PANNAGGI, Ivo
PANNAGGI, Ivo. – Nacque a Macerata il 28 agosto 1901. Fu registrato come figlio di Amedeo Umberto, tipografo e assicuratore, e di Maria Caramico, ma era figlio naturale di Erso Zampini (1884-1957), proprietario di concerie e distillerie a Esanatoglia, che gli assicurò il sostegno per studiare e viaggiare.
Durante gli studi classici a Macerata iniziò da autodidatta un percorso di formazione artistica e dal 1917 si fece conoscere con vignette e caricature, di tono antiaustriaco e antitedesco, e di impostazione art nouveau ma già con accenti futuristi, pubblicate su L’Onorevole 509, Numero e Il Corriere dei piccoli. Nel 1919 si trasferì a Roma per seguire i corsi di fisica e matematica alla Sapienza; nel 1922 si iscrisse alla Scuola di architettura e frequentò l’ambiente delle avanguardie confrontandosi con futuristi, dadaisti, cubisti e astrattisti nel circolo dei Bragaglia, manifestando subito quelle che sarebbero state le sue caratteristiche salienti: la tempestività nel recepire suggestioni avanguardistiche da far confluire in una linea interpretativa autonoma dell’arte e la capacità di operare in ambiti diversi.
Nei primi anni, sotto il segno della sintesi plastica del futurismo romano, e in contatto con il purismo francese, il costruttivismo russo-tedesco e l’avanguardia statunitense, tali ambiti furono la pittura, la scultura, la caricatura, la scenografia teatrale, la progettazione di interni e di oggetti, la grafica e il fotomontaggio. Negli anni della maturità l’architettura, il design, la critica d’arte e il reportage.
Il debutto avvenne nel 1921: a gennaio sulla prima pagina della rivista dadaista Bleu pubblicò un disegno, Nudo di donna, all’interno di un articolo di Julius Evola e in marzo in una collettiva alla Casa d’arte Bragaglia, trasferita in via degli Avignonesi, espose le opere, disperse, Barchevento e Mia madre legge il giornale (1919), la seconda replicata più volte. Quelli romani furono anni di intensa attività espositiva, in Italia e all’estero, con il sostegno di Filippo Tommaso Marinetti, Giacomo Balla ed Enrico Prampolini. Partecipò alla Mostraitaliana d’arte d’avanguardia per le celebrazioni dantesche a Praga, Berlino (dove Katherine S. Dreier acquistò la tela Il rematore), Brno e Kosǐce (1921); all’Esposizione internazionale d’arte d’avanguardia a Ravenna (1921)e alle mostre futuriste di Bologna, Torino, Firenzee Düsseldorf (1922). Pubblicato il Manifesto dell’arte meccanica futurista redatto con Vinicio Paladini (La nuova Lacerba, n. unico, 20 giugno 1922, p. 7), ampliato in una seconda redazione sottoscritta pure da Prampolini, organizzò a Macerata la Prima esposizione futurista nell’ambito dell’Esposizione provinciale d’arte (1922). Oltre alle sue produzioni, tra cui il collage Ritratto di Vinicio Paladini, vi ospitò Umberto Boccioni, Prampolini, Balla, Fortunato Depero, Totò Fornari, Antonio Marasco, Federico Scirocco e Paladini; e ne pubblicò il catalogo, dove espose i principi dell’estetica futurista. Nel 1923, dai Bragaglia, presentò il Treno in corsa che fu riprodotto in varie riviste, tra le quali Der Sturm di Berlino, e il rilievo Il pollice- sviluppo plastico della mano sinistra. Nel 1924 fu a Riga e poi a Vienna alla Mostra internazionale di arte teatrale, dove espose alcuni bozzetti oggi dispersi che presentò anche a Milano al Primo Congresso futurista. Nel 1925 prese parte all’Esposizione futurista di Torino. Nel 1926 partecipò alla XV Biennale di Venezia nell’ambito della Mostra del futurismo italiano organizzata da Marinetti nel Padiglione sovietico, e le sue opere – tra le prime non figurative in Italia – furono segnalate dalla critica perché molto innovative: gli oli Funzione architettonica “H03” e “3U”; le tempere Funzione architettonica “PM” e Funzioni elementari “A”, “E” e “K”; il dipinto Il costruttore e due sculture in pietra.
Su richiesta di Dreier (a cui inviò tre collage postali) e nell’ambito delle attività della Société Anonyme (fondata da Dreier, Man Ray e Marcel Duchamp) alcune opere furono esposte negli Stati Uniti (New York, Brooklyn Museum, Anderson Galleries e Arts Council Gallery, 1926-28; New York, New School for social research, e Buffalo, Albright Art Gallery, 1931; New York, Art Department della Columbia University, 1938) e oggi sono in parte conservate alla Yale University Art Gallery di New Haven insieme con altre acquistate da Dreier.
Nel 1925-26 seguì i lavori di casa Zampini a Esanatoglia, realizzando uno dei più importanti esempi di architettura interna futurista.
In un antico edificio dispose quattro ambienti differenziati nella concezione sulla base della funzione, lavorando sui principi dell’arte meccanica con accenti neoplastici e costruttivisti. Due camere sono ancora in situ; la stanza delle radioaudizioni fu smontata nel dopoguerra; l’anticamera è stata donata dagli eredi alla Pinacoteca di Macerata. Di due stanze progettate per casa Benigni a Macerata (1931) rimangono le foto.
La produzione pittorica del periodo romano era stata accompagnata da altre attività, specie nell’ambito della scenografia teatrale. Nel 1922 al Circolo delle Cronache d’attualità della Casa d’arte Bragaglia mise in scena, insieme con Paladini, il Ballo meccanico futurista, eseguito da danzatori russi su polifonia ritmica di motori, e realizzò un costume. Progettò inoltre la scena per La torre rossa di Guido Sommi-Picenardi per l’inaugurazione del teatro degli Indipendenti nei sotterranei della Casa d’arte Bragaglia (18 gennaio 1923). Eseguì pure i pannelli decorativi per le pareti nei locali del bar, in seguito distrutti dall’umidità, tre dei quali oggetto di successive rielaborazioni pittoriche. Nel 1925, ancora agli Indipendenti, realizzò una scena e i costumi per Pierrot fumiste di Jules Laforgue, nell’adattamento di Alberto Spaini, e la scenografia per I prigionieri di Baia di Marinetti (materiale poi anch’esso rielaborato). Sempre al 1925 risale una delle più ardite sperimentazioni: l’impianto scenico di luci parallele alla lanterna magica con un effetto dinamico di ombre grazie alla proiezione del movimento di mimi su pannelli variamente orientati con immagini sovrapposte. Nel 1926 progettò le scene e i costumi per L’angoscia delle macchine di Ruggero Vasari, che non vennero utilizzati, e realizzò il Costume metallico H2G indossato da Pyotr Mikhailovper una danza su musica di Stravinskij. Presentato agli Indipendenti, fu poi alla Deutsche Theater-Ausstellung di Magdeburgo con i bozzetti teatrali e con gli studi per un film di architetture meccaniche che non vide la luce (1927).
Al periodo romano risale anche la fitta produzione di caricature che l’autore definì ‘astrazioni sintetiche’ in quanto al grottesco sostituì una stilizzazione delle fisionomie con accenti puristi. Molte furono pubblicate dal 1923 sull’Index rerum virorumque prohibitorum o Breviario romano di Anton Giulio Bragaglia, e poi su diversi altri periodici. Un nucleo ritrae ufficiali e commilitoni e risale al 1929, l’anno del servizio militare a Bologna. Durante il primo soggiorno tedesco (1926) eseguì caricature di personaggi della Radio di Colonia per un album inedito. Realizzò inoltre illustrazioni per i libri La locanda del bove solare di Antonio Beltramelli e le Scatole d’amore in conserva di Marinetti (entrambi, Roma 1927) e la copertina per L’angoscia delle macchine (Torino 1925) di Vasari. Dal 1923 lavorò anche per la ditta Zampini realizzando pubblicità ispirate al costruttivismo meccanico. Altre furono eseguite per varie aziende.
Nel 1926 conobbe a Roma l’attrice berlinese Alice Wenglor con cui ebbe una relazione e per la prima volta trascorse un periodo in Germania; a questo soggiorno ne seguirono altri che segnarono una nuova fase della sua produzione. Si affiancò allora l’attività di giornalismo, con una serie di articoli da Berlino su L’Ambrosiano, La casa bella, Domus, Quadrante, L’architettura italiana, L’Italia letteraria, che fecero conoscere l’architettura nordeuropea in Italia. Tra il 1928 e 1929, eccetto il servizio militare, fu a Berlino e dipinse il quadro intitolato Motociclisti (ubicazione ignota). Nel 1930 dimorò a Düsseldorf e organizzò al Kaiser Wilhelm Museum di Krefeld una mostra di pittura italiana in cui accanto a suoi lavori di pittura e grafica presentò opere di Severini, Carrà e De Chirico. Nel 1931 a Berlino dipinse il Motociclista (ubicazione ignota) e partecipò alla Herbstausstellung della Berliner Secession. Nel 1932 frequentò il Bauhaus, restandovi per un semestre fino all’avvento di Hitler, e partecipò alla riunione di studenti e docenti per protestare contro la chiusura della scuola. Fra il 1933 e il 1934 si trasferì a Firenze, dove si era iscritto alla Scuola superiore di architettura.
Al 1935 risale il primo soggiorno in Norvegia, sul fiordo di Oslo, da dove scrisse articoli per varie riviste. Qui prese contatto con gli architetti dell’associazione comunista Mot Dag e partecipò al concorso per il progetto della sede della Radio nazionale a Oslo. Nel 1936 a Stoccolma incontrò l’architetto Sven Markelius e raccolse materiali per articoli sull’architettura scandinava. Alla fine dell’anno risale il primo di alcuni viaggi che raggiunsero le zone artiche e antartiche (l’ultimo nel 1940) dai quali inviò una bella serie di articoli per la Gazzetta del popolo ed effettuò anche notevoli scatti fotografici, in gran parte inediti. Nel 1939 sposò la norvegese Nicoline Daae Meinich da cui ebbe tre figli. Nel 1940, per evitare la chiamata alle le armi, fece da interprete arruolato nel DINA (Deutsche Italienische Nachrichten Abteilung). Dopo altri soggiorni in Italia e Germania, nel 1942 si stabilì in Norvegia, prima a Stai poi a Ulnes, dove continuando a dipingere e mantenendosi come fotografo, iniziò il lavoro di architetto con ristrutturazioni di esercizi commerciali, arredi di interni e partecipazioni a concorsi.
I primi progetti di residenze private non furono realizzati, ma alcuni furono presentati su riviste norvegesi e italiane. Nel 1949 fu a Oslo per lavorare nello studio Arneberg & Poulsson al progetto per la fabbrica del Municipio; nel 1950 con Frode Rinnan realizzò la casa del Popolo a Finnmark(quartiere di Oslo) e progettò impianti per le Olimpiadi invernali del 1952. Dal 1954, per tre anni, ebbe un incarico al Riksarkitekten (Ufficio statale di architettura). Nel 1956 e nel 1958 realizzò due ville per i fratelli Olsen-Ruud; nel 1959, sempre a Oslo, l’atelier di Ludvig Eikaas; nel 1960 due ville per i coniugi Øgaard, una a Nord Torpa, l’altra a Cadière d’Azur in Francia; nel 1961 ristrutturò e arredò la villa di Thelma Feinberg a Oslo; tra il 1963 e il 1964 realizzò due case bifamiliari per Leif Andersen.
I tanti progetti non realizzati e la stanchezza di coltivare rapporti con la committenza gli fecero abbandonare l’architettura per un impiego di operaio alla Bakelittfabrikken ad Aurskog presso Oslo. In Norvegia incrementò anche l’opera pittorica con tra l’altro variazioni sui temi dei Motociclisti, dei Centauri e de Il ratto di Europa (1965-68), avviando una seconda fase espositiva che coincise con la valorizzazione critica della sua figura. Anche l’interesse per il design ebbe nuovo impulso. Una sedia in legno laminato ricurvo, progettata nel 1947, fu inviata alla Low Cost Furniture Design Competition del MoMA di New York (1948); altre sedie, progettate e mai prodotte, in macassar, perspex, plexiglas e vetro temperato, sono caratterizzate da funzionalità e resa estetica (1954). Nel 1971 rientrò a Macerata.
L’ultimo decennio fu ancora fitto di mostre, opere di scenografia, saggi e opere grafiche che spesso riproposero i soggetti precedenti. Prima di morire volle donare alla Biblioteca comunale di Macerata un’interessante raccolta documentaria in dieci faldoni pensata come un’autobiografia illustrata nella quale dispose su ogni pagina il materiale in assemblaggi di grande effetto.
Morì a Macerata l’11 maggio 1981. Per volere degli eredi, nella Pinacoteca comunale di Macerata è confluito un nucleo di opere pittoriche, grafiche, progetti e carte.
Scritti: Premessa a Pannaggi, Oslo 1962; Scritti di architettura, a cura di E. Maurizi, Pollenza 1976.
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