Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Jackson Pollock domina la realtà dell’avanguardia artistica americana degli anni Quaranta e Cinquanta. Inaugura una prassi artistica nuova, analoga al principio della scrittura automatica surrealista, che ha come centro il corpo e il gesto, divenuto una sorta di strumento del colore sulla tela. Nella sua opera la pittura attinge a una dimensione rituale. L’esistenza breve e tormentata ha contribuito a farne una delle leggende dell’arte moderna.
Totem
Jackson Pollock è il primo artista americano la cui fortuna sia stata direttamente influenzata dai mezzi di comunicazione di massa. Singoli aspetti della sua personalità tormentata e del suo lavoro di pittore sono stati esaltati sulla stampa al punto da farne, ancora in vita, una leggenda.
Pollock fa esperienza nel campo della pittura murale su grandi superfici accanto al pittore Thomas Hart Benton, famoso per i grandi cicli nello stile figurativo e muscolare del regionalismo, una corrente interna alla American scene, il realismo antimodernista degli anni Venti e Trenta.
Conosce il modernismo delle avanguardie europee visitando mostre importanti organizzate al Museum of Modern Art come Cubism and Abstract Art del 1936, Fantastic Art, Dada, Surrealism del 1939, Picasso. Forty years of his art del 1940 e Miró del 1941.
Dalla metà degli anni Trenta dipinge in uno stile astratto vicino al cubismo soggetti mitici e totemici come metafore dell’inconscio, nel filone del surrealismo. Birth è un dipinto realizzato tra il 1938 e il 1941, in cui con un richiamo esplicito a Les Demoiselles d’Avignon (1907) di Picasso, realizza una composizione centrifuga, dalla superficie scabra, il soggetto della quale ricorda le pitture effimere di sabbia degli indiani navajo, che Pollock ammira da tempo, sia dal punto di vista formale sia per il loro significato religioso. Tra il gennaio e l’aprile 1941 visita più volte la mostra Indian Art of the United States al Museum of Modern Art. Si appassiona all’arte dei nativi, ai totem e all’animismo immanente e panteistico degli sciamani che associa agli interessi giovanili per Krishnamurti e la teosofia. A causa di sofferenze personali incontra la psicanalisi junghiana e la sua pittura si arricchisce di nuove immagini come quella della donna-luna (The Moon-Woman, collezione privata).
La psicanalisi e lo studio dell’inconscio divengono in quegli anni un importante paradigma culturale, tuttavia Pollock invece di esplorare l’universo onirico soltanto sul piano dei contenuti (metafore e simboli), come avevano fatto i surrealisti, dagli anni Quaranta convoglia il suo intervento sulla tecnica. Rinnova il procedimento surrealista della écriture automatique, in cui l’uso di tecniche pittoriche con una forte componente casuale (frottage, raclage, decalcomania) funziona da stimolo per associazioni inconsce che i surrealisti rielaboravano poi in modo cosciente. Pollock elimina questo secondo stadio, così che la tecnica pittorica assume un nuovo significato rivoluzionario. Non è più un semplice incentivo per la creatività dell’artista ma il mezzo attraverso cui l’inconscio si esprime direttamente. L’artista – al pari dello sciamano – raggiunge uno stato di somma chiarezza spirituale e lascia sgorgare la pittura dall’inconscio senza mediazioni, con violenza e verità. L’azione di dipingere assume dunque lo stesso valore artistico del dipinto finito.
Drip-paintings
Dopo avere esposto con regolarità alla galleria Art of this century di Peggy Guggenheim, nel 1948 tiene una nuova mostra personale con la gallerista Betty Parsons. È una esposizione dirompente. Pollock presenta 17 opere, tutte eseguite con la sola tecnica del dripping (o pouring, “sgocciolamento”). Per dripping si intende un sistema di aspersione del colore (a olio, ma più frequentemente smalti industriali) sulla tela per mezzo di bastoni, mestichini o coltelli, mescendo direttamente dal tubo o dal barattolo. Non è una tecnica nuova, era nota a Francis Picabia , a Max Ernst, a Hans Hofmann e ai muralisti messicani, ma Pollock è il primo artista a usarla in modo così ampio e originale.
Full Fathom Five, tra i dipinti presentati alla Betty Parsons Gallery nel 1948, è una delle opere più acclamate di Pollock. Gli sgocciolamenti e le colature malva, blu, verde, grigio chiaro, antracite, unite a campiture di colore incrostato con la spatola, generano una matassa densa e permeabile che comunica un senso di profondità marina, punteggiata da bagliori bianchi delle increspature di spuma. Tra le colature di colori industriali e a olio sono incastonate puntine, tappi, bottoni, fiammiferi, chiavi, ciottoli, chiodi, pettini, monete, mozziconi di sigarette, con un metodo comune presso i muralisti messicani, in particolare David Alfaro Siqueiros, e gli artisti dada. Come spiega Ellen G. Landau in un contributo recente (L’America di Pollock), gli oggetti interpolati alla pittura seguono lo schema di un sotterraneo progetto figurativo. Il dipinto nasce da una figura maschile e i materiali extrapittorici ne evidenziano i punti vitali. Poi il pittore procede con velature successive per nascondere e astrarre in una matassa di linee gocciolate la figura iniziale. Il titolo poetico del dipinto – proposto da Ralph Manheim, traduttore americano dei testi di Carl Gustav Jung, e subito accettato da Pollock – è il primo verso della canzone di Ariel ne La Tempesta di William Shakespeare (“Cinque tese sott’acqua / Tuo padre si giace / Si son fatte sue ossa / Coralli di brace / Son gli occhi d’allora / Perle chiare [...]”). L’immagine, ripresa anche da James Joyce nell’Ulisse, era oggetto di interpretazioni psicanalitiche, che ne riconoscono una metafora dell’inconscio e del processo personale di individuazione. Nell’opera di Pollock l’immagine si rinnova in un’astrazione naturalistica di immensa suggestione.
Dopo la mostra del 1948 la stella di Pollock è in ascesa. Con le astrazioni lineari dei drip-paintings diventa l’artista guida della nuova avanguardia newyorkese.
Continua a lavorare in questo solco realizzando capolavori come Authum Rhythm (Number 30), 1950, la cui esecuzione è documentata dalle fotografie di Hans Namuth. Pollock, elegante come un atleta, si muove in una danza rituale attorno alla tela distesa sul pavimento dello studio di The Springs (East Hampton, Long Island, NY). Gesti ampi controllano intuitivamente la casualità dello sgocciolamento del colore, il percorso rotatorio attorno ai quattro lati della tela intreccia un all over painting senza subordinazioni. E l’effetto finale è una sintesi equilibrata tra nuclei di pittura agglomerata e pause di supporto libero da interventi.
Il servizio fotografico, ma soprattutto il film che ne è seguito contribuirà allo sviluppo della performance art, ma nella vita di Pollock coincide con l’inizio di una consunzione fisica e psichica irreversibile e crescenti difficoltà creative. Nel 1950 aveva realizzato un dipinto Number 1 (Lavender Mist) dove l’astrazione lineare unitaria e ritmica (all-over) raggiungeva livelli di altissima tensione. Le colature argento, salmone, nere e bianche si fondono in un tappeto cromatico tenue, brumoso e immateriale come vapore. Pollock non raggiungerà più una simile potenza espressiva.
Alla ricerca di nuove strade per esprimersi, abbandona gli all-over-paintings, ritornando a composizioni strutturate con una distinzione netta tra sfondo (supporto) e figura (il colore nero) e sviluppa la serie Black paintings. Opere raffinate come Echo: Number 25 incontrano l’approvazione della critica, senza però eguagliare i vertici di qualità del periodo classico.
La vicenda di Pollock, segnata dalla complessità emotiva, dalle sofferenze esistenziali e conclusa dalla morte prematura in un incidente d’auto, propone, negli stessi anni in cui Marlon Brando è protagonista de Il selvaggio, i cliché dell’antieroe americano che si scaglia contro la mediocrità ottimista dell’american way of life e la nascente società dei consumi. La fotografia pubblicata su “Life” (8 agosto 1949) diventerà un’icona di costume, diffondendo un’immagine di artista misantropo ed eccentrico che conduce un’esistenza estrema. E rilancia dagli Stati Uniti il tema tardo romantico dell’arte che consuma la vita, apparso in Europa quasi un secolo prima.