GALLUZZI, Jacopo Riguccio
Nacque a Volterra il 25 apr. 1739, secondogenito di nobile famiglia volterrana (la famiglia possedeva una preziosa raccolta di antichità etrusche che nel 1773 fu acquistata dal granduca Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, per essere collocata nella Galleria degli Uffizi). L'infanzia del G. fu funestata dalla morte del padre Francesco quando egli aveva tre anni; la madre, Alessandra Francesca di Giammaria Scappini di Empoli, poetessa, passata in seconde nozze, non si occupò dell'educazione dei figli. Fu la nonna materna a prendersi cura del G. e del fratello maggiore.
Formatosi presso il seminario di Volterra, si iscrisse successivamente (1757) all'Università di Pisa, dove si addottorò inutroque iure il 12 giugno 1762. Passato a Firenze, il G. fece dapprima pratica legale presso l'avvocato Guerrazzi e il ministro degli Interni Pompeo Neri, per poi iniziare una carriera nella pubblica amministrazione dai gradini più bassi: tipico rappresentante di quel nuovo ceto di governo, spesso provinciale, che doveva la sua ascesa alle competenze tecniche e alle capacità personali piuttosto che ai privilegi di nascita.
Il 16 luglio 1767 fu nominato praticante della segreteria di Stato con un salario annuo di 85 scudi toscani (Arch. di Stato di Firenze, Consiglio direggenza, 224); l'anno successivo, con motu proprio sovrano del 28 ott. 1768, ottenne la cattedra di filosofia morale nello Studio fiorentino "con obbligo di leggere nell'Accademia dei nobili". Il 31 ott. 1769 ebbe l'incarico di riordinare, insieme con Carlo Bonsi e Ferdinando Fossi, l'archivio della Segreteria vecchia, ossia l'archivio dei granduchi medicei, consistente di oltre 6000 filze.
Un anno dopo i tre inviarono al sovrano una Relazione nella quale si descriveva lo stato in cui tali carte si trovavano: "un aggregato di più e diverse segreterie, cioè la segreteria delle due branche della famiglia Medici mentre era privata; la segreteria di Stato e di Guerra del tempo del principato; quelle di ciascheduno dei principi del sangue; e finalmente la segreteria dei duchi d'Urbino, ereditata cogli allodiali di questa famiglia". Vi era poi "un numero rispettabile di cartapecore, spettanti parte alla famiglia Medici, parte alle case di Montefeltro e da Varano, riunitesi in quella della Rovere". Si procedeva poi a descrivere il contenuto di tali carte, in gran parte suddivise per ordine di sovrano, rilevando al contempo quale fosse stata l'organizzazione delle segreterie nel succedersi dei secoli e facendo rilevare che molte scritture nel corso del tempo erano state asportate e non reinserite (Relazione del 28 nov. 1770, cit. in Panella, p. XI). Proprio per questo suggerivano di non scompaginare l'originaria collocazione delle filze quanto piuttosto di dare loro una numerazione progressiva e di procedere a compilare estratti delle notizie più importanti. Da questo imponente lavoro di studio durato otto anni scaturirono i 21 tomi di "spogli" manoscritti intitolati Indice generale della Segreteria vecchia che, a tutt'oggi, costituiscono uno strumento utilissimo e preliminare a ogni indagine sulle carte del periodo mediceo. Ne esistono due copie: una consultabile nella sala di lettura dell'Arch. di Stato di Firenze, Inventari, n. 295; l'altra nota col nome di "spogli rossi" dal colore dell'antica legatura (Ibid., V.366-384, 674-676). Si tratta di un sunto dei principali temi trattati nei carteggi di ambasciatori, di segretari, di principi, concernenti le vicende del Granducato e della casa regnante. In questi volumi si possono trovare segnalate relazioni di viaggi e cronache, matrimoni, feste e cerimonie varie, fino a brevi profili biografici dei vari segretari premessi ai loro carteggi.
Questo lavoro archivistico fu alla base dell'opera che dette celebrità al G., l'Istoria del Granducato di Toscana sotto il governo della casa Medici (I-V, Firenze 1781), che il granduca Pietro Leopoldo gli commissionò nel 1775.
L'opera ebbe fin dal suo apparire larga fortuna, tanto da vedere altre tre edizioni nello stesso anno (due a Firenze presso Cambiagi e Del Vivo e una a Livorno presso Masi e C.). Fu tradotta in francese e ne venne fatto un compendio in tedesco. Successivamente fu edita nel 1822 (Firenze), nel 1830 (ibid.), e nel 1841 (Capolago) con una Premessa sulla vita e l'opera del Galluzzi.
L'Istoria è divisa in nove libri, ai quali è premessa una Introduzione in cui si descrive lo "stato della Toscana avanti l'elevazione della Casa Medici", l'origine e l'ingrandimento di questa famiglia e la situazione politica alla morte del duca Alessandro. I primi tre libri abbracciano il regno di Cosimo I, mentre l'opera termina col passaggio della Toscana - dopo il breve regno di Gian Gastone e con l'estinzione della dinastia medicea - a Francesco Stefano di Lorena (1737). Si tratta della prima storia del Granducato di Toscana e della dinastia medicea nel suo complesso: fino ad allora si erano avute storie di singole città toscane, oppure, come nel caso dell'Istoria de' suoi tempi di Giovanni Battista Adriani (pubbl. postuma da suo figlio Marcello, Firenze 1583) o dell'opera di S. Ammirato, ricostruzioni cronologicamente più limitate. Inoltre i fatti narrati sono inseriti nel più ampio contesto della politica italiana e delle vicende europee.
Redatta per giudizio unanime con semplicità di stile, e senza pesanti apparati eruditi ("scritta in grande ed alla magistrale senza molti dettagli", la narrazione era "unaffected and intelligent", lo stile "simple and natural": v. rispett. Pelli Bencivenni, Efemeridi, 9 marzo 1781, c. 1556r; H. Mann a H. Walpole, p. 238 e H. Walpole a H. Mann, p. 193), l'opera si basava su documenti che il G. aveva potuto consultare nel lavoro di riordino degli archivi medicei. Non antimedicea, come da taluno rilevato, l'Istoria è una trattazione politica delle vicende del Granducato e mette in primo luogo in rilievo il ruolo positivo svolto dai primi Medici nel rafforzamento della statualità e dell'autorità del principe contro particolarismi e ingerenze, prima fra tutte quella della corte di Roma.
La polemica anticuriale, vero centro propulsore dell'opera, dovuta anche alle posizioni filogianseniste del G., si legava direttamente alla politica giurisdizionalista di Pietro Leopoldo in campo ecclesiastico. Storia ufficiale dunque, volta principalmente a una legittimazione dinastica degli Asburgo Lorena e dedicata al granduca che "con la libertà, la giustizia e l'umanità" governava il Paese. Da questo punto di vista l'Istoria sottintende ed esalta la continuità Medici-Lorena, e suona conferma dei diritti dei Lorena alla successione in Toscana, dopo le incertezze che avevano accompagnato l'estinzione dell'ultimo Medici. La Istoria si configura, quindi, come uno strumento pubblico propagandistico, rivolto all'orientamento dell'opinione tanto interna quanto internazionale. In questo senso essa risulta analoga ad altre iniziative politico-culturali dei Lorena ed è affiancabile alla fondazione del mito galileiano e alla rivalutazione del mecenatismo mediceo.
L'opera al suo apparire fece scalpore. Dalla corrispondenza tra Horace Mann e il ministro degli Esteri britannico Walpole sappiamo che già prima che l'Istoria venisse terminata circolavano "rumori" da parte di Roma, al punto che vi sarebbero stati tentativi di impedirne la stampa, arrivando per giunta a intimidire il Galluzzi. Ma alle spalle dell'impresa era direttamente il granduca di Toscana coadiuvato dal fratello, l'imperatore Giuseppe II: entrambi avrebbero usato strumentalmente la narrazione storica delle vicende di casa Medici per la battaglia politica di rafforzamento dell'autorità sovrana contro l'autorità ecclesiastica. Pietro Leopoldo non solo rivedeva personalmente tutto quello che il G. scriveva, ma il suo coinvolgimento nell'opera risulta molto diretto (v. Mann a Walpole, pp. 81, 205 s.).
Oltre alla Istoria il G. scrisse un Compendio della storia d'Inghilterra e un Corso di filosofia morale, in cui raccolse le lezioni tenute all'Istituto dei nobili, che non vennero mai pubblicate e che oggi risultano perdute. Fu ascritto a varie accademie tra le quali l'Accademia Fiorentina (29 apr. 1769) e quella dei Sepolti di Volterra (14 dic. 1785) e fu in contatto e in rapporti di amicizia con letterati e scienziati del suo tempo quali Giovanni Lami, direttore delle fiorentine Novelle letterarie, l'abate Carlo Denina, lo scienziato Tommaso Perelli, Pio Fantoni e Alessandro Rivani.
Il 7 marzo 1778 il G. fu nominato revisore alle stampe, delicato incarico che mantenne sino al 31 maggio 1791; in tale veste cercò di discernere con accortezza le opere presentate per essere stampate in Toscana, dedicando particolare attenzione alle materie di "religione e costume".
Ma le sue posizioni anticuriali e filogianseniste dovevano aver lasciato traccia anche nell'esercizio di questo incarico se - come rilevava egli stesso - "io ho stampato e lasciato stampare delle cose che non potevano piacere alla medesima [corte di Roma], e mi trovo circondato da dei nemici che esaminano con microscopio la mia condotta, e cercano ogni occasione per perdermi" (Arch. di Stato di Firenze, Segr. di Stato, anno 1782, prot. 40, n. 69). E, infatti, annotava il sovrano: "nella soprintendenza che ha alle stampe si è vista in quella troppa facilità per favorire delle persone. È tutto del partito del vescovo di Pistoia e contrario affatto alle cose di Roma, e per conseguenza utile, da ritenersi in segreteria per controbbilanciare il consiglier Martini; va molto badato ai suoi fogli" (Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni, I, p. 64). In seguito all'entusiasmo suscitato dalla Rivoluzione francese e agli echi di tali avvenimenti in alcuni organi di stampa, il sovrano ammoniva il G. revisore alle stampe che non venissero pubblicate sulle gazzette "inutili riflessioni" ma che ci si limitasse a riportare i "puri fatti" (Mangio, p. 7).
Successivamente ebbe l'incarico di riordinare l'archivio della Giurisdizione (1780) e, nel gennaio 1782, fu nominato archivista nella segreteria di Stato e con motu proprio del 5 apr. 1784 segretario del Consiglio di Stato, carica che conservò sino al 1790, cioè finché Pietro Leopoldo resse il Granducato per poi passare a Vienna sul trono imperiale.
Nel mutato clima politico instauratosi con Ferdinando III, cambiarono le sorti politiche del G. che venne allontanato dal posto di segretario del Consiglio di Stato e inviato a dirigere l'archivio notarile (6 genn. 1790). Uno dei motivi di questa retrocessione fu l'ostilità con il presidente della segreteria di Stato, F. Seratti: "Cozzò con Seratti e fu sbalzato di modo che per dispetto si attaccò al partito francese" (Pelli Bencivenni, Efemeridi, 15 marzo 1800, c. 7936r). Con l'emanazione di un nuovo regolamento per la revisione delle stampe (1º giugno 1791) che le poneva sotto la diretta sorveglianza del governo, il G. venne bruscamente destituito dal suo incarico il 31 maggio 1791: decisione che preludeva a un diverso atteggiamento del governo nei suoi confronti, ora che aveva abbracciato gli ideali repubblicani e democratici.
Ne è testimonianza una sua lettera al governo di Parigi in cui auspicava che "il nuovo torrente democratico" travolgesse gli Stati italiani (cit. in Mangio). Risalgono a questi anni della sua vita notizie che attestano come a casa del G. si tenesse "un'adunanza giornaliera di persone male intenzionate di carattere simile al suo", tenute sotto stretta sorveglianza dalle autorità. Le fonti attestano anche l'esistenza di un club rivoluzionario Galluzzi. Proprio per questi motivi il 2 dic. 1796 il G. venne dunque rimosso da ogni incarico perché ritenuto pericoloso per la sicurezza del governo e inviato a dirigere l'ufficio delle Poste toscane a Roma, dove rimase fino al 13 maggio 1798, giorno del suo rientro a Firenze.
In tale allontanamento è ravvisabile un intento punitivo, dato che proprio alla corte pontificia e tra gli ecclesiastici il G. si era fatto dei fieri nemici per le sue idee. In una missiva di 4 giorni successiva a Luigi Angiolini, ministro del granduca presso la S. Sede, il governo toscano lo informava dei fatti in cui il G. era stato coinvolto e, descrivendone i comportamenti e la personalità, gli si ordinava di vigilare sul suo operato: "[Il G.] aveva avuta la più gran parte negli sconvolgimenti che seguivano in Toscana per il partito giansenistico. Incominciata la rivoluzione di Francia si mostrava dei più ardenti partitanti delle nuove cose loro non solo, ma avido di vedere sconvolti tutti gli altri paesi. Aveva molta confidenza con Cacault quando era qui, dipoi con Miot [de Melito] e Freville […]. Si pretende che li consigliasse, li eccitasse a farci tutto il male possibile. Non solo era imprudente ma sedizioso all'eccesso nelle sue proposizioni […]. E stato preso il compenso di permutarlo in un impiego fuori di qui, nel quale, come altresì in quel tal paese, dove meno potesse macchinare […] conviene essere avvertiti a ciò che potesse seco brigare sulla Toscana ed alle corrispondenze sue che può avere di qui. […] Il G., oltre all'essere stato uno dei più fanatici per il partito dei giansenisti, è anco l'autore dell'Istoria Medicea. Per tali titoli non sarà costà ben veduto ed è giusto che ciò sia" (pubbl. in Sforza, Dodici aneddoti storici, pp. 70 s.).
Poco sappiamo sul suo periodo romano: qui dal febbraio 1798 con gran probabilità fu in contatto con i patrioti della Repubblica Romana sino al rientro, presumibilmente motivato dal timore che potesse nuocere di più libero a Roma che controllato a Firenze: "[Il G.] è meglio sia inattivo in patria che pericolosamente attivo fuori di stato" (lettera di N. Corsini a L. Angiolini, 17 luglio 1798, cit. in Mangio, p. 108 n.). Fino al 25 marzo 1799 condusse vita privata. Con l'avvento del nuovo governo francese ritornò alla vita pubblica: fece parte del Bureau di consultazione e il 29 maggio 1799 fu nominato all'importante carica di ministro delle Finanze, in sostituzione di F.M. Gianni. Il 9 apr. 1799, insieme con altri patrioti, partecipò alla festa dell'erezione dell'albero della libertà di fronte alla loggia dell'Orcagna e a un'analoga festa a Fiesole. Con la caduta del governo democratico, il 4 luglio prese la via dell'esilio e dimorò a Parigi per 22 mesi: qui sembra avesse un impiego presso la Bibliothèque nationale e fece parte, insieme con altri esuli italiani e con alcuni funzionari francesi, della commissione istituita il 29 ott. 1799 dal Direttorio, che doveva garantire e ripartire i sussidi da distribuire ai patrioti italiani rifugiati in Francia. Veniva ricordato dai patrioti colà residenti "avec une sorte d'orgueil, vieillard recommandable et connu par son Histoire de Florence" (cit. in Rao, p. 513 n.).
Con la pace di Lunéville (9 febbr. 1801) il G. poté rientrare a Firenze, dove - senza essere stato reintegrato in alcun incarico, povero e in cattiva salute, accolto nella propria abitazione dall'amico fraterno Carlo Londi che provvide al suo sostentamento - morì il 24 sett. 1801; fu sepolto nel cimitero di Trespiano presso Firenze.
Fonti e Bibl.: Notizie biografiche sul G. e la famiglia in Arch. di Stato di Firenze, Ceramelli Papiani, 2223; Deputaz. sulla nobiltà e cittadinanza, 14, ins. 10; Camera di commercio, 198, c. 258 (per la data di morte); F. Galluzzi, Narrazione storico-genealogica della famiglia Galluzzi, Firenze 1740; A.F. Giachi, Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno di Volterra, Firenze 1786, p. 153. Dati riguardanti la sua attività di funzionario in Arch. di Stato di Firenze, Consiglio direggenza, 224, ins. Segreteria di Stato; Ibid. Segr. di gabinetto, 124, cc. 61, 63; Ibid., Segr. di Stato, Protocolli, passim. Parigi, Archives du Ministère des Affaires étrangères, Correspondance politique, Toscane, 147.B, cc. 162r-163r; Firenze, Bibl. nazionale, Mss., 1050: G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, s. 2, IX, c. 1556r, 9 marzo 1781; XXVII, c. 7461v, 29 maggio 1799; XXVIII, cc. 7935v-7936v, 15 marzo 1800; XXIX, cc. 351r-352r, 26 sett. 1801; Firenze, Istituto e Museo di storia della scienza: G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, XVIII, cc. 3606v-3607r, 18 genn. 1790.
Lettere del e al G. si rinvengono in Arch. di Stato di Firenze, Acquisti e doni, 157 (del G. al canonico A. Baldovinetti, 1797); ibid., 186, ins. 3 (lettera di S. de' Ricci al G., 4 ott. 1784); ibid., Arch. Pelli Bencivenni, 5235, 5502, 5513, 5560, 5681, 5701, 5783, 5798, 5817, 5847, 5977, 5981 (lettere al Pelli Bencivenni, relative alla sua attività di censore, per il periodo 9 giugno 1779 - 27 sett. 1787); ibid., Arch. Ricci, filze 44-56 passim (Copialettere del Ricci), 57-101 passim (lettere del G. al de' Ricci); Firenze, Bibl. nazionale, Archivio Magliabechiano, filze IX, cc. 319r-329r, 332r; XI, cc. 164r, 256r; XII, cc. 320r, 327r-329r, 389r, 480r, 493r, 500r, 528r; XIII, cc. 123r, 194r, 201r, 202rr, 293r-294r; XIV, cc. 104r, 136r, 151r, 178r, 198r, 206r, 208r, 209r, 226r, 242r-245r, 256r, 257r (cfr. Giunta regionale toscana, L'Arch. Magliabechiano della Bibl. nazionale centr. di Firenze, a cura di P. Pirolo - I. Truci, Firenze 1996, ad ind.); Carteggi vari, 506, 7 (ad Alberto Fortis, 3 ott. 1775); 489, 48 (a Ferdinando Fossi, 11 apr. 1775 - 28 giugno 1782); 50, 121 (a Francesco Fontani, 4 nov. 1789); 489, 48 (a Carlo Londi, 30 giugno 1797); Siena, Bibl. comunale, Carteggio Ciaccheri, mss. D.VII. 18, 6-75 (lettere del G all'abate G. Ciaccheri, 11 nov. 1766 - 24 genn. 1778); D.VII 21, 364 (minuta del Ciaccheri al G., 3 ott. 1768), segnalate in D. Bruschettini, Il carteggio di Giuseppe Ciaccheri nella Bibl. comunale di Siena, in Bull. senese di storia patria, LXXXVI (1979), pp. 184 s., 195. Due esemplari manoscritti della Istoria si trovano in Arch. di Stato di Firenze, Mss., 148-150 (autografo), 151-159; tracce dell'attività del G. quale direttore delle Poste toscane a Roma: Ibid., Direzione delle Poste, 78, inss. 89-91; 105, Copialettere e informazioni, 1796-1799, passim; 262, Copialettere, 1797, cc. 7, 14 e passim.
F. Becattini, Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo d'Austria granduca di Toscana, poi imperatore Leopoldo II, Filadelfia [Milano] 1796 (rist. Firenze 1987), pp. XIII, 3, 12; L. de Potter, Vie de Scipion de Ricci évêque de Pistoie et Prato reformateur du catholicisme en Toscane sous le règne de Léopold, Bruxelles 1826, II, p. 129; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, App., ad vocem; A. Zobi, Storia civile della Toscana dal 1737 al 1848, Firenze 1850-52, II, p. 370; III, p. 288; Memorie di Scipione de' Ricci scritte da lui medesimo e pubblicate con documenti da A. Gelli, I, Firenze 1865, pp. 330, 534 s.; G. Sforza, La fine d'uno storico, in Dodici aneddoti storici, Modena 1895; I.C. Madella, R. G. e la sua opera storica, Faenza 1923; A. Panella, R. G., in Enc. Italiana, XVI, Roma 1932, p. 338; G. Natali, Il Settecento, Milano 1935, pp. 455 s., 489; A. Panella, Introd. a Archivio di Stato di Firenze, Arch. Mediceo del principato. Inventario sommario, Roma 1951, pp. XI-XVI; M. Rosa, Dispotismo e libertà nel Settecento. Interpretazioni "repubblicane" di Machiavelli, Bari 1964, pp. 75-78; A. Wandruszka, Leopold II.…, II, 1780-1792, Wien-München 1965, pp. 59 s., 62, 130, 159, 242, 387; C. Cannarozzi, I collaboratori giansenisti di Pietro Leopoldo…, in Rass. stor. toscana, XII (1966), pp. 5-59; Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I, Firenze 1969, p. 64; M.A. Timpanaro Morelli, Legge sulla stampa e attività editoriale a Firenze nel secondo Settecento, in Rass. degli Arch. di Stato, XXIX (1969), pp. 629-631; G. Turi, "Viva Maria". La reazione alle riforme leopoldine (1790-1799), Firenze 1969, ad ind.; Horace Walpole's correspondence with sir Horace Mann, a cura di W.S. Lewis - W. Hunting Smith - G.L. Lam, IX, New Haven-Oxford 1971, pp. 59, 80 s., 87 s., 94, 138, 143, 173, 181 s., 187, 190, 192-194, 197, 202, 205 s., 214 s., 218, 223-226, 238, 434, 531, 595; C. Fantappiè, Riforme ecclesiastiche e resistenze sociali. La sperimentazione istituzionale nella diocesi di Prato alla fine dell'antico regime, Bologna 1986, pp. 269 s.; J.-C. Waquet, Le Grand-duché de Toscane sous les derniers Médicis, Rome 1990, ad ind.; C. Mangio, I patrioti toscani fra "Repubblica etrusca" e Restaurazione, Firenze 1991, ad ind.; A.M. Rao, Esuli. L'emigrazione politica ital. in Francia (1792-1802), prefaz. di G. Galasso, Napoli 1992, pp. 259, 345 n., 513 n.