LAMBERTI, Jacopo (Giacomo)
Nacque a Reggio nell'Emilia il 25 ott. 1762, secondo di quattro figli (il primo, Luigi, sarà ugualmente noto come letterato e politico nell'Italia napoleonica), da Francesco e Chiara Bergonzi, possidenti. Dopo studi nella città natale, verso il 1783 intraprese, in compagnia del fratello Luigi, un viaggio d'istruzione nell'Italia settentrionale e in Francia con destinazione Parigi, interrottosi a Lione per l'ostilità del padre. In seguito si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Università di Modena, dove frequentò i corsi di G. Calindri e conseguì la laurea (20 maggio 1788). Nell'ottobre del 1789 ebbe la cattedra di diritto canonico nel ginnasio di Reggio, che conservò fino al 1796 quando - per interessamento di L. Spallanzani - Ercole III d'Este lo chiamò a ricoprire lo stesso incarico nell'ateneo modenese. In una dissertazione (Dei diritti dei principi circa le cose sacre, negli Annali ecclesiastici di Firenze, XIII [1793], 41-42, p. 161), pur riconoscendo l'origine divina del potere dei principi, sostenne la dipendenza in ambito temporale dell'autorità ecclesiastica da quella civile, in linea con le teorie giurisdizionaliste del riformismo illuminato. Ascritto dal 1792 all'Accademia degli Ipocondriaci di Reggio con l'appellativo di Energetico, venne acquisendo, accanto a una già consolidata cultura erudito-letteraria di impostazione classica, un'accurata conoscenza dei più importanti autori del pensiero giusnaturalista, razionalista e illuminista europeo (P. Bayle, C. Beccaria, U. Grozio, J. Offroy de La Mettrie, J.-J. Rousseau ecc.). Le vicende rivoluzionarie francesi, l'avvicinamento dell'armata di N. Bonaparte ai territori italiani e la fuga di Ercole III da Modena (7 maggio 1796) segnarono il passaggio del L. dall'attività intellettuale alla ribalta della scena politica locale e nazionale. Assiduo frequentatore del caffè dei Patrioti, dove, sulla piazza principale di Reggio, si radunavano gli spiriti più irrequieti e favorevoli al mutamento, fu uno dei protagonisti assoluti dell'intensa stagione rivoluzionaria reggiana del 1796.
Indispensabile elemento di raccordo tra il democratizzato ambiente dei clubs cittadini - guidato da L. Cagnoli e G. Fantoni - ed esponenti del Senato di estrazione nobiliare come G. Paradisi, F. Cassoli, A. e F. Re, desiderosi di emanciparsi dalla tutela estense, il L. fu l'ispiratore principale del provvedimento adottato dal Senato (30 giugno 1796) per l'invio di una deputazione a Bonaparte - della quale fece poi parte, in qualità di segretario, insieme con G. Paradisi, A. Re e I. Trivelli - e del proclama (30 ag. 1796) con cui lo stesso Senato, dichiarando l'assunzione dei pieni poteri per Reggio e l'intero Ducato, sancì la definitiva rottura con la Reggenza di Modena e la nascita della Repubblica Reggiana. Sempre presente nelle successive ambascerie reggiane presso i generali e commissari francesi, il L. sedette nel Comitato di governo di Modena e Reggio, sorto dopo l'occupazione francese di Modena e il vittorioso fatto d'armi di Montechiarugolo (4-5 ott. 1796). Tra l'autunno del 1796 e la primavera del 1797 fu eletto nella nuova Municipalità reggiana e prese parte a tutti e tre i congressi dai quali ebbe origine la Repubblica Cispadana, venendo dapprima inviato con P. Notari a Massa e Carrara come commissario "democratizzatore" (gennaio 1797), poi nominato nel Comitato di verificazione che il 26 marzo 1797 pubblicò a Bologna i risultati del referendum costituzionale. Nei congressi cispadani di Modena e Reggio il L. rivestì un ruolo di primo piano nello schieramento democratico, mitigando le posizioni più estreme, vigilando con vigore sulle mire egemoniche dei deputati bolognesi, ergendosi a difensore degli interessi del popolo e della costituzione francese del 1795.
Smembrata la Cispadana (19 maggio 1797) per ordine di Bonaparte e inserito l'ex Ducato estense nella nascente Cisalpina, dal novembre 1797 il L. (che da allora si fece chiamare Giacomo) fece parte del Corpo legislativo di Milano, sedendo tra i rappresentanti del Dipartimento del Crostolo nel Consiglio degli juniori. Nominato ministro degli Interni al posto di G. Ragazzi (7 apr. 1798), nove giorni più tardi divenne membro del Direttorio con M. Alessandri, G.B. Costabili Containi, G.B. Savoldi e C. Testi. Onesto democratico al di sopra delle fazioni, apprezzato per moderazione, integrità morale, fedeltà ai principî repubblicani e approfondita conoscenza delle materie legali - caratteristiche che emergono compiutamente nel suo Dei doveri di un direttore (Milano 1798) - il L. superò indenne i tre colpi di Stato realizzati dalle autorità francesi nella Cisalpina durante la seconda metà del 1798. Tuttavia, logorato e deluso da quelle vicende, il 1° dic. 1798 rassegnò le dimissioni dal Direttorio, tornando all'agognata quiete della campagna reggiana. Convocato tre mesi più tardi a Milano da una lettera dell'ambasciatore francese presso la Cisalpina, F. Rivaud, l'11 marzo 1799 riprese il proprio posto nel Consiglio degli juniori, assumendone la presidenza fino alla caduta della Repubblica. Allontanatosi da Milano, scampò inizialmente agli Austriaci rifugiandosi presso una famiglia di patrioti a Villa Minozzo, sull'Appennino reggiano. Braccato dalla polizia, il 27 ag. 1799 si consegnò al comando militare della piazza di Reggio, da dove venne immediatamente trasferito nelle carceri di Modena. Il processo a lui e agli altri reggiani di spicco del Triennio (L. Bolognini, G. Paradisi, A. Re, G. Sforza, I. Trivelli ecc.) si protrasse per oltre nove mesi, fino alla liberazione seguita alla vittoria francese di Marengo (14 giugno 1800). Profondamente segnato dalla prigionia, il L. rinunciò alle designazioni fatte in suo favore da Bonaparte per la nuova Consulta cisalpina e la cattedra di economia pubblica nell'Università di Pavia (22-23 giugno 1800). Alla fine del 1801 decise però di accettare la nomina della Municipalità di Reggio quale rappresentante per il Dipartimento del Crostolo ai Comizi di Lione, dove fu eletto nella commissione dei Trenta, incaricata dello svolgimento delle operazioni preliminari alle decisioni adottate da Bonaparte.
Famosi divennero il suo pianto dirotto in occasione del rifiuto della presidenza della Repubblica da parte di F. Melzi d'Eril (22 genn. 1802) e il suo voto contrario, due giorni più tardi, alla presidenza Bonaparte. Eletto ciononostante sia nel Corpo legislativo sia nel Collegio dei dotti della Repubblica Italiana, del quale fu anche il primo presidente, a causa dei suoi trascorsi cispadani e cisalpini il L. venne inizialmente trascurato dal Melzi d'Eril nell'assegnazione delle principali cariche amministrative e relegato al ruolo di luogotenente del prefetto del Crostolo, P. Fadigati (1802-04). L'ottimo lavoro che svolse sia a Reggio sia nella viceprefettura di Massa - dove dall'ottobre 1804 all'aprile 1805 fu commissario straordinario - lo riportarono in auge e ne fecero uno dei più capaci e affidabili funzionari del Regno d'Italia. Nominato prefetto del Crostolo il 23 luglio 1805 - in deroga per la prima volta alla legge che voleva i prefetti di provenienza esterna ai dipartimenti loro assegnati -, si distinse per una puntuale e ordinata amministrazione, rivolgendo principalmente la propria cura alla tutela dell'ordine pubblico, al rispetto delle leggi e all'incremento dell'istruzione, dando inoltre corpo alle proprie idee fisiocratiche con la fondazione, nel 1806, della Società agraria reggiana e della Società di arti meccaniche, quest'ultima preposta alla lavorazione industriale dei prodotti agricoli.
Creato cavaliere della Corona ferrea e membro della Legion d'onore, nel 1807 sposò la reggiana Eleonora Bernardoni, dalla quale ebbe tre figli: Giuseppe, Paolo e Virginia. Insignito del titolo di conte e nominato senatore da Napoleone (19 febbr. 1809), il L. si trasferì nuovamente a Milano con la famiglia, rimanendovi fino alla caduta del Regno. Saldamente legato - con F. Melzi d'Eril, G. Paradisi, A. Veneri e L. Vaccari - al partito del viceré Eugenio de Beauharnais, fu tra i suoi più strenui difensori nell'adunanza straordinaria del Senato del 17 apr. 1814 e nella successiva giornata del 20 aprile, culminata nell'eccidio del ministro delle finanze G. Prina, la cui abitazione, insieme con U. Foscolo, il L. cercò fino all'ultimo di difendere dagli assalti del popolo. Fortemente segnato dalla perdita della moglie (28 giugno 1811) e del fratello Luigi (4 dic. 1813), alla fine di luglio del 1814 rientrò definitivamente a Reggio dopo aver bruciato le carte di famiglia più compromettenti e aver ottenuto ogni rassicurazione sulla sua sorte futura.
Gli anni della Restaurazione e del governo di Francesco IV d'Austria-Este segnarono il suo distacco dalla politica attiva, ma non il definitivo abbandono degli ideali che lo avevano animato, al rispetto dei quali educò i figli Giuseppe e Paolo. Il primo, protagonista dei moti del 1821 nelle fila della carboneria e futuro segretario di Mazzini nella Giovine Italia, dovette soffrire per dieci anni l'esilio in terra toscana; il secondo fu tra i principali organizzatori della rivoluzione reggiana del 7 febbr. 1831, nella quale coinvolse attivamente il padre, già assiduo frequentatore degli incontri preparatori tra i cospiratori in casa di Giuditta Bellerio Sidoli. Nominato presidente del governo provvisorio, il L. riorganizzò la guardia civica ed emanò una serie di provvedimenti interni per la gestione dell'emergenza.
Al ritorno di Francesco IV, il 9 marzo, la reazione del governo estense non si fece attendere, portando al processo e alla condanna del L. a 2 anni di carcere (13 giugno 1831), commutati, per la tarda età e le precarie condizioni di salute, negli arresti domiciliari dapprima per lo stesso periodo di tempo, poi a vita. Con questo estremo atto di arbitrio, Francesco IV intese consumare la propria personale vendetta per i fatti del 1796 nei confronti del L., libero di uscire di casa solo nei giorni festivi per recarsi a messa. Chiusosi sempre più in se stesso e separato dai figli, entrambi esiliati in Francia, negli ultimi anni di vita riprese i suoi studi di agricoltura razionale e si prodigò a beneficio della cittadinanza con cospicue donazioni in denaro, specie in occasione della carestia del 1836.
Il L. morì nella propria casa di Reggio il 24 marzo 1838.
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