GHERARDI, Jacopo
Nacque a Volterra il 25 luglio 1434 da Niccolò di Gherardo. La madre va probabilmente identificata nella seconda moglie di Niccolò, Albiera di Nanni di Ottaviano Belforti, e non nella prima, Margherita di Namo di Michele Tinucci.
Le numerose lettere conservate nella Biblioteca Guarnacci di Volterra, indirizzate a Jacopo da diversi familiari della madre, avvalorerebbero questa ipotesi. È incerto anche se gli altri tre figli di Niccolò (Michele, Benedetto e Selvaggia) fossero fratelli uterini del G., mentre, a giudicare da quanto egli stesso scrive nel Diarium Romanum, si può ritenere che le condizioni economiche della famiglia fossero sufficientemente floride.
Il giovane G. compì i suoi primi studi a Volterra, da dove nel luglio 1445, in età di undici anni, si trasferì a Firenze presso la famiglia Spinelli, con la quale i Gherardi erano imparentati. Da loro sarebbe stato avviato alla pratica bancaria, dimostrando in realtà che i suoi interessi andavano in tutt'altra direzione: sacerdote a 24 anni, brillava infatti per la conoscenza del latino. Oltre a Firenze, il G. risiedette a Siena, dove sarebbe entrato in contatto con la potente famiglia Piccolomini. Nel 1458, infine, si trovava a Roma come affermato umanista al servizio di due vescovi, di cui uno andrebbe riconosciuto in Francesco Todeschini Piccolomini, cardinale nipote di Pio II. Venuto a conoscenza dell'eccellente cultura del G., nel 1463 il cardinale lucchese Jacopo Ammannati lo chiamò al suo servizio come segretario particolare, ruolo che ricoprì fino al settembre 1479, quando l'Ammannati morì.
Dalla protezione del cardinale di Pavia - così veniva chiamato l'Ammannati - il G. ottenne l'arcipretura della cattedrale di Volterra. Non divenne invece mai vescovo della città natale, nonostante nel 1470, alla morte del vescovo Ugolino de' Giugni, i Priori di Volterra caldeggiassero all'Ammannati la nomina del G. con una lettera piena di elogi per il loro concittadino. Confuso spesso dagli eruditi con l'Ammannati nonché con Gaspare Zacchi, detto come lui il Volterrano, ma segretario del cardinale Bessarione, il G. svolse a fianco del cardinale funzioni di segretario, con il compito di organizzarne la voluminosa corrispondenza, come risulta chiaramente dal carteggio tra il G. e l'Ammannati. Tra i due si creò allora uno stretto legame letterario che andò oltre la morte del cardinale e portò il G. a curare l'edizione dei Commentarii dell'Ammannati assieme con seicento lettere (Milano 1506).
Poco sappiamo invece della produzione giovanile del G.: di lui ci restano una Vita dell'Ammannati pubblicata dal Carusi assieme con il Diarium, e il discorso che tenne ai colleghi quando fu nominato segretario apostolico. È andato invece smarrito il diario che scrisse in occasione della partenza dell'Ammannati dalla Toscana per Roma (Diarium profectionis card.lis Papiensis et reditus eius ad Urbem). Compose inoltre l'indice alfabetico dei papi per la Cronaca di Riccardo di Cluny, preceduto da due suoi distici e da una dedica a Paolo II.
Il 26 nov. 1479 il G. divenne segretario apostolico.
Si trattava di uno tra gli uffici più remunerativi, ambito da molti umanisti; lo stesso Ammannati era stato segretario di Callisto III e Pio II. A dicembre il G. divenne anche cameriere d'onore di Sisto IV, godendo delle simpatie del papa e divenendone intimo accompagnatore negli uffici liturgici e nelle pause del culto divino. Ricevette dal pontefice numerosi benefici e uffici da cui ricavava entrate non trascurabili (parroco di Ponzano, di S. Matteo e di S. Biagio di S. Gimignano nella diocesi di Volterra, priore della chiesa volterrana di S. Piero in Selci, sollecitatore delle lettere apostoliche, ecc.). In perfetta sintonia con il diffuso e consolidato nepotismo, nell'ultima stagione della sua vita il G. si preoccupò di rinunciare a queste entrate in favore dei parenti. Durante il pontificato di Sisto IV fu tra coloro che aiutarono il pontefice ad accrescere la Biblioteca Vaticana, con Bartolomeo Platina, Matteo Palmieri e Leonardo Dosi.
Dopo la morte di Sisto IV (1484), il G. si ritirò a Volterra, dove coltivò le fortune familiari, la corrispondenza con i letterati e lo studio dei classici, dilettandosi nella composizione di versi latini. Richiamato a Roma da Innocenzo VIII, nell'estate del 1487 il G. fu incaricato di accompagnare il vescovo Pietro Menzi da Cesena in missione presso il re di Napoli Ferdinando I d'Aragona.
Da tempo in lotta contro i baroni del Regno, protetti dalla S. Sede, il re aveva imprigionato alcuni di essi convenuti a Castelnuovo subito dopo la pace con Roma dell'agosto del 1486. L'arresto dei baroni rischiava allora di inaugurare una nuova fase di tensione nel delicato equilibrio politico e militare della penisola. Compito del Menzi era di ottenere che i dignitari napoletani fossero custoditi fuori dal Regno e che il giudizio su di loro avvenisse per mezzo di un emissario papale con l'assistenza di inviati di altri Stati; la località scelta per la detenzione doveva essere Benevento o Terracina. I due inviati furono bene accolti dal re; con estrema cautela, come era loro stato comandato, cercarono di tutelare le sorti dei baroni senza urtare la suscettibilità di Ferdinando. Malgrado la loro prudenza, dopo una lunga fase interlocutoria arrivò la risposta negativa del re per mezzo del suo consigliere G. Pontano.
Mentre la missione del Menzi e del G. falliva ed essi si trovavano ancora a Napoli, a Roma nasceva un'altra disputa in merito al censo di 8000 once d'oro che il re aveva pattuito di pagare al pontefice nel 1486. Dopo aver ottenuto una deroga per l'anno 1487, Ferdinando era passato a contestare la stessa legittimità dell'accordo intercorso. Alla metà d'agosto il Menzi e la sua ambasceria tornarono a Roma e fu allora che Innocenzo VIII ricorse nuovamente al G. come nunzio presso Lorenzo il Magnifico e Ludovico il Moro, dai quali si riprometteva un aiuto armato contro Ferdinando nella loro qualità di garanti della pace del 1486.
Nel frattempo il sovrano aragonese si era preoccupato di tessere una fitta rete diplomatica che lo cautelasse dall'intervento di Lorenzo il Magnifico e di Ludovico il Moro, cercando di isolare il pontefice e costringerlo a risolvere la questione con le sue sole forze.
Per prevenire la diplomazia di Ferdinando il G. si mosse in incognito. Raggiunse Lorenzo de' Medici a Ospedaletto, presso Pisa, dove il Magnifico attendeva a certe cure termali, e gli espose i desiderata del papa. Il Magnifico tergiversò, mal considerando qualsiasi iniziativa che potesse turbare la pace da poco raggiunta dagli Stati italiani. Tramite il G., Lorenzo consigliò al papa le virtù della pazienza e della tolleranza, nonostante convenisse che l'onore della S. Sede era stato messo a dura prova da Ferdinando. Innocenzo VIII accolse negativamente l'esito di questo primo incontrò e inviò il G. a Milano.
Il G. partì da Firenze il 10 ott. 1487 e arrivò a destinazione il 19. Accompagnato da una comitiva di otto servitori e dieci cavalli, fissò la sua dimora nel convento di S. Maria di Baggio, mascherando lo scopo reale della sua venuta con la tutela di certi interessi dei padri di S. Gerolamo. Incontrato il Moro, nuovamente il G. ricordò, come aveva fatto con il Magnifico, la garanzia di pace giurata da Milano, e ne richiese l'intervento. Anche lo Sforza prese tempo, tanto più che la sua salute in quei giorni non era affatto buona. La risposta andò particolarmente per le lunghe, tanto che la permanenza del G. a Milano durò dalla seconda metà d'ottobre 1487 all'ottobre 1490. In questi tre anni si occupò di questioni esterne alla missione e intrattenne corrispondenza con numerosi amici romani e con uomini assai vicini a Innocenzo VIII, quali il vescovo di Urbino Gian Pietro Arrivabene e Girolamo Calagrano.
Dalle sue lettere di questo periodo, pubblicate da E. Carusi, risulta l'incertezza politica di Innocenzo VIII, che aveva quasi abbandonato il nunzio a se stesso, non dirigendone direttamente le mosse e lasciandolo per lungo tempo senza istruzioni e senza notizie sull'evolversi dei fatti anche più importanti, costringendolo ad attingere le informazioni dagli uomini dell'entourage ducale. La sua corrispondenza finisce quindi per informare sulla vita quotidiana della corte e della città di Milano, nonché sul suo tempo libero, quando leggeva e si intratteneva con i numerosi dotti della città.
In quella corte il G. fu incaricato di ottenere dal Moro il permesso di costruire un castello nella valle di Oneglia per Domenico Doria, parente del papa e capitano della guardia pontificia, ma il progetto non ebbe esito felice. Il G. ottenne invece l'investitura del monastero di Arona, terra dei Borromeo, per Girolamo Calagrano, stretto consigliere di Innocenzo VIII; fu inoltre strumento del pontefice sia per riscuotere la decima sia per portare la pace tra Galeotto e Anton Maria della Mirandola, invero con scarsi risultati. Anche lo Sforza utilizzò il G. per ottenere dal papa favori per i propri protetti, facendo riconfermare Girolamo Landriani generale degli umiliati, e ottenendo l'arcivescovato di Milano per Guidantonio Arcimboldi, fratello del defunto presule Giovanni. Tuttavia lo scopo principale della missione anche stavolta fallì, giacché il Moro evitò prudentemente di fomentare le aspirazioni bellicose di Innocenzo VIII. Sul finire del 1491 il G. arrivò a Pisa, chiamato da Lorenzo de' Medici, che intendeva affidargli l'educazione del figlio, il cardinale Giovanni, futuro Leone X. In questo compito il G. succedeva al Poliziano e a Bernardo Michelozzi, figlio dell'architetto omonimo, che di Giovanni era stato il vero precettore. In questo anno il G. istruì il giovane soprattutto nel cerimoniale liturgico ed ecclesiastico, dedicandosi contemporaneamente alla cura delle lettere dell'Ammannati.
Una volta a Roma il G. intrattenne corrispondenza epistolare con uomini illustri e si legò ai cardinali Francesco Soderini, Giuliano Della Rovere e ovviamente, Giovanni de' Medici. Morto nel 1492 Innocenzo VIII, il G. si ritirò nuovamente a Volterra, e scrisse il suo Diarium, concepito come prosecuzione dei Commentarii dell'Ammannati, a loro volta appendice di quelli di Pio II.
Le vicende descritte nel Diarium prendono inizio dal settembre 1479 per arrestarsi all'agosto 1484, nonostante il G. ne avesse proseguito la stesura fino alla sua morte. Per quanto relativa a un arco cronologico ristretto, l'opera rappresenta una fonte ricchissima per le vicende del quinquennio sia per la varietà e l'importanza dei fatti narrati, sia per il numero dei personaggi descritti. Dimostrandosi apparentemente imparziale di fronte alle fazioni curiali che agitavano il pontificato di Sisto IV, il G. fornisce di alcune figure una brevissima nota biografica, chiusa da un conciso giudizio personale.
Tutto il Collegio cardinalizio - allora composto da poco più di venti porporati - sfila nelle pagine del Diarium. Giuliano Della Rovere, eletto cardinale nel dicembre del 1471 col titolo di S. Sabina, è descritto come capace di sostenere quattro diverse legazioni, titolare di tre chiese cattedrali, di ingegno acuto ma di mediocre cultura, ricco invece di molta "suppellettile" e gran quantità di argento. Tra i porporati, il G. dimostra stima particolare per il futuro vescovo di Volterra, F. Soderini, che era il primo tra i cardinali diaconi nel 1481: uomo pio e di indole mansueta, dotato di non mediocre dottrina, protettore dei letterati. Il G. non tace inoltre sull'opposizione incontrata in seno al concistoro dalla nomina cardinalizia di Giovanni d'Aragona, sebbene uomo di ingegno acuto e severi costumi.
Per la composizione della sua fitta corrispondenza (Arch. segreto Vaticano, Arm. XLV, vol. 36), edita da E. Carusi, sembra che il G. si sia ispirato ai modelli epistolari offerti dai Commentarii di Pio II. Quest'ultimo rappresenta la fonte da cui il G. attinse per le vicende degli anni anteriori a quelli da lui considerati.
Seppur invitato a Roma da Pio III e Giulio II, nella parte finale della sua vita il G. preferì trattenersi a Volterra, dove continuò la sua corrispondenza. In una lettera indirizzata a Marsilio Ficino, probabilmente del settembre 1496, il G. lo informa di avere ricevuto il suo scritto De Sole et lumine; non è noto se compito del G. fosse quello di rivederne il testo, ma la cosa appare verosimile. In questi anni il G. tornava solo occasionalmente a Roma, dove sembra che ancora godesse di ottima fama. In una missiva del 1510 indirizzata a F. Soderini, racconta di una cena cui partecipò, ospite del cardinale Alessandro Farnese, poi Paolo III, nella sua villa lungo la via Aurelia. Solo nel 1512 arrivò per il G. la desiderata dignità episcopale, quando Giulio II lo nominò vescovo di Segni. L'anno seguente Leone X lo trasferì alla ben più importante sede vescovile di Aquino, ricoprendolo di altri speciali favori. Come vescovo d'Aquino il G. partecipò all'ottava e nona sessione del concilio Lateranense, tenute rispettivamente il 17 dic. 1513 e il 5 maggio 1514.
Nel settembre del 1516 il G. terminava a Roma la sua lunga vita. I funerali ebbero luogo nella cattedrale di Volterra e furono organizzati dai nipoti Michele e Niccolò.
Edizioni: Il Diario romano di J. Gherardi da Volterra dal VII settembre MCCCCLXXIX al XII agosto MCCCCLXXXIV, a cura di E. Carusi, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXIII, 1904; Dispacci e lettere di G. Gherardi nunzio pontificio a Firenze e Milano…, a cura di E. Carusi, Roma 1909.
Fonti e Bibl.: Volterra, Bibl. Guarnacci, ms. 106 (Fragmenta epistolarum ab Jacopo Gherardio Volaterrano tam suo quam aliorum nomine conscriptarum quibus accedunt nonnula carmina…); Archivio Maffei, Genealogie di famiglie volterrane, s.d., p. 112; Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 3912; B. Falconcini, Elogio di mons. J. G. detto il Volterrano, in Raccolta d'elogi di uomini illustri toscani, II, Lucca 1770, pp. 83-95; G.B. Picotti, L'infanzia di Leone X, Milano 1927, ad indicem; C. De Frede, G., J., in Enc. cattolica, VII, Città del Vaticano 1951, col. 296; L. Pescetti, Le prime nozze di Lucrezia Borgia in una lettera inedita di J. G. a Mario Maffei, in Rassegna volterrana, XXI-XXIII (1955), pp. 1-6; P. Paschini, Tre illustri prelati del Rinascimento…, Roma 1957, pp. 47-52; R. Galli, J. G. umanista (quasi) sconosciuto, in Volterra, II (1963), 3, pp. 3 s.; Id., J. G. detto J. Volterrano, ibid., VII (1968), 6, pp. 6-8; T. Siciliano, J. G. da Volterra. Messo papale a Napoli e vescovo di Aquino, ibid., VII (1968), 10, pp. 10 s.; F.R. Hausmann, Armarius 39, tomus 10 des Archivio segreto Vaticano, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, L (1971), p. 138; C. Falconi, Leone X. Giovanni de' Medici, Milano 1987, pp. 108 s., 124 s.; A. Marrucci, G., J., in I personaggi e gli scritti. Diz. biogr. e bibliografico di Volterra, Volterra 1997, pp. 1013 s.