MAZZEI, Jacopo
– Nacque a Firenze il 30 ag. 1803 da Mattias, patrizio fiorentino, e da Lucrezia Landi, poetessa e scrittrice arcadica.
Il M. si laureò in legge all’Università di Pisa, dove recepì la lezione, ancora radicata, del giurisdizionalismo leopoldino. Entrato in magistratura, compì le prime esperienze a Siena, in qualità di auditore: qui ebbe modo di perfezionare la sua cultura grazie anche al nonno materno O. Landi, giureconsulto e uno fra i migliori avvocati cittadini. Passò poi al tribunale di Firenze, dove acquistò presto fama di dotto e severo magistrato e fu in cordiali rapporti con G. Capponi, V. Salvagnoli, G.P. Vieusseux.
È controverso se sul finire degli anni Trenta abbia avuto una relazione con la scrittrice Hortense Allart de Méritens (allora a Firenze), alla quale pare avesse chiesto di sposarlo. Tuttavia sembra ormai accertato che il secondogenito della Allart, nato nel 1839 e morto nel 1862, non fosse figlio suo ma di P. Capei. Successivamente il M. sposò Teresa Amerighi, con la quale ebbe un figlio, Carlo.
Presidente del tribunale di prima istanza di Firenze, il 17 ag. 1848 fu nominato dal granduca Leopoldo II di Asburgo Lorena ministro di Giustizia e grazia con l’interim degli Affari ecclesiastici nel governo presieduto da Capponi. Elaborò allora, in attuazione dei nuovi principî sanciti dallo statuto, un progetto di riforma dell’ordinamento giudiziario che non fu discusso alle Camere a causa del sopraggiungere della crisi ministeriale dopo soli 70 giorni. Buona parte delle sue cure venne assorbita dall’esame dello schema di concordato siglato a Roma il 30 marzo dal rappresentante toscano, mons. G. Boninsegni, e da quello pontificio, cardinale C. Vizzardelli.
Si trattava di un accordo assai favorevole alla S. Sede, perché prevedeva la fine del placet regio per le pastorali vescovili, la nomina dei predicatori senza l’approvazione preventiva delle autorità civili, la libertà nelle comunicazioni fra le diocesi e la S. Sede e fra i regolari e i rispettivi superiori generali, il riconoscimento della piena e assoluta facoltà di amministrare i beni ecclesiastici da parte della Chiesa. Era una sostanziale sconfessione dei capisaldi del giurisdizionalismo di Pietro Leopoldo, in qualche modo sancita dall’articolo finale che prescriveva per tutti i casi non direttamente contemplati l’osservanza delle disposizioni del concilio di Trento.
Il M. prese immediata ed esplicita posizione contro l’accordo, cui lo stesso governo presieduto da C. Ridolfi aveva aderito con molte riserve, e comunque subordinandolo per la ratifica al decisivo parere delle Camere.
In un suo dettagliato parere formulato a metà settembre il M. partiva dalla premessa tipicamente giurisdizionalista di considerare la Chiesa un’entità nazionale piuttosto che un’autorità universale e indipendente nel campo della morale. Ammesso anche che la normativa toscana avesse violato alcuni diritti ecclesiastici, occorreva riformarla per via legislativa; neppure la possibilità che il concordato fosse invocato da Roma quale conditio sine qua non per l’accessione pontificia alla lega politica con il granduca, poteva rappresentare una ragione sufficiente per derogare a principî fondamentali del diritto pubblico toscano come le leggi di giurisdizione. Suggeriva pertanto di avviare nuovi negoziati su pochi punti circoscritti, con la riserva esplicita che si sarebbe poi proceduto per via di concessioni, non di accordi. La crisi dovuta al prevalere dei democratici aggiornò la questione in modo indefinito.
In novembre il M. fu eletto deputato al Consiglio generale per il collegio del Galluzzo, ma non svolse un’attività di rilievo nell’opposizione al ministero Guerrazzi-Montanelli. Con la restaurazione granducale nella primavera del 1849, fu chiamato da Leopoldo II alla guida del dicastero degli Affari ecclesiastici. La nomina era dovuta alla buona impressione prodotta nel sovrano dalla precedente esperienza e dal parere favorevole del nuovo presidente del Consiglio, G. Baldasseroni. Al M. (a differenza degli altri colleghi) la notizia giunse, del tutto inaspettata, il 27 maggio, mentre si trovava in campagna con la famiglia. Nonostante si rendesse conto delle gravi difficoltà del momento, decise di accettare. Nell’esecutivo, dall’accentuato carattere conservatore (ma formalmente costituzionale) e fortemente condizionato dalla presenza delle truppe austriache, si trovò a occupare, insieme con il titolare di Grazia e giustizia C. Capoquadri, la posizione più vicina ai liberali moderati, in virtù dei propri rapporti e idee. Ridolfi, commentando la nomina, giudicava il M. liberale per convinzione, persona integerrima ed espertissima in materia giuridica, anche se carente delle qualità occorrenti per risultare un vero uomo di Stato.
Il M. si impegnò ancora una volta nella difesa del sistema giurisdizionalista, sia pure con crescenti difficoltà a causa del mutato clima interno e internazionale, ma soprattutto della nuova posizione assunta da Leopoldo II, reduce dall’esilio di Gaeta dove aveva subito il forte influsso di Pio IX.
In autunno si aprì un’acuta vertenza con la Curia romana a proposito delle rimostranze avanzate dal clero lucchese, che rifiutava di assoggettarsi alla nuova tassa di famiglia in virtù di antiche consuetudini che lo avevano sempre esentato in materia di imposte e che riteneva dovessero essere rispettate anche dopo l’annessione del Ducato alla Toscana. Il M. sostenne la validità delle ragioni storiche e giuridiche che si opponevano a una simile pretesa, incentrandole sull’assunto che l’incorporazione territoriale comportava l’abrogazione delle norme emanate dal precedente ordinamento. La S. Sede approfittò della circostanza per chiedere che fossero riprese al più presto le trattative per il concordato, proponendo come punto di partenza proprio lo schema Boninsegni - Vizzardelli e nel contempo cercava di mobilitare l’episcopato toscano per un’opera di sostegno.
Il M. redasse allora un nuovo schema di concordato (alla cui stesura collaborò anche Salvagnoli) in cui manifestava caute aperture sulle materie puramente ecclesiastico-religiose mentre rifiutava ogni cedimento in quelle temporali o miste. In particolare la clausola finale era concepita in modo diametralmente opposto a quella gradita a Roma, poiché prevedeva che tutte le parti della legislazione toscana di cui non era fatta espressa menzione restassero in vigore.
La posizione del M. in seno al ministero si faceva sempre più difficile anche a causa del continuo rinvio della convocazione delle Camere, cui si aggiunse l’approvazione di una convenzione militare per disciplinare la permanenza delle truppe asburgiche, da lui giudicata particolarmente lesiva della sovranità statale, specialmente perché accordava agli Austriaci il potere di applicare la loro legge marziale e di proclamare lo stato d’assedio quando lo avessero ritenuto opportuno. Al momento della firma del relativo trattato (22 apr. 1850) presentò insieme con Capoquadri le dimissioni, ma Baldasseroni convinse entrambi che in quella circostanza il loro ritiro si sarebbe risolto in un grave danno per il granduca e per il Paese, perché quasi certamente avrebbe causato la caduta del ministero. Capoquadri e il M. acconsentirono pertanto a rimanere in carica per alcuni mesi, ma al ritorno di Leopoldo II da un viaggio in Austria – a seguito del quale si dava per imminente la sospensione a tempo indefinito dello statuto – il M. gli indirizzò una ferma e dignitosa lettera (1° sett. 1850) per chiedere il congedo immediato.
Scriveva che non era possibile riordinare la Toscana, assicurare il trono, promuovere e mantenere la vera quiete e la prosperità dello Stato senza una pronta e leale attuazione della carta fondamentale, definita patto sacro e inviolabile fra granduca e popolo, vera fonte dell’autorità sovrana. Il 1850 doveva avere la sua seduta legislativa, sia pure d’un giorno; in caso contrario la moralità del principe e del governo potevano dirsi finite per sempre.
Leopoldo II accordò le dimissioni, rese note al pubblico il 9 settembre. Il M. fu nominato consigliere di Stato e in quest’ufficio rese a giudizio unanime un eccellente servizio.
Il M. morì a Firenze il 21 sett. 1855, durante un’epidemia di colera.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Ministero degli Affari ecclesiastici, bb. 435-545. Ampiamente basato sulle carte dell’archivio privato Mazzei è lo studio di A.M. Bettanini, Il concordato di Toscana (25 apr. 1851), Milano 1933, pp. 54-143. Cfr., inoltre, Lettere di Gino Capponi e di altri a lui, raccolte e pubblicate da A. Carraresi, II, Firenze 1883, pp. 20 s.; V, ibid. 1887, p. 76; Le Assemblee del Risorgimento, IV, Toscana, 2, Roma 1911, pp. 116-118; F. Martini, Il Quarantotto in Toscana. Diario inedito del conte Luigi Passerini, Firenze 1918, pp. 94, 533; Le relazioni diplomatiche fra la Francia e il Granducato di Toscana, Terza serie, I (7 marzo 1848 - 29 dic. 1850), a cura di A. Saitta, Roma 1959, ad ind.; G. Baldasseroni, Memorie 1833-1859, a cura di R. Mori, Firenze 1959, pp. 103, 120, 133, 137, 152 s.; H. Allart de Méritens, Lettere inedite a Gino Capponi, Genova 1961, pp. LXXIII, 220 s., 262 s.; Le relazioni diplomatiche fra l’Austria e il Granducato di Toscana, Serie terza (1848-1860), I (28 marzo - 29 dic. 1849), a cura di A. Filipuzzi, Roma 1966, ad ind.; II (1° genn. 1850 - 9 maggio 1851), a cura di A. Filipuzzi, ibid. 1967, ad ind.; C. Ridolfi, Giornale della mia emigrazione politica dalla Toscana nel 1849, a cura di S. Camerani, in Rass. stor. toscana, XXIII (1977), p. 113; E. Toscanelli Peruzzi, Diario (16 maggio 1854 - 1° nov. 1858), a cura di E. Benucci, Firenze 2007, p. 48; A. Zobi, Memorie economico-politiche dei danni arrecati dall’Austria alla Toscana dal 1737 al 1859, Firenze 1860, II, pp. 557-560; A. Gennarelli, Le sventure italiane durante il pontificato di Pio IX, Firenze 1863, pp. 107-114; N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia europea in Italia dall’anno 1814 all’anno 1861, VI, Torino 1869, pp. 384-390, 580-584; G. Baldasseroni, Leopoldo II granduca di Toscana, Firenze 1871, pp. 406, 420-422; L. Seché, Hortense Allart de Méritens dans ses rapports avec Chateaubriand, Béranger, Lamennais, Sainte-Beuve, G. Sand, m.me d’Agoult, Paris 1908, p. 50; R. Mori, I moderati toscani e la Restaurazione, in Atti del XXVII Congresso di storia del Risorgimento italiano, Roma 1961, pp. 160-189; M. Maccarrone, Il Concilio Vaticano I e il «Giornale» di mons. Arrigoni, Padova 1966, I, pp. 52-55; P.G. Camaiani, Dallo Stato cittadino alla città bianca. La «società cristiana» lucchese e la rivoluzione toscana, Firenze 1979, pp. 292-295; M. Pignotti, Potestà laica e religiosa autorità. Il concordato del 1851 fra Granducato di Toscana e Santa Sede, Firenze 2008, ad indicem.