SANVITALE, Jacopo
– Nacque a Parma il 28 dicembre 1785, primogenito di Vittorio Amedeo e della marchesa Camilla Bertoloni.
Appartenne al ramo cadetto dei Sanvitale di Fontanellato, una delle più antiche famiglie nobili parmensi. Ebbe un fratello minore di due anni, Carlo, che morì giovane di tisi.
Rimasto da bambino orfano di madre, nel 1806 perse anche il padre, trovando sostegno nella parentela, in particolare nel cugino Luigi Sanvitale. All’età di sette anni venne mandato in collegio, dapprima in quello dei nobili, in seguito in quello Lalatta, dove restò almeno fino al 1803. Interrotti gli studi in collegio, Angelo Mazza, suo prozio materno, gli fu guida e riferimento nei suoi interessi per la poesia, cui si dedicò a tempo pieno dandole una forte connotazione patriottica: «l’Italiano ed il Poeta: ecco i due aspetti, che offronsi principalmente, ed insieme congiunti, a considerare nel Conte Iacopo Sanvitale» (Poesie del conte Iacopo Sanvitale, con prefazione e note di P. Martini, Prato 1875, p. 12).
Altre fonti d’ispirazione per le sue liriche furono avvenimenti e personaggi del suo tempo, affetti e lutti familiari, vicende personali, suggestioni letterarie e religiose. Studioso della Bibbia e cultore dei poeti latini e greci, si dedicò anche alla traduzione, in particolare di Orazio. Scrisse alcune satire, pubblicate postume, e a lungo si dedicò a un poema rimasto incompiuto, La luce eterea, d’ispirazione dantesca e incentrato sul tema del mesmerismo.
Nel 1812, un sonetto sulla nascita del re di Roma espresse la sua posizione critica nei confronti del dominio francese e, in particolare, di Napoleone, accusato di aver tradito le speranze in lui riposte: «Ecco già l’ugne in sen d’Italia ficca / E le trae sanguinose, e il sangue lecca / Lui, che farla potea libera e ricca» (Alcune poesie inedite ed altre del conte Jacopo Sanvitale, con nota biografica di G.B. Jannelli, Parma 1882, p. 81). Frutto di un’improvvisazione poetica svolta in un contesto privato, il sonetto assunse velocemente, oltre le stesse intenzioni dell’autore, una dimensione pubblica e costò a Sanvitale, a partire dal dicembre di quell’anno, quattordici mesi nel carcere di Fenestrelle (Torino). Agli inizi del 1814, travestito da donna, riuscì a fuggire dalla prigionia e raggiunse Milano, entrando in contatto con Ugo Foscolo, Giovanni Rasori e soprattutto Giovanni Domenico Romagnosi. Tornato a Parma dopo la fine del governo francese, nel maggio venne chiamato a ricoprire l’insegnamento di alta eloquenza e di storia della letteratura – poi anche di poetica – nella facoltà di belle lettere, presieduta da Mazza. In novembre gli fu affidato il discorso inaugurale dell’ateneo, per il quale scelse come tema «le lettere, le quali ci fanno amare la patria, e l’amor della patria che dalla cultura delle lettere riceve e perfezione e ingrandimento» (Gazzetta di Parma, 29 novembre 1814). Il discorso – peraltro tenuto in italiano e non in latino – suscitò i sospetti delle autorità; ugualmente, nel 1816 il ministro Filippo Magawly lo nominò segretario dell’Accademia di belle arti e nel 1820, per decreto sovrano, fu designato preside della facoltà di belle lettere e segretario dell’università.
Il 28 dicembre 1816 sposò Giuseppina Fulcheri, piemontese, più giovane di quindici anni, con la quale ebbe sei figli: Clementina (1817), Virginia (1822), Paolina (1825), Ugo (1826), Luisa (1831) e Guido (1833). La moglie, che ne condivise ideali politici e peregrinazioni, morì a Marsiglia, nell’agosto 1848; pochi mesi dopo, a dicembre, spirò anche Clementina. Quest’ultima nel 1842 aveva sposato Gaetano Citati, con il quale, due anni dopo, aveva avuto un figlio, Pietro, che, rimasto orfano anche del padre nel 1857, venne affidato alla tutela del nonno e, più in generale, alle cure dei Sanvitale.
Abbandonata l’iniziale apertura nei confronti di Maria Luigia d’Asburgo Lorena, alla quale aveva dedicato nel 1818 il componimento Genio della Parma, su segnalazione della polizia modenese, fu coinvolto dai procedimenti contro i Sublimi maestri perfetti avviati anche a Parma nel 1822. Incarcerato in aprile, a un anno di distanza venne assolto dal tribunale, ma la duchessa «per motivi a Noi rappresentati» (Casa, 1904, p. 155) ne ordinò nuovamente la carcerazione nel castello di Compiano, da cui venne liberato in settembre. Nel corso del procedimento Sanvitale ammise i sentimenti liberali e l’appartenenza alla massoneria, ma non quella ad altre sette, né la partecipazione a movimenti insurrezionali.
Ancora in tarda età, insieme al sentimento di italianità, avrebbe rivendicato un atteggiamento politico «moderato, non dottrinario, nemico delle esorbitanze e ipocrisie di ogni specie [...] tollerante e conciliativo» (Calani, 1860-1866, p. 404).
Decaduto da ogni impiego, dopo il rilascio trovò riparo a Fontanellato, ospite dei cugini. In quel periodo coltivò i propri studi di agronomia, gli interessi sul pauperismo e fu tra gli animatori del periodico liberale L’Eclettico. Nel 1831 prese parte al moto insurrezionale parmigiano come membro del governo provvisorio per quanto fosse «poeta in ogni concetto [...] l’uomo meno idoneo a tenere il governo di uno Stato nuovo» (Casa, 1895, p. 45).
Al ritorno degli austriaci, con passaporto a nome Fulcheri, lasciò il ducato insieme alla moglie e al figlio Ugo, mentre le figlie furono affidate a una famiglia parmigiana e alla protezione del cugino Luigi. Iniziò un lungo esilio, in forti ristrettezze, che si sarebbe concluso, di fatto, nel 1857. Riparò dapprima a Genova per passare poi in Francia, in quell’occasione viaggiando insieme a Giuseppe Mazzini. Fu a Marsiglia, in Corsica, nuovamente a Marsiglia e infine, nel 1832, a Montauban, dove – riunitasi nel 1834 tutta la famiglia – s’impegnò nello studio delle questioni agrarie, brevettando, tra l’altro, una macchina per la mietitura che gli valse la nomina a socio corrispondente della Società d’agricoltura di Tolosa. In quel periodo sviluppò anche l’interesse per il magnetismo animale, sui testi di Paracelso, Franz Anton Mesmer e su Louis Lambert di Honoré de Balzac. L’esilio alimentò, inoltre, un forte senso di nostalgia, come titola quello che è considerato il suo componimento più famoso (1838), «impasto di tutti gli affetti, di tutti i dolori, di tutte le speranze» (Pigorini, 1867, p. 45), il cui incipit recita: «mi cacciò la tempesta al vostro lido. / Non canto io no, ma strido / lungi dal nido» (Alcune poesie..., cit., p. 65). L’opera, tradotta in francese dalla figlia Clementina, ebbe notevole diffusione in Francia e un’eco anche in Inghilterra; nella penisola, invece, circolò clandestinamente.
Nel 1840, dopo aver ottenuto di poter rientrare per tre mesi a Parma, si recò a Torino, dove incontrò re Carlo Alberto e Cesare Balbo. Qui ottenne la naturalizzazione, ma con la condizione di non diffondere le teorie del magnetismo animale. Nella capitale sabauda partecipò alla seconda Riunione degli scienziati italiani, con una memoria sulla bonifica delle aree paludose; l’anno successivo partecipò anche a quella di Firenze. Per i suoi interessi d’agronomia nel 1843 venne ammesso come socio corrispondente all’Accademia dei Georgofili.
Rimaste frustrate le sue aspettative di ottenere un incarico universitario, accettò quello di precettore offertogli nell’estate del 1841 dalla famiglia Pallavicino di Genova. Nella città ligure frequentò, inoltre, casa Mameli, influenzando con la sua poesia il giovane Goffredo.
Morto prematuramente il giovane Pallavicino, agli inizi del 1843 Sanvitale, in una situazione di sostanziale miseria, tornò in Francia dove restò fino al 1848, tranne una breve possibilità di soggiorno a Fontanellato. Oltralpe continuò a seguire le vicende italiane e accolse con favore l’elezione di Pio IX dedicandogli nel 1847 un componimento. Nel 1848, si recò a Torino, dove partecipò con il cugino Luigi ai lavori della Società nazionale della confederazione italiana, che prese vita sotto la presidenza di Vincenzo Gioberti. Ancora una volta non ebbe seguito il desiderio di ottenere l’insegnamento universitario di letteratura comparata.
Gravato dai lutti familiari, nel 1849 tornò a Genova, dove la municipalità gli aveva offerto l’incarico di direttore della biblioteca civica, che tenne fino al 1852.
Dopo un ulteriore soggiorno in Francia, rientrò definitivamente a Parma nel 1857. Nel 1859 fu membro dell’Assemblea costituente parmense e alla guida della delegazione che il 15 settembre consegnò a Vittorio Emanuele II l’atto di dedizione di Parma al Regno di Sardegna. Nel dicembre fu nominato professore emerito e preside onorario della facoltà di lettere ed eletto segretario emerito e consigliere con voto dell’Accademia delle belle arti.
Nel 1860 fu deputato per la VII legislatura rinunciando, per l’età e per le precarie condizioni di salute, a successive candidature. Accettò, invece, nel 1862 la carica di presidente della Deputazione di storia patria. Apprezzato dai contemporanei, che gli riconobbero un posto tra i poeti patriottici, dopo il compimento del processo unitario la sua opera, ancorata a modelli formali classici, subì un rapido oblio.
Morì a Fontanellato il 3 ottobre 1867.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo, Satire inedite del conte Jacopo Sanvitale, con prefazione di E. Costa, Parma 1886.
Fonti e Bibl.: Documentazione su Sanvitale è presente presso la Deputazione di storia patria di Parma, l’Archivio di Stato di Parma (Archivio famiglia Sanvitale), la Biblioteca Palatina di Parma (Archivio Micheli-Mariotti). Sulle vicende familiari si veda P. Citati, Storia prima felice, poi dolentissima e funesta, Milano, 1989, testo incentrato sulla figura di Clementina, bisnonna dell’autore. La voce Sanvitale presente in A. Calani, Il Parlamento del Regno d’Italia, Milano 1860-1866, pp. 401-405, costituisce una sorta di autobiografia, essendo stata pubblicata «tal quale ei [Sanvitale] l’ha redatta» (ibid., p. 401). Inoltre: P. Martini, Discorso commemorativo del conte I. S., Parma 1867; C. Pigorini, Cenni biografici del conte J. S., Parma 1867 (l’autrice raccolse le notizie dallo stesso Sanvitale); G.B. Janelli, Dizionario biografico dei parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 395-399; A. Rondani, Saggi di critiche letterarie, Firenze 1881, passim; E. Casa, I moti rivoluzionari accaduti in Parma nel 1831, Parma 1895; Id., I carbonari parmigiani e guastallesi cospiratori nel 1821 e la duchessa Maria Luigia imperiale, Parma 1904; L. Sanvitale, Il pensiero civile di J. S., Parma 1913; R. Lasagni, Dizionario biografico dei parmigiani, III, Parma 1999, pp. 313-315; Camera dei deputati, Portale storico, Deputati http://storia.camera.it/ deputato/jacopo-sanvitale-17811228#nav (24 settembre 2017).