RIPANDA, Jacopo
RIPANDA, Jacopo. – Non si conoscono le date di nascita e di morte di questo pittore bolognese.
Quelle che fino a oggi sono state considerate le notizie più antiche su Jacopo Ripanda (un artista che, in realtà, si chiamò Jacopo Rimpatta, ma che è diventato noto con il nome di Ripanda a partire dal profilo biografico dedicatogli, agli inizi del Seicento, da Giulio Mancini nelle sue Considerazioni sulla pittura: cfr. Maccherini, in corso di stampa), e cioè i documenti che ricordano attivo nella fabbrica del duomo di Orvieto dal 1485 al 1495, come restauratore di mosaici, un Jacopo di Lorenzo da Bologna (Farinella, 1992, pp. 92 e 98 n. 38), e un pagamento del 16 dicembre 1493, che cita tra gli aiutanti del Pinturicchio nel cantiere decorativo dell’Appartamento Borgia un «magister Jacobus pictor» (Angelini, 2005, pp. 493, 549 n. 29), si sono rivelati riferibili ad altri artisti. È stato infatti appurato recentemente che il patronimico di Jacopo Ripanda era Cristoforo (Mazzalupi, in corso di stampa) e che il mandato riferibile al pagamento per il cantiere vaticano, datato 12 dicembre 1493, nomina in realtà un «Jacobo de Pisis», saldato 20 fiorini per diverse opere realizzate nel palazzo apostolico (Castellana, 2013-2014, p. 51 n. 46).
La presenza di Jacopo Ripanda a Roma, nei primi anni Novanta del Quattrocento, risulta comunque molto probabile: nel febbraio del 1492, come rivelato dal disegno di un suo collaboratore, il cosiddetto Maestro di Oxford, raffigurante un carro trionfale con un modello del Colosseo e con il re nemico in abiti moreschi incatenato ai piedi di una palma (Londra, Victoria and Albert Museum), Ripanda probabilmente partecipò all’allestimento degli apparati per il trionfo promosso dal cardinale Raffaele Riario (il committente che continuò poi a servirsi dell’artista bolognese fino al secondo decennio del Cinquecento) per celebrare la caduta di Granada (Farinella, 1992, pp. 73 s.). Inoltre il suo inserimento nell’équipe pinturicchiesca al lavoro nell’Appartamento Borgia in Vaticano risulta comunque verosimile (per una convincente proposta di identificazione della sua mano nella volta della sala dei Santi, cfr. Angelini, 2005, p. 494).
Negli ultimi anni del Quattrocento, stabilitosi definitivamente a Roma, Ripanda si dedicò ad appassionati studi antiquari, allestendo un vasto e metodico corpus grafico di antichità, poi parzialmente confluito nel Taccuino di Oxford (Ashmolean Museum) e nell’Album Rothschild 1367-1476 D.R. (Louvre), opera di suoi collaboratori, come il Maestro di Oxford, o di artisti in rapporto con la sua bottega (su questi due taccuini di disegni, cfr. da ultimo Cafà, 2002, e Fumarco, 2004-05).
La più antica notizia certa su Ripanda è un rogito del notaio romano Gaspare Pontano datato 5 maggio 1500 e stipulato nel rione Ponte: tra i testimoni compaiono i «magistris Iacobo et Antonio filiis Cristofori de Rimpactis de Bononia pictoribus» (Mazzalupi, in corso di stampa). Da questo documento si deduce che i due fratelli Jacopo e Antonio Rimpatta, figli di Cristoforo, si trovavano a Roma, dove erano attivi entrambi come pittori. Da un rogito del notaio Francesco Tasca (o De Taschis) del 21 marzo 1501, dove tra i testimoni compare «magistro Iacobo Rimpatta pictore de Bononia, habitatore Urbis regionis Pontis», si apprende che a quella data Ripanda risiedeva nel rione Ponte, mentre due anni più tardi pare che si sia trasferito in Parione (Mazzalupi, in corso di stampa). Il 7 settembre 1503 «magistro Jacobo de Rimpacta, pictore de Bononia», risulta presente alla redazione di alcuni codicilli testamentari di Andrea Bregno: il 18 settembre «magistro Iacobo de Bononia pictori» venne nominato, nell’ultimo testamento del Bregno, tra i destinatari dei materiali di bottega presenti nello studio dello scultore lombardo (Farinella, 1992, p. 18).
Proprio intorno al 1500, con ogni probabilità, venne affidata a Ripanda la commissione più prestigiosa della sua carriera: la decorazione pittorica delle sale di rappresentanza del Palazzo dei Conservatori in Campidoglio.
Il ciclo affrescato presentava, con continui sfoggi di cultura archeologica, una raffigurazione dell’intera storia di Roma nei periodi regio e repubblicano: perduta la decorazione dei primi due ambienti (la Sala degli Orazi e Curiazi, conclusa entro l’agosto del 1503, e quella dei Capitani, forse già terminata nell’aprile del 1505), si conservano ancora affreschi di Ripanda e dei suoi collaboratori nella Sala delle Guerre puniche (1507-08) e lacunosamente in quella della Lupa (circa 1508-09), dove compare anche lo stemma del cardinale Riario (su questi affreschi, cfr. da ultimo de Jong, 2003, pp. 265-270; Guarino, 2004; Ebert-Schifferer, 2004; Guarino, 2008; Bull, 2009-2010).
Un documento del 13 luglio 1505 contiene l’inventario dei beni mobili che Caterina di Giovanni Parisi da Carema portò in dote a «magistro Iacobo Christofori de Rempatta de Bononia»; quattro giorni più tardi, in calce al contratto che attesta la consegna della dote, lo stesso Ripanda registrò di proprio pugno la ricevuta; il 5 gennaio 1506 Sano de’ Rossi vendette una casa nel rione Ponte, nell’attuale via dei Coronari (l’antica via Recta), per 500 ducati di carlini vecchi, a «mastro Iacomo di Rimpatta da Bologna pintore»; il successivo 19 marzo gli eredi e la vedova di Mariano de Magistris misero in comune con Ripanda, al prezzo di 42 ducati, un muro della casa che protendeva «versus domum magistri Iacobi de Rimpatta de Bononia» (Mazzalupi, in corso di stampa).
In una probabile pausa dei lavori per il grande ciclo capitolino (dicembre 1505- settembre 1507) Ripanda eseguì la decorazione della sala maggiore del palazzo del cardinale viterbese Fazio Santoro presso Santa Maria in via Lata (l’attuale Salone Aldobrandini in palazzo Doria-Pamphilij): un complesso quasi completamente perduto (Danesi Squarzina, 2005, pp. 179 s.; De Marchi, 2008), ma documentato dalle fonti, dove, in trentaquattro affreschi monocromi organizzati in due cicli sovrapposti di diciassette scene, erano narrate le biografie di Traiano e di Cesare (Guerrini, 1998, pp. 137-148; la recente attribuzione a Peruzzi, e non a Ripanda, dell’unico disegno preparatorio conservato, Londra, British Museum, Department of Prints and Drawings, non risulta condivisibile: Angelini, 2002, pp. 148 s.; Id., 2005, p. 536). Verosimilmente a questa commissione va legata la ripresa, scrupolosa e per la prima volta completa, del fregio storico della Colonna Traiana: l’unica impresa cui rimase stabilmente legata la fama di Jacopo Ripanda e che garantì al pittore bolognese l’esclusiva di un patrimonio inedito e vastissimo di suggerimenti antiquari e di spunti compositivi (sull’intricata vicenda delle repliche grafiche del fregio traianeo tratte da questo archetipo, cfr. Nesselrath, 2010; Heenes, 2014).
In questi anni il nome di Ripanda risulta più volte celebrato in fonti manoscritte e a stampa: un epigramma latino del poeta romano Evangelista Maddaleni Capodiferro (databile prima della fine del 1505) celebra «Jacobo Rimpactae Bononiensi qui Venerem pinxerat» (de Jong, 2003, pp. 262 s.); una relazione al Senato veneziano della delegazione di ambasciatori, comprendente anche Bernardo Bembo e Gerolamo Donà, ricorda la «domus conservatorum picturis Jacobi Rimpatae opere absolutissimis refferta» (30 aprile 1505); una pagina dei Commentarii Urbani dell’umanista volterrano Raffaele Maffei (1506-07), citando il nome di «Jacobus Bononiensis» in prestigiosa compagnia, dopo la cappella di Mantegna in Vaticano e prima della citazione del Cenacolo milanese di Leonardo, lo collega alla memorabile ripresa del fregio traianeo, effettuata «magna omnium admiratione magnoque periculo circummachinis scandendo», cioè mediante spettacolari e rischiosi ponteggi mobili eretti attorno al fusto del monumento (Farinella, 1992, pp. 29-38, 205 s.).
Dopo la conclusione della decorazione capitolina Ripanda lavorò per il cardinale Riario, partecipando, con Baldassarre Peruzzi, all’ideazione del ciclo traianeo nell’Episcopio di Ostia (1511-13; cfr. da ultimo Carminati, 1994; Danesi Squarzina, 2005; Frommel, 2005, pp. 27 s.; Frapiccini, 2013), e decorando le sue residenze romane: tra il 25 aprile 1513 e il 28 aprile 1516 il pittore venne pagato dal Banco Galli-Balducci ben 700 ducati in 31 rate per aver affrescato le «camere nuove» del Palazzo della Cancelleria e per vari altri compiti (Pezzuto, 2016).
Nel 1513, nel frattempo, Ripanda aveva partecipato all’allestimento degli apparati per i funerali di Giulio II e per l’incoronazione di Leone X, contribuendo forse anche alla decorazione pittorica del Teatro Capitolino (Farinella, 1992, pp. 62-70). Il 15 gennaio 1514, nella suddivisione delle spese per la costruzione di una cloaca tra i proprietari di case del rione Ponte, compare anche un «mastro Iacovo pentore» che quasi certamente va identificato con Ripanda (Mazzalupi, in corso di stampa).
Le ultime notizie certe sull’artista risalgono al 1516-17: il 1° ottobre 1516 «Jacobus de Runpare Bononiensis pictor» ricevette dal Banco Galli-Balducci un prestito di 100 scudi, mentre tra il 3 novembre dello stesso anno e il 23 maggio 1517 «mastro Jacopo del Rimpacta da Bologna» risulta pagato per «dipinture della vigna» del cardinale di San Giorgio in Trastevere, cioè per decorazioni nel palazzo Riario alla Lungara, l’attuale palazzo Corsini (Pezzuto, 2016); non è invece sicuro che il pittore bolognese morto di peste presso Monte Giordano, ricordato in una memoria del 9 dicembre 1522, sia proprio Ripanda (Mazzalupi, in corso di stampa).
Dopo queste date si perdono le tracce dell’artista, presto superato e dimenticato a causa delle rivoluzionarie novità stilistiche che trasformarono la cultura figurativa romana a partire dal secondo decennio del Cinquecento: eppure le sue appassionate imprese antiquarie hanno costituito un importante precedente per la nuova archeologia filologica di Raffaello, mentre la metodica ripresa del fregio traianeo ha gettato le basi della secolare fortuna figurativa dei rilievi storici della Colonna.
Fonti e Bibl.: V. Farinella, Archeologia e pittura a Roma tra Quattrocento e Cinquecento. Il caso di J. R., Torino 1992 (con bibl. precedente); Id., R., J., in Dizionario della pittura e dei pittori, IV, O-R, Torino 1993, pp. 638 s.; S. Guarino, L’antiquario sfegatato. Nuovi studi su J. R., in Roma moderna e contemporanea, I (1993), 1, pp. 191-198; S. Maddalo, Il caso di J. R., pittore e antiquario, in Roma nel Rinascimento, 1993, pp. 35-39; M. Carminati, Cesare da Sesto: 1477-1523, Milano-Roma 1994, pp. 65-78; J.L. de Jong, R. [Rimpacta] J., in The Dictionary of art, a cura di J. Turner, XXVI, London 1996, pp. 416 s.; R. Guerrini, Dai cicli di uomini famosi alla biografia dipinta. Traduzioni latine delle Vite di Plutarco ed iconografia degli eroi nella pittura murale del Rinascimento, in Fontes, I (1998), 1-2, pp. 137-158; G. Fiaschi, Plutarco: il precettore “medievale” di Traiano e l’iconografia esemplare del Rinascimento, ibid., II (1999), 3-4, pp. 17-31; M.B. Hall, After Raphael. 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