JACOPO della Pila
Si ignora la data di nascita di questo scultore di origini milanesi, la cui attività è documentata nel Regno di Napoli tra il 1471 e il 1502.
L'individuazione nelle opere della fase iniziale del soggiorno campano di puntuali rispondenze con i modi della plastica romana tra il 1450 e il 1470, e in particolare con la scultura di Andrea Bregno (Abbate, 1974) e di Isaia (Ganti) da Pisa (Id., 1992, p. 22), ha suggerito l'ipotesi di una sua formazione romana precedente l'arrivo a Napoli.
Al 1471 risale la prima opera certa di J., il Monumento sepolcrale del vescovo Nicola Piscitelli nel duomo di Salerno.
Realizzato su commissione del nipote di Nicola, Ettore, presenta una struttura più volte replicata dall'artista e piuttosto consueta nella produzione napoletana del periodo: un sepolcro poggiato su tre pilastrini cui si addossano altrettante Virtù (Fede, Speranza e Carità), segni del merito terreno del defunto, secondo uno schema compositivo che recuperava la tradizione trecentesca, rinnovata nel corso del XV secolo da Donatello e da Michelozzo nel monumento Brancaccio in S. Angelo a Nilo a Napoli. Le figure delle virtù si connotano per alcuni tratti che costituiscono la cifra stilistica di buona parte delle opere riconducibili a J.: i panneggi dal rilievo assai più "grafico" che plastico, i volti perfettamente ovali e le mani dall'anatomia schematica. Sulla cassa emergono, inoltre, i rilievi di tre ghirlande entro le quali sono raffigurati s. Matteo, una Madonna col Bambino e s. Marco, modellati attraverso una morbida definizione delle linee. Morisani (pp. 39 s.) ipotizzava un'attiva presenza di collaboratori nel monumento, individuabile in particolare nei rilievi della cassa.
Nel 1473 risulta una serie di pagamenti per la realizzazione di alcune fontane di marmo in Castel Nuovo, oggi perdute (Filangieri, VI, p. 282).
Tra l'ottavo e l'inizio del nono decennio sono collocabili tre monumenti funebri, la cui attribuzione risulta fondata esclusivamente sulla base di stringenti analogie tipologiche e precise somiglianze stilistiche con la tomba Piscitelli e con i lavori successivi. Si tratta dei sepolcri di Garzia Cavaniglia e di Antonio Carafadetto Malizia per le chiese napoletane di Monteoliveto e S. Domenico Maggiore, nonché di quello di Diego Cavaniglia, scolpito in S. Francesco a Folloni presso Montella e datato 1481.
Il monumento olivetano reca la problematica data 1453 che Abbate (1992, p. 21), tuttavia, per ragioni stilistiche considera non riferibile all'anno dell'effettiva esecuzione, da spostare in avanti di almeno un ventennio.
Di datazione incerta, ma accostabile alla tomba del Carafa in base alla inequivoca somiglianza delle virtù, è anche il sepolcro di Costantino Castriota in S. Maria la Nova a Napoli.
J. elaborò, in questi anni, una maniera sempre più incline all'impiego di moduli classicheggianti, sia pure non priva di debolezze, nel modellato dei panneggi, dei visi e delle capigliature, accentuando la rigorosa simmetria degli impianti compositivi e mutuando talune suggestioni dall'opera napoletana di Domenico Gaggini.
Sebbene da verificare, pare plausibile l'ipotesi (Abbate, 1992, p. 22) che J. avesse potuto perfezionare la propria conoscenza della scultura classica frequentando la ricca e importante collezione napoletana di Diomede Carafa, figlio del Malizia e probabile committente della tomba del padre. J., peraltro, doveva aver preso parte, con ogni probabilità, alla realizzazione del sepolcro dello stesso Diomede in S. Domenico Maggiore, datato 1470, collaborando con Gaggini, responsabile del progetto, e con Tommaso Malvito.
A J., che già Valentinier (pp. 116 s.) aveva individuato quale autore dell'intero complesso, sono oggi ascrivibili (Abbate, 1992, p. 19) soltanto la figura del defunto e, pur con qualche dubbio residuo relativo alla sensibile differenza rispetto alle altre Virtù realizzate dallo scultore, quella della Prudenza.
È possibile altresì che, sempre nel corso degli anni Settanta, J. lavorasse, sotto la direzione di Pietro da Milano, all'impresa dell'Altare Miroballo in S. Giovanni a Carbonara, un tempo assegnatogli in toto (Id., 1974, p. 472).
Diverse revisioni critiche hanno molto ridimensionato il suo contributo, riducendolo, per via congetturale, alla Pietà del paliotto, al fregio sulla facciata interna sinistra del monumento e ai putti reggistemma (Id., 1992, p. 17).
L'interesse per l'antico, più volte palesato nella sua produzione, è manifesto anche nel Tabernacolo scolpito per la cappella di S. Barbara in Castel Nuovo e attualmente conservato nel Museo civico del castello medesimo, che fu pagato all'artista nel 1481.
Nel 1492 J. stipulò un contratto per la composizione del sepolcro di Tommaso Brancaccio, in S. Domenico Maggiore a Napoli. I lavori furono portati a termine con ogni probabilità nel 1500, dal momento che a quella data si registra la liquidazione dello scultore, per opera di un'erede della committente Giulia Brancaccio.
Nel monumento J. optò nuovamente per una soluzione strutturale analoga allo schema già sperimentato a partire dal sepolcro Piscitelli, con le tre Virtù cariatidi a sostegno della cassa sulla quale giace la figura del defunto, posto su un piano leggermente ribaltato verso l'osservatore. Per la definizione della Madonna col Bambino entro una ghirlanda scelse, inoltre, di adeguarsi alle tendenze fiorentine, recuperando un motivo impiegato diversi anni prima da Antonio Rossellino nella tomba di Maria d'Aragona nella chiesa di Monteoliveto. Gli angeli reggicortina esibiscono un panneggio raffinato soprattutto nelle pieghe della parte inferiore delle vesti e una definizione delle superfici non esente, anche in questo caso, dall'influenza del modellato di Domenico Gaggini.
Nel 1494 gli venne commissionato un sepolcro da Niccolò d'Alagno, da eseguire esplicitamente sull'esempio del monumento donatelliano in S. Angelo a Nilo, e oggi conservato nel Museo Filangieri di Napoli.
Al 1502 risale l'ultima attestazione d'archivio dell'attività di J., quando ricevette l'incarico di realizzare un altare di marmo per Jacopo Rocco, di cui le testimonianze non specificano il luogo di collocazione.
La data di morte di J. non è nota.
Fonti e Bibl.: G. Filangieri, Documenti per la storia, le arti e le industrie delle provincie napoletane, III, Napoli 1885, pp. 15-27; VI, ibid. 1891, pp. 282-284; W.R. Valentinier, A Madonna statuette by Domenico Gagini, in Art in America, XXV (1937), pp. 104-117; Sculture lignee della Campania (catal.), a cura di R. Causa - F. Bologna, Napoli 1950, pp. 118-120; O. Morisani, Il monumento Piscitelli nel duomo di Salerno, in Boll. di storia dell'arte, I (1951), 2, pp. 37-41; F. Abbate, Problemi della scultura napoletana del '400, in Storia di Napoli, IV, 1, Napoli 1974, pp. 471 s.; Castel Nuovo. Il Museo Civico, a cura di P. Leone De Castris, Napoli 1990, pp. 108 s.; F. Abbate, La scultura napoletana del Cinquecento, Roma 1992, pp. 5, 7 s., 12 s., 18 s., 20-22, 23 s., 25 s., 40, 42 (con bibl.); F. Negri Arnoldi, La scultura del Quattrocento e del Cinquecento, in Storia e civiltà della Campania. Il Rinascimento e l'età barocca, a cura di G. Pugliese Carratelli, Napoli 1994, p. 150; F. Abbate, Storia dell'arte nell'Italia meridionale. Il Sud angioino e aragonese, Roma 1998, pp. 203, 210.