare alla luce di una concezione della vita malinconicamente giocata sull'aleatorietà dei rapporti umani. Nei suoi film, magici e incantati come sono i desideri, le speranze e le illusioni, basta un nulla perché un destino cambi radicalmente: i protagonisti si incontrano e si perdono, quasi sempre per caso, si avvicinano per un istante, sufficiente a far nascere improvvisamente un nuovo amore, e poi tornano ad allontanarsi, in un girotondo ineluttabile e amaro, dove un attimo di ritardo o una strada sbagliata possono indirizzare l'esistenza verso un differente futuro. D. ottenne nel 1956 un premio al Festival di Berlino con il cortometraggio Le sabotier du Val de Loire, con il quale aveva esordito come regista, mentre nel 1964 il suo film Les parapluies de Cherbourg vinse la Palma d'oro al Festival di Cannes.
Dai luoghi dell'infanzia, trascorsa nel piccolo paese natale, vicino a Nantes, dividendo il suo tempo fra il garage del padre e il bar della nonna, frequentato da gente di mare, sarebbe nato il suo amore per i racconti, i porti e i marinai. Dopo gli studi di Belle Arti, svolti a Nantes, frequentò l'École technique de photographie et de cinématographie di Parigi e iniziò a lavorare come assistente di Paul Grimault (1952) e di Georges Rouquier (1954). Le sabotier du Val de Loire fu il primo cortometraggio di sapore autobiografico di una serie che si sarebbe conclusa, nel 1959, con Ars, storia di un curato che, a detta di D., aveva fatto per la parrocchia di Ars quello che François Truffaut aveva fatto per il cinema francese: "un tipo che prende la parola e che parla un po' più forte degli altri". Erano quelli gli anni della Nouvelle vague, e D., pur essendo amico di Truffaut, Jean-Luc Godard, Eric Rohmer e Jacques Rivette, restò ai margini del movimento: infatti fece delle brevi apparizioni come attore in Les 400 coups (1959; I quattrocento colpi) di Truffaut, e in Paris nous appartient (1961; Parigi ci appartiene) di Rivette, partecipò come regista, con l'episodio La luxure (La lussuria), al film collettivo Les sept péchés capitaux (1962; I sette peccati capitali), firmato, tra gli altri, anche da Godard, Claude Chabrol, Roger Vadim, ma non svolse attività di critico militante sui "Cahiers du cinéma", e neppure condivise fino in fondo l'esigenza fortemente innovativa, dal punto di vista sia tematico sia stilistico, di quel movimento.
Il delicato mondo poetico di D. si rivelò compiutamente già nel suo primo lungometraggio, Lola (1961; Lola, donna di vita), ispirato fin dal titolo al cinema di Max Ophuls e incentrato sulla storia di una cantante di un piccolo locale a Nantes (magistralmente interpretata da Anouk Aimée) che occasionalmente si prostituisce per crescere il figlio avuto da un uomo che l'ha lasciata. Questi, dopo aver fatto fortuna, la ritrova e ricomincia con lei e il bambino una nuova vita. Il soggetto, scritto dallo stesso regista, è svolto con un tocco aggraziato, attraverso l'uso avvolgente della macchina da presa ‒ che segue la danza di persone, corpi e oggetti, dando prova di un notevole senso dello spazio ‒ e il ricorso a un bianco e nero espressivo e sentimentale, cui fa da contrappunto il romantico commento musicale di Michel Legrand. Nella scelta di un trasognato happy end, che caratterizza anche La baie des anges (1963; La grande peccatrice), in cui D. affronta, coadiuvato da una straordinaria Jeanne Moreau, insolitamente bionda, il tema del gioco d'azzardo, già traspare quello sfrenato amore per il cinema hollywoodiano che si sarebbe manifestato compiutamente nei due film successivi: Les parapluies de Cherbourg, che ottenne anche cinque nominations all'Oscar, interpretato da Catherine Deneuve e Nino Castelnuovo, e Les demoiselles de Rochefort (1967; Josephine), ancora con la Deneuve, affiancata dalla sorella, Françoise Dorléac. Avvalendosi delle belle musiche composte dall'inseparabile Legrand e di scenografie ispirate ai film di Vincente Minnelli, D. mette in scena due musical sofisticati e suggestivi, tanto liricamente e cinematograficamente debitori al cinema statunitense (nel secondo compare anche Gene Kelly) quanto sentimentalmente appartenenti alla sua personale poetica. Dopo aver intrapreso, senza fortuna, la strada degli Stati Uniti, dove realizzò The model shop (1969; L'amante perduta), rilettura del personaggio di Lola otto anni dopo, D. esplorò con buoni risultati il genere favolistico in Peau d'âne (1970; La favolosa storia di Pelle d'asino), dalla fiaba di Ch. Perrault, ancora con Catherine Deneuve e con Jean Marais, e in The pied piper of Hamelein (1972; Il pifferaio di Hamelin), girato in Gran Bretagna. Seguirono i meno riusciti L'événement le plus important depuis que l'homme a marché sur la Lune (1973; Niente di grave, suo marito è incinto), commedia surreale, in cui D. si affidò nuovamente all'interpretazione della Deneuve, qui insieme a Marcello Mastroianni, e Lady Oscar (1979), film in costume realizzato in Giappone. Negli ultimi anni di vita, già malato, D. tornò alle predilette riletture del musical, sempre più venate di nostalgia crepuscolare; nacquero così Une chambre en ville (1982), con Dominique Sanda e Michel Piccoli, iscritto nel contesto drammatico delle manifestazioni di piazza dei cantieri navali in sciopero nella Nantes del 1955; Parking (1985), rilettura del mito di Orfeo in chiave rock; e l'ultimo film, Trois places pour le 26 (1988), una riuscita sintesi fra la commedia musicale in pieno stile Broadway e il racconto delle vicende biografiche di Yves Montand, in una delle sue più complesse e intense interpretazioni.
Il cinema di D. è fatto di 'oggetti di affezione', di rimandi interni, di continue citazioni che rimbalzano da un film all'altro in un gioco di rinvii intertestuali che coinvolge non soltanto le sue opere ma anche quelle dei registi più amati. In questo senso, in Les demoiselles de Rochefort si trova uno dei più significativi omaggi fatti da un cineasta a un altro, quando le due sorelle protagoniste, nel rivolgersi a due giovani che hanno suonato alla loro porta, li chiamano con i nomi di Jules e Jim, riuscendo con questo garbato saluto a coinvolgere nell'universo narrativo del film il capolavoro di Truffaut. A D., dopo la sua morte, la regista Agnès Varda, sua compagna, ha dedicato ben tre film: Jacquot de Nantes (1991; Garage Demy), Les demoiselles ont eu 25 ans (1993) e L'univers de Jacques Demy (1993).
J-P. Berthomé, Jacques Demy: les racines du rêve, Nantes 1982 ; C. Taboulay, Le cinéma enchanté de Jacques Demy, Paris 1996; A. Signorelli, F. Vergerio, Jacques Demy e un po' di Varda, Bergamo 2001.