JACOPO da Verona
Figlio di Silvestro e di Agnese, è documentato a Verona, nella contrada di S. Cecilia, dal 1388 al 1442; la data di nascita 1355 è ricavabile dall'anagrafe contradale del 1425, dove J. risulta essere settantenne. Se ne ha la prima menzione in un atto di locazione rogato il 26 apr. 1388 nel convento veronese di S. Domenico; a questa data deteneva la qualifica di pittore ed era orfano di padre. La madre sposò in seconde nozze un certo pittore Lamberto, scomparso prima del 1414; il ruolo del patrigno nella formazione di J. non è precisabile. Negli estimi della contrada di S. Cecilia per gli anni 1409, 1418, 1425 e 1433, il nominativo di J. è allibrato per somme gradatamente minori, ma sempre cospicue, segno di indubbia agiatezza economica; in città l'artista possedeva, oltre alla casa di S. Cecilia, un immobile con terreno in contrada S. Maria Antica. Di un'autorevolezza sociale correlata allo status raggiunto fa forse fede la reiterata presenza di J. in qualità di teste, dall'inizio del 1400, in contratti e testamenti di terzi, fra i quali quello del collega Martino da Verona (27 sett. 1412; Brenzoni, pp. 198 s.).
Dalla moglie Agnese di Giovanni de Maciis J. ebbe i figli Lamberto, Battista e Silvestro, i primi due dei quali anch'essi pittori. Lamberto, documentato come attore e come teste in alcuni istrumenti degli anni Novanta (1394, 1396), era già morto nel 1399, quando la moglie Costanza di Bonamonte gli subentrò in un contratto di locazione. Battista (nato nel 1385) sposò nel 1406 Grandilia di Bartolomeo, dalla quale ebbe il figlio Jacopo, più tardi pittore sotto il cognome "dalle Lance"; visse nella casa natale fin oltre la morte di J., del quale si può supporre fosse allievo e collaboratore. Silvestro, pellicciaio di professione (Levi D'Ancona, p. 62), era già defunto nel 1427. Il 7 apr. 1414, in procinto di partire per Santiago di Compostela, J. testava, destinando alla moglie la proprietà di S. Maria Antica e istituendo eredi universali i figli Battista e Silvestro; tali disposizioni vennero confermate in un secondo testamento dell'8 febbr. 1423. Il 18 nov. 1427, intervenuta la morte della consorte e di Silvestro, J. cassò le precedenti volontà e investì dei propri beni il solo Battista; in quest'occasione chiese sepoltura nel cimitero della chiesa di S. Gregorio, affidando i riti di suffragio alla locale Compagnia dei Battuti. Nel maggio 1436 venne ascoltato dalle autorità veronesi in merito a una festa tradizionale "super Platea Magna", della quale era stato una volta protagonista in veste di "imperatore" (Brenzoni, p. 152).
Un documento amministrativo del 1493 lo indica vivente fino al 1442; la notizia è confermata dall'estimo di S. Cecilia dell'anno 1443, nel quale il figlio Battista fu registrato come "quondam Jacobi".
La trama dei dati relativi alla vicenda dell'artista è stata ricostruita nel 1906 da G. Biadego, le cui ricerche hanno fugato i dubbi - emersi a più riprese nell'Ottocento per ragioni cronologico-stilistiche e di omonimia - di un'identità con Jacopo Avanzi, data addirittura per certa da Cavalcaselle e Crowe (p. 170). Vano è apparso lo sforzo per documentarne l'attività professionale: l'unica notizia pervenuta riguarda l'intervento del pittore, quasi cinquantenne, nei perduti freschi degli appartamenti di Castelvecchio, promossi da Francesco Novello da Carrara, signore di Padova, dopo la presa di Verona (1404).
L'identificazione di Jacopo "quondam Silvestri de S. Cecilia" con lo "Jacopo da Verona" tout court che le fonti ricordano attivo nel cosiddetto oratorio di S. Michele a Padova è di fatto addebitabile a Biadego ed è stata accettata dalla critica, nonostante le perplessità avanzate da Gerola e i dubbi ricorrenti di Lucco. Dedicato alla Madonna, l'oratorio sopravvive all'antica chiesa di S. Michele (distrutta nel secondo decennio dell'Ottocento), cui venne addossato dopo il 1390. La decorazione con Storie della Vergine (Annunciazione; Natività e Adorazione dei magi; Ascensione; Pentecoste; Morte della Vergine) fu ordinata da Pietro di Bartolomeo de' Bovi, cugino di un ufficiale della Zecca carrarese e membro di una famiglia forse intrinseca della corte (Medin, pp. 103 s.); nome del committente e nome dell'artefice (nella formula "Pinxit quem genuit Jacobus Verona figuras") sono trascritti in una lapide marmorea del 1397, tuttora in loco. Secondo G.B. Rossetti la firma "Opus Jacobi de Verona" era leggibile anche in chiesa, sugli affreschi nella navata; ciò lascerebbe supporre un impegno non limitato alla cappella Bovi e un diretto rapporto di committenza fra l'artista e i Carraresi, che di S. Michele detenevano il giuspatronato (Portenari). Nelle Storie della Vergine, oggi divise fra la sede originaria e i Musei civici di Padova e in parte consunte, il linguaggio di J. appare indebitato con i modi di Altichiero da Zevio fino al calco, benché trovi accenti caratteristici nella spazialità impacciata e ribaltata in superficie, in una generale semplificazione formale e strutturale, nel gusto cronachistico per i particolari (evidente nella complessa Annunciazione) e le fisionomie (interessanti gli inserti ritrattistici nell'Adorazione dei magi e nella Morte della Vergine, solitamente identificati con gli ultimi signori Carraresi e con i committenti de' Bovi). Patenti risultano negli affreschi le suggestioni da Jacopo Avanzi e Giusto de' Menabuoi, nonché le derivazioni da Giotto, cui J. applica la stessa pratica citazionista riservata ad Altichiero.
Dapprima stigmatizzato come indice di mediocrità (Sandberg Vavalà, Toesca), l'eclettismo di J. è stato gradatamente reinterpretato quale sintomo di complessità culturale (Mellini, Bibbia istoriata…; Pallucchini; D'Arcais, 1973; Grossato, Da Giotto…), con la conseguente rivalutazione dell'artista, oggi considerato personalità "modesta ma non trascurabile" (Spiazzi, p. 155), originale proprio in virtù di questa ars combinatoria (Mori). Il riuso degli stilemi adottati dagli artisti più rinomati nei maggiori cantieri della città (la cappella degli Scrovegni a inizio secolo; il battistero e la basilica del Santo dall'ottavo decennio) potrebbe essere peraltro imputato non a imperizia, ma alla volontà, del pittore e del committente, di esemplare la cappella Bovi su precedenti illustri.
Di difficile soluzione, in mancanza di dati probanti, appaiono i problemi della formazione e del catalogo di Jacopo. Restano una supposizione il suo alunnato presso Altichiero e la presenza accanto al maestro sui ponteggi della cappella di S. Giorgio al Santo, non suffragati da notizia alcuna. Aleatori sono i tentativi di ricostruirne gli spostamenti giovanili tra Verona e Padova sulla scorta dei vuoti nella documentazione veronese, benché la conoscenza approfondita dei fatti d'arte padovani sembri presupporre per il pittore dei soggiorni-studio in città (Pallucchini, Levi D'Ancona). Secondo Lucco (1977), che riscontra nel linguaggio di J. tratti di origine non veneta, l'orizzonte culturale dell'artista andrebbe allargato verso l'espressionismo di marca bolognese. Dopo la riduzione operata da E. Sandberg Vavalà in favore di Martino da Verona, il catalogo di J. - stilato per affinità stilistiche con gli affreschi di S. Michele - si è attestato su pochi numeri, variabili per entità, non adeguatamente scanditi lungo il percorso esistenziale dell'artista e discordemente accolti dalla critica: un fresco con Madonna dell'Umiltà con s. Giovanni e committente (Padova, Musei civici agli Eremitani), staccato da un locale adiacente all'oratorio di S. Michele; parte degli affreschi della cappella di S. Ludovico in S. Benedetto (distrutti) e della cappella Sanguinacci nella chiesa degli Eremitani (in pessimo stato) a Padova; il trittico murale frammentario con la Crocifissione nella chiesa padovana di S. Nicolò; un quadrilobo con Madonna e Bambino (Padova, Museo Antoniano); il tondo con lo stesso soggetto proveniente dalla chiesa degli Eremitani e oggi ai Musei civici di Padova, attribuito però a J. dalla sola Francesca D'Arcais (1973, 1986), che riscontra la mano dell'artista anche nel Polittico Boi e nell'arcosolio di Aventino Fracastoro (entrambi a Verona, Castelvecchio). Tornano a essergli attribuiti con cautela (Moench Scherer, Richards) i quattro santi della tomba di Giovanni Salerni in S. Anastasia a Verona, già sottrattigli da E. Sandberg Vavalà.
Da abbandonare sembra ormai l'ipotesi di uno J. attivo anche sul versante miniaturistico. I codici di manifattura padovana che gli sono stati riferiti (la Bibbia istoriata divisa tra Rovigo, Biblioteca dell'Accademia dei Concordi, Fondo Silvestri, 212, e Londra, British Library, Add.Mss., 15277; gli Antifonari della collegiata di S. Giustina di Monselice, conservati a Padova, Biblioteca capitolare, E 18-20, 22-24; il Liber de principibus Carrariensibus et gestis eorum di P.P. Vergerio della Biblioteca civica di Padova, Mss.B.P., 158; la Chronica de Carrariensibus della Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, Mss. lat., X, 381 [=2802]), tutti assai prossimi nei modi, vengono oggi opportunamente inseriti in una koinè neogiottesca legata ai cicli pittorici di secondo Trecento, nell'ambito della quale J. va considerato più un ispiratore che un esecutore (La miniatura a Padova…; Minazzato).
Fonti e Bibl.: A. Portenari, Della felicità di Padova, Padova 1623, p. 438; G.B. Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture e architetture di Padova, Padova 1776, pp. 239 s.; G.B. Cavalcaselle - J.A. Crowe, Storia della pittura in Italia, IV, Firenze 1887, pp. 166-171; D. Zannandreis, Le vite dei pittori, scultori e architetti veronesi, Verona 1891, pp. 24 s.; G. Biadego, Il pittore J. da V. (1355-1442) e i dipinti di S. Felice, S. Giorgio e S. Michele di Padova, in Coltura e lavoro, XLVII (1906), 1, pp. 2-4 n. 2, 18-22; A. Medin, I ritratti autentici di Francesco il Vecchio e di Francesco Novello da Carrara ultimi principi di Padova, in Boll. del Museo civico di Padova, XI (1908), 4-5, pp. 100-104; E. Sandberg Vavalà, La pittura veronese del Trecento e del primo Quattrocento, Verona 1926, pp. 208 s., 212-217, 252-255; S. Bettini, Giusto de' Menabuoi e l'arte del Trecento, Padova 1944, p. 103; P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, p. 792; G. Folena - G.L. Mellini, Bibbia istoriata padovana della fine del Trecento, Venezia 1962, pp. XXXII- XXXVII; G.L. Mellini, Disegni di Altichiero e della sua scuola, 2, in Critica d'arte, IX (1962), 53-54, pp. 11-13, 18 s.; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 150 s.; M. Levi D'Ancona, Un Dante della Marciana e J. da V., in Commentari, XIX (1968), 1-2, pp. 60-79; R. Brenzoni, Diz. di artisti veneti. Pittori, scultori, architetti, etc. dal XIII al XVIII secolo, Firenze 1972, pp. 151-156, 198 s.; F. D'Arcais, J. da V. e la decorazione della cappella Bovi in S. Michele a Padova, in Arte veneta, XXVII (1973), pp. 9-24; Da Giotto al Mantegna (catal.), a cura di L. Grossato, Milano 1974, p. 15 e schede 57-59; M. Lucco, "Me pinxit": schede per un catalogo del Museo Antoniano, in Il Santo, XII (1977), 1-2, pp. 262-266; F. D'Arcais, Pittura del Duecento e del Trecento a Padova e nel territorio, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, I, pp. 170 s.; Id., J. da V., ibid., II, pp. 586 s.; Da Giotto al tardogotico: dipinti dei Musei civici di Padova del Trecento e della prima metà del Quattrocento (catal.), Roma 1989, pp. 17, 81-84 (schede a cura di E. Cozzi, con bibl.); E. Moench Scherer, Verona, in La pittura nel Veneto. Il Quattrocento, I, Milano 1989, pp. 151-153; E. Cozzi, Verona, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, Milano 1992, pp. 351 s.; M. Lucco, Vicenza, ibid., p. 290; G. Mariani Canova, La miniatura veneta del Trecento tra Padova e Venezia, ibid., pp. 392 s.; A.M. Spiazzi, Padova, ibid., pp. 155 s., 158 s.; G. Mariani Canova, La miniatura padovana nel periodo carrarese, in Attorno a Giusto de' Menabuoi. Aggiornamenti e studi sulla pittura a Padova nel Trecento, Treviso 1994, pp. 25 s., 28-31, 36; La miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento (catal.), Modena 1999, pp. 152, 173 s., 190; J. Richards, Altichiero. An artist and his patrons in the Italian Trecento, Cambridge 2000, pp. 226 s. e ad ind.; M. Minazzato, La miniatura a Padova nel Trecento, in Giotto e il suo tempo, Milano 2000, p. 239; G. Mori, J. da V., ibid., pp. 221-228 (con bibl.); U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVIII, p. 286 (G. Gerola).