IUTA
. È una fibra tessile che si ricava dalla corteccia di varie specie di Corchorus, piante erbacee annuali della famiglia Tiliacee, e specialmente dai C. capsularis L. e C. olitorius L. Queste piante crescono spontanee in regioni tropicali umide dell'Asia e dell'Africa, e si presentano in bassi cespugli denominati volgarmente di malva giudaica. Sono anche coltivate, e se ne utilizzano, oltre che la corteccia per fibra, talvolta anche le foglie per erbaggio. Nell'India dove la coltivazione è estesissima ed è l'unica a fornire la fibra per il mercato mondiale, le piante, in esile fusto verticale, raggiungono l'altezza di m. 1 fino oltre 3.
Il Corchorus capsularis ha foglie ovato-lanceolate, acuminate, seghettate, nelle quali i due denti inferiori sono prolungati in due codette sottili rivolte in basso, fiori piccoli gialli a gruppetti oppositifolî, capsule quasi sferiche schiacciate all'apice, rugoso-muricate.
Il Corchorus olitorius concorda con il precedente, per i fusti, le foglie e i fiori, ma ha capsule siliqueformi cilindriche a 10 angoli, crasse, con rostro conico, aprentisi in 5 valve.
I filamenti della iuta, osservati al microscopio, appaiono costituiti da fibre cilindriche a pareti sottili e largo canale centrale. Queste fibre, lunghe circa 2 mm. e larghe 22,5 μ, sono più o meno smussate o arrotondate alle estremità, e hanno di tratto in tratto delle strozzature; la sezione trasversale dei filamenti è poligonale; contengono molta lignina.
Non è da confondersi con la iuta, la cosiddetta iuta della Cina o di T'ien-tsin, prodotto della Abutilon Avicennae.
Coltivazione e prima lavorazione. - La coltivazione della iuta è molto laboriosa. Occorre intanto che il terreno sia preparato sin dall'autunno, e ripetutamente arato ed erpicato durante l'inverno, fino a predisporlo in buon letto concimato. La semina ha luogo da febbraio a tutto maggio a seconda delle località e delle condizioni atmosferiche, e la si fa con semi ricavati da piante della precedente stagione espressamente mantenute in piedi fino a completa maturazione dei frutti. Coperto il seme, esso germoglia in pochi giorni e le piante raggiungono il completo sviluppo in 3½-4 mesi, durante i quali si procede a ripetute monde delle pianticelle giovani, mentre successivamente le abbondanti pioggie stagionali o gli allagamenti, alternati con periodi d'intenso calore solare, ne favoriscono la rapida crescita. La raccolta si fa durante l'estate al momento che il coltivatore ritiene più opportuno in relazione agli scopi che si prefigge, tagliando le piante al piede e lasciandole giacere per qualche giorno affinché si secchino un poco e se ne stacchino facilmente le foglie.
La raccolta fatta all'inizio della fioritura ha per conseguenza una resa quantitativamente scarsa, però in fibra fina, pulita e facilmente stigliabile, per quanto in genere piuttosto debole perché immatura. Tagliando le piante immediatamente dopo la fioritura, la fibra risulta più abbondante e più forte ma impastata in massa più compatta con le sostanze agglutinate in cui essa si forma; alla maturazione dei frutti corrisponde il massimo della resa, ma la fibra riesce dura e legnosa, di colore e resistenza irregolari, ed esige una macerazione più laboriosa. La resa della coltivazione in fibra stigliata, in raccolti normali, si aggira intorno ai q. 5,5 per acro inglese, pari a circa q. 13,5 per ettaro.
La fibra nella pianta esiste, nella proporzione dal 4 all'8% sul peso della pianta verde, in un sottile strato di materiale agglutinato tra lo stelo legnoso e la scorza esterna. Per ottenerla sciolta e libera bisogna convertire le sostanze gommose e le altre materie vegetali che la tengono prigioniera in sostanze solubili, scopo che si raggiunge con la macerazione attraverso un processo di fermentazione batterica. La macerazione avviene, a seconda delle località e delle disponibilità locali, sia in acqua corrente sia in paludi o in campi in cui si è raccolta l'acqua piovana, tenendo le piante, legate in fasci, sommerse per il tempo necessario. Si procede quindi alla stigliatura, cioè al distacco dallo stelo del suo rivestimento composto della scorza e della massa fibrosa. Il lavoratore, stando nell'acqua, prende ciascuna pianta, ne rompe un'estremità e inserendo le dita tra stelo e scorza macerata che ne forma guaina, sfila il primo.
Ne risulta per ogni pianta come un lungo nastro di filamenti coperti e impastati di residui vegetali gelatinosi che si distaccano maneggiando e sfregando i nastri con le mani o con spatole di legno, staffilandoli sulla superficie dell'acqua, lavandoli e spremendoli ripetutamente, fino a che essi siano praticamente ripuliti da ogni materia estranea. Con parecchi di questi nastri si formano allora delle manelle che dopo un'ultima energica risciacquatura a fondo e in acqua pulita vengono spremute e successivamente sciorinate su canne di bambù all'aperto, dove in poche ore si asciugano.
In questo stato la iuta, grossolanamente selezionata e avvolta in grosse balle cilindriche, è avviata, anche attraverso le vie d'acqua naturali che intersecano la regione e discendono al delta del Gange, verso Calcutta. Quivi, quella destinata all'esportazione è immessa nei magazzini delle presse per la selezione ed il confezionamento definitivi. Si ottengono balle di peso e volume uniformi, composte di grosse manelle di filamenti compresse a 400-500 atmosfere mediante monumentali presse idrauliche. Ciascuna balla è mantenuta compatta mediante una corda di iuta che l'avvolge a spire per tutta la sua altezza, e lega alla balla stessa un'etichetta di tela su cui è stampata la marca che ne distingue la qualità. L'uniformità di volume e di peso delle balle, che è rigorosamente controllata, è necessaria agli effetti commerciali e dei noli marittimi, i quali sono quotati sulla tonnellata-volume convenzionale di 50 piedi cubici = mc. 1,415 pesante kg. 820 circa, corrispondente a 4 ½ balle di iuta normali di cm. 125 × 46 × 45 del peso unitario di 400 libbre inglesi, pari a kg. 181,5 circa.
La funzione dei magazzini delle presse è importantissima ai fini della selezione della iuta. La fibra è infatti, in ragione delle caratteristiche diverse di coltivazione, tutt'altro che uniforme in finezza, regolarità, resistenza, colore, filabilità e aspetto. La fibra saila ha aspetto serico e brillante mentre quella non sana assume aspetto cadaverico. La fibra che dopo la raccolta ha subito fermentazione per umidità non tempestivamente evaporata marcisce irrimediabilmente perdendo ogni consistenza. Si aggiunga che la massa filamentosa corrispondente al piede della pianta (calcio) è in genere, e specialmente se questa è tagliata a maturazione avanzata, ricca di fibre legnose o tracce di radici il cui effetto in filatura è quanto mai dannoso, mentre quella delle punte è stopposa.
Di tutti questi elementi le presse devono, o dovrebbero, tener conto per mezzo dei proprî esperti che sorvegliano il lavoro manuale degl'indigeni nella scelta e ripulitura che precede l'imballaggio per ricavare, dalle grandi partite di fibra che trattano, i numerosi tipi di caratteristiche e di valore differente.
Le caratteristiche della fibra dipendono anzitutto dalla sua provenienza. Così la Naraingunge è iuta coltivata in zone che dispongono di ottima e limpida acqua di fiume: è in genere forte, di colore rossastro al piede e nelle radici ma bianco-crema nella massa; la Serajgunge raccolta nel Bengala centrale, pure servito da buona acqua di fiume, è soffice, pastosa, di moderata resistenza, di colore bianco perlaceo con tendenza al grigio, con poche radici nerastre; la Daisee, in genere della varietà Corchorus olitorius, coltivata nella zona di Calcutta e macerata in acqua stagnante, è sericamente brillante, pastosa e soffice, ma scura, grigiastra fino al bruno; la Tossa è simile alla Daisee, ma più forte e più chiara, tendente al biondo, molto brillante nelle qualità superiori; la Nord Bengala proveniente da zone dove l'acqua corrente scarseggia e per la macerazione nei distretti a valle si adopera acqua di scolo di precedenti macerazioni, dà fibra di qualità mediocre e di colore irregolare; la Dowrah coltivata nei terreni del delta del Gange e trattata con acqua melmosa, è forte, ma dura e fragile, di colore scuro, molto legnosa e mai completamente spoglia di scorza.
Le necessità commerciali hanno portato a una classificazione convenzionale che tiene conto della qualità e della scelta, e ripartisce le marche dette "native" delle iute (per lo più Naraingunge e Serajgunge) in gruppi, in ordine di valore decrescente, che portano le seguenti denominazioni principali: Diamonds, Reds, Firsts, Lightings, Hearts e Mangos. Fanno gruppi a sé, per le speciali caratteristiche di provenienza, le Tossa e le Daisee. Inoltre ciascun imballaggio classifica le proprie ritagliture in due gruppi principali denominati Rejections e Cuttings che contengono in minore o maggior proporzione rispetto alla fibra i calci e fibre legnose.
Ogni anno la Calcutta Baled Jute Association pubblica un volume con descrizione sommaria dei tipi o delle marche che ciascun imballatore o venditore adotta, e di cui è garantita la corrispondenza con quelli omonimi delle due annate precedenti, oppure con marche già note di altri imballatori. Sui mercati europei le marche della Calcutta Baled Jute Association si contraddistinguono anche, esclusivamente agli effetti delle quotazioni, con l'indine H. A. R. B. riferentesi al prezzo "cif" Amburgo, Anversa, Rotterdam e Brema.
Un elenco, più ristretto, delle marche dell'Associazione di Calcutta, è annualmente edito dalla London Jute Association i cui membri s'impegnano a certe norme e clausole arbitrali risultanti dal loro contratto tipo, universalmente riconosciuto, il quale include tutte le condizioni di garanzia, ivi compreso l'arbitraggio per le qualità. Le marche di questo elenco assumono la qualifica di "actual L. J. A. marks", e ad esse corriponde una maggiore garanzia di qualità.
A Dundee, centro principale dell'industria iutera britannica, le "actual marks" della London Jute Association assumono la denominazione di "Grade marks", e le migliori di ciascun gruppo costituiscono le classi di maggior valore qualificate "Good marks". Fra di queste, alcune poche, attualmente cinque, sono considerate il fiore di ogni gruppo e si chiamano "Crack marks". Alcuni imballatori usano anche classificare i proprî tipi con marche private che non appaiono nell'elenco della Calcutta Baled Jute Association, ma sono garantite dal credito che esse godono tra i filatori.
La iuta greggia che si esporta dall'India viene imbarcata tutta nei porti di Calcutta e di Chittagong. Il suo prezzo si contratta generalmente in lire sterline per tonnellata inglese di 2240 libbre = kg. 1016, resa nei porti europei. La iuta per l'industria locale si tratta in rupie per balla di 400 libbre loco. Essa non paga le tasse di esportazione e di fiume che invece gravano sulla iuta destinata all'estero, tasse attualmente ammontanti a circa lire-oro 5 per quintale.
La produzione della iuta greggia in India fu negli anni 1927-1928 di circa tonnellate 1.800.000 pari a 10 milioni di balle; salì a tonnellate 1.950.000 nel biennio 1929-30 per scendere, a causa della crisi, a tonn. 1.000.000 nel 1931. Dal 1930 al 1931 la superficie coltivata a iuta scese da ha. 1.413.143 a ha. 753.433. Il suo consumo nel mondo varia invece in proporzione alla richiesta specialmente d'imballaggi. Del totale della produzione di iuta circa il 60% è consumato in India dove l'industria della sua filatura e tessitura è oggi esercita da importantissimi stabilimenti la cui produttività è rappresentata da circa un milione di fusi a filare e da 60.000 telai destinati per la massima parte a lavorazione di tipi ordinarî e pesanti. Il residuo fu nel triennio 1928-30 esportato in media: per il 25% nell'Europa continentale; per il 9,5% nelle Isole Britanniche; per il 5,5% in America.
Dei quantitativi esportati dall'India l'Italia assorbì circa tonnellate 49.000 nel 1930, tonn. 44.000 nel 1931.
Il valore della fibra di iuta greggia differisce notevolmente da qualità a qualità, nel rapporto di quasi 2 a i da quelle sopraffine a quelle ordinarissime. Il suo prezzo è in relazione all'offerta e alla richiesta, e oscilla entro limiti vastissimi, anche in una stessa annata.
Filatura. - La filatura meccanica della iuta non differisce sostanzialmente da quella di altre fibre tessili vegetali, e specialmente della canapa (v.). Richiede macchinario analogo, però adattato ai peculiari differenti caratteri fisici della iuta, più soffice e più pastosa e a fibra più corta. Il diagramma di filatura si può così riassumere:
La iuta greggia arriva dall'India in matassoni di fasci filamentosi da 1 a 3 m., fortemente compressi in balle, nelle quali acquistano notevole compattezza. Necessita, perciò, anche dopo l'apertura delle balle, di scioglierli. L'operazione condotta manualmente, cioè sbattendo i matassoni ripetutamente su un pavimento duro, riesce lunga e faticosa. Si raggiunge meglio lo scopo, con la macchina "apriballe", facendo passare i matassoni attraverso pesanti rulli di ghisa scanalati ovvero muniti di protuberanze, giranti gli uni sugli altri, quelli superiori caricati di contrappesi o molle per accrescerne il peso.
Dopo l'apertura, si procede a una scelta dei fasci filamentosi, quando non siano di qualità uniforme, ed eventualmente al taglio dei calci legnosi, per formare, combinando fasci di diverse marche, gl'impasti rispondenti ai requisiti chiesti per ciascun tipo di filato.
La iuta viene quindi ammorbidita, cioè lubrificata perché le fibre siano rese scorrevoli le une sulle altre.
L'operazione si esegue spruzzando la iuta con acqua e sostanze grasse, distribuite uniformemente, sia separatamente sia anche in mescolanza. Le sostanze grasse più adoperate sono l'olio di pesce o altri grassi animali o vegetali ricchi di acidi grassi, e l'olio minerale; a cui si aggiungono, quando se ne voglia l'intima miscela acquosa, reagenti saponificanti ed emulsionanti. L'ammorbidimento si può fare a mano; ma generalmente lo si eseguisce con una macchina ammorbiditrice costituita da una serie di coppie di rulli giranti sovrapposti, profondamente scanalati a elica, fra i quali i fasci filamentosi, distesi uniformemente mediante alimentazione continua a un'estremità della macchina, sono costretti a passare e ad essere come masticati fino alla loro uscita, subendo le sinuosità del percorso tra le scanalature dei rulli. Da appositi recipienti posti sopra la macchina piove intanto sui rulli, e da questi si depone sulla iuta, l'acqua e l'olio, ovvero la loro miscela saponificata o emulsionata, di cui s'imbeve la fibra tanto più intimamente e uniformemente quanto più la sua marcia tra i rulli è lunga.
Dopo l'ammorbidimento, la iuta in manelle o in fasci di manelle viene regolarmente adagiata in strati sovrapposti in celle o cassoni o carrelli in cui rimane in riposo dalle 24 alle 48 ore o più, ad assorbire completamente i liquidi di cui fu inaffiata. In questo frattempo avviene un principio di fermentazione, il quale si manifesta con leggiero riscaldamento della massa, che favorisce lo scioglimento delle pectine collanti interposte tra le fibre elementari dei filamenti.
Seguono le operazioni di preparazione alla filatura e la filatura medesima. Una serie di macchine separa le fibre della juta, le purga delle materie non filabili che vi aderiscono ancora, le dispone in un nastro. Questo nastro, che risulta così composto di filamenti isolati e puliti, di lunghezza approssimativamente uniforme, disposti parallelamente e aderenti per effetto della leggiera umidità grassa che conservano, effetto aumentato mediante rulli di compressione, viene gradatamente assottigliato e quindi ridotto in filato.
La prima operazione è la cardatura, che si effettua mediante carde a cilindri rotanti, guarniti di numerosissime punte di acciaio di opportuna lunghezza, inclinazione e sezione cilindro-conica, analoghe a quelle per la canapa (v. canapa, cardatura). Ne differiscono nelle guarnizioni di cui sono armati i cilindri operatori, in relazione ai diversi caratteri della fibra e in alcuni particolari costruttivi.
Si usano per la iuta due carde, in serie: la prima, detta rompitrice o carda in grosso ha la funzione di strappare la massa filamentosa greggia e abbozzare il nastro; la seconda, detta finitrice o carda in fino, con più numerosi cilindri operatori ne perfeziona il lavoro.
Nel passaggio attraverso le carde si staccano dalla massa filamentosa i bioccoli contenenti residui di corteccia o di fibra legnosa, sostanze terrose e fibrille volatili; cascami tutti che vengono periodicamente raccolti sotto le carde o continuamente aspirati per ricuperarne con sbattitura meccanica la fibra ancora utilizzabile. È ovvio che la loro quantità percentuale dipende dalla qualità e selezione della iuta che si lavora, dalla sua resistenza e finezza, e dall'efficacia del preventivo ammorbidimento.
I filamenti che si isolano, separandosi, nel passare tra i cilindri armati di punte formano una massa dapprima arruffata e voluminosa; ma per effetto di regolate velocità periferiche dei cilindri stessi sono costretti, scorrendo gli uni sugli altri, a sistemarsi in un sottile velo in cui si dispongono dapprima grossolanamente e gradatamente sempre più paralleli. All'uscita da ciascuna carda il velo si restringe e si raccoglie, sotto rulli di pressione, in un nastro il cui peso unitario pressoché uniforme è determinato dallo stiramento e cioè dal rapporto fra le velocità di uscita e di alimentazione.
Così, se su un metro di sviluppo della tela continua di alimentazione della carda in grosso è stato caricato 1 kg. di iuta greggia ammorbidita, regolandone lo stiramento a 12 si ottengono all'uscita m. 12 di nastro dello stesso peso complessivo di 1 kg. La carda finitrice viene simultaneamente alimentata con 12 nastri della carda in grosso; e se per essa si regola lo stiramento a 16, ne esce un nastro (di carda in fino) che per 1 kg. di alimentazione originale alla carda in grosso ha lo sviluppo di
Il nastro viene quindi reso regolare e affinato attraverso una serie successiva di stiramenti e addoppiamenti, compiuti mediante i cosiddetti stiratoi, macchine analoghe a quelle in uso per la canapa, ma costruite in relazione alla diversa lunghezza media della fibra. Per la iuta sono in serie generalmente di due (sono in numero maggiore per titoli finissimi di filato). I nastri sono sostenuti nella loro marcia da pettini mobili che li aprono e li guidano pettinandoli per facilitare lo scorrimento rettilineo e lo scaglionamento parallelo dei filamenti che li compongono. Anche negli stiratoi lo stiramento è regolabile e la compattezza dei nastri all'uscita è mantenuta con rulli di pressione.
I nastri uscenti dall'ultimo stiratoio della serie vengono ulteriormente affinati al banco a fusi, pur esso analogo a quello per la canapa. Esso in sostanza agisce ancora come uno stiratoio a pettini mobili, con forte stiro, ma senza addoppiamenti. Il nastro che produce, risultante dei numerosi addoppiamenti e stiramenti dalla carda in grosso in poi, misura in 1 kg. i m. 400-500; tanto tenue che la sola aderenza delle fibre non è sufficiente a mantenerle unite. Perciò alla sua uscita dal banco il nastro riceve una leggiera torsione che ne fa uno stoppino il quale viene condotto ad avvolgersi su appositi rocchettoni.
Con questa operazione termina la preparazione alla filatura dal cui andamento dipende essenzialmente il risultato qualitativo e quantitativo della filatura propriamente detta. Di solito un assortimento di preparazione per iuta è composto di una carda rompitrice che ne alimenta due finitrici; e ciascuna di queste un primo e un secondo stiratoio e un banco a fusi.
I rocchettoni di stoppino provenienti dal banco a fusi si caricano ora sui filatoi ad alette per la iuta sempre a secco, analoghi a quelli per la canapa (v. canapa; filatura) ma differenti in relazione alla diversa lunghezza della fibra. Sul filatoio avviene, senza passaggio su pettini mobili, un ulteriore stiramento dello stoppino fino al titolo del filato richiesto; e all'esilissimo nastro che ne risulta le alette del fuso a filare dànno la necessaria torsione trasformandolo in filato e avvolgendo questo su rocchetti di legno, di altezza da 3 ½ a 6 pollici, dimensioni che in genere corrispondono allo scartamento dei fusi.
Se lo stoppino ha il peso a metro di gr. 2,5 e se ne vuole ricavare un filato che pesi gr. 2,5 lo stiramento del filatoio deve essere regolato a 10. La torsione dei filati di iuta può variare entro limiti non molto estesi, a seconda degl'impieghi che essi hanno. La si regola generalmente al grado di massima resistenza del filato alla tensione, la quale dipende anche dalla lunghezza e finezza della fibra e dalla regolarità dello stoppino del banco a fusi. Una formula molto in uso per la torsione normale è:
con t titolo (inglese = t leas [matassine da 300 yards] in 1 libbra), A coefficiente che va da 1,5 a 1,6 per torsione soffice (trama); da 1,7 a 1,9 per torsione media (catena normale), da 2 a 2,2 per torsione forte (catena dura).
Alle operazioni di filatura fanno seguito quelle di stracannatura o di svolgimento, necessarie per l'impiego dei filati in tessitura o altrimenti, per la qual cosa in genere i rocchetti del filatoio non sono adatti. Essi vengono quindi svuotati e il loro filo avvolto in grandi rocchetti o rocche incrociate per gli orditi, oppure in spole di trama senza tubetto con svolgimento dall'interno, di dimensioni corrispondenti alla cavità delle navette di tessitura. In qualche caso, e specialmente per filati da tingersi, il filo si ammatassa.
Per questi confezionamenti di filato si usano macchine bobinatrici o spolatrici, o aspatrici analoghe a quelle in uso per fibre tessili (v. canapa; cotone) ma di costruzione più robusta e di maggiori dimensioni.
Infine per svariate esigenze del consumo i filati prodotti dai filatoi vengono in parte ritorti fra loro per formarne ritorti o refi, ecc. L'operazione si compie mediante ritorcitoi ad alette molto simili ai filatoi, ma senza stiramento.
Le macchine in uso attualmente nell'industria della iuta sono sostanzialmente ancora quelle ideate e gradatamente perfezionatesi nella seconda metà del sec. XIX. Miglioramenti avvennero anche successivamente nei particolari con la ricerca di mezzi atti ad aumentarne la velocità mediante più efficace lubrificazione e diminuzione di attriti; tali sono, ad esempio, l'applicazione di cuscinetti a sfere, gl'ingranaggi fresati, la lubrificazione automatica, che hanno permesso di allungare i banchi a fusi e i filatoi, e di alleggerire gli organi rotanti come i fusi a filare staccandone l'aletta e facendola girare indipendentemente dal fuso propriamente detto.
Si sono anche escogitati sistemi di carico automatico dei filatoi, che abbreviano il tempo necessario per il cambiamento dei rocchetti limitando anche la quantità di personale ausiliario necessario. In generale, poi, con una razionale disposizione e particolari accorgimenti nel servizio, dalla serie di macchine per le quali la iuta passa dallo stato greggio a quello di filato finito e confezionato, si può ottenere, oltre che una riduzione del personale addetto alla lavorazione, anche un minore possibile dispendio di tempo e di energia fisica delle maestranze, e un aumento di produzione.
Titolazione dei filati. - Anche per la iuta come per le altre fibre tessili la grossezza dei filati si determina col "titolo", espressione numerica convenzionale di origine britannica.
Secondo la titolazione scozzese, in uso particolarmente nell'industria, il titolo è proporzionale al peso, cioè un filato è del titolo "T lbs" (abbreviazione di T libbre per spyndle) quando uno spyndle di 14.400 yards e cioè di 48 matassine di 300 yards pesa T libbre inglesi di gr 453,5
Secondo la titolazione inglese, che viene specialmente usata nel commercio dei filati, il titolo è inversamente proporzionale al peso; cioè si dice che un filato è del titolo T leas (abbreviazione di T leas in 1 libbra) quando T leas di 300 yards pesano 1 libbra inglese.
Per il ragguaglio fra le due titolazioni, poiché 1 spl. = 48 leas si ha
e quindi
La iuta di qualità sopraffina e accuratamente scelta, può anche essere pettinata con le pettinatrici da lino (v. lino) e in tal caso è possibile filarla in titoli finissimi, fino al n. 16 leas (3 lbs) del peso di gr. 105 per 1000 metri e del diametro teorico di mm. 0,4-0,5.
Normalmente però la si fila solo cardata, e si considerano:
fini i titoli dal n. 12 leas (4 lbs) al n. 7 leas (6,86 lbs) del peso di rispettivamente gr. 140 a 238 per 1000 m. e del diam. teorico di mm. 0,6 a 0,75;
medî i titoli dal n. 6 leas (8 lbs) al n. 3 leas (16 lbs) di rispettivamente gr. 276 a 551 per 1000 m. e del diametro teorico di millimetri 0,8 a 1,2 circa;
grossi, i titoli dal n. 2 leas (24 lbs) al n. ¼ leas (192 lbs) di rispettivamente gr. 883 a 6664 per 1000 m. e diam. teorico mm. 1,5 a mm. 4 circa.
Usi dei filati. - I filati di iuta sono generalmente destinati sia alla tessitura di tele da imballaggio e di sacchi, sia anche, da soli o in combinazione con filati di altre fibre vegetali, alla tessitura di tappezzerie, tappeti e simili. Non mancano però le applicazioni dirette; e spesso, con filati ritorti a 20 e più capi, si fanno refi, spaghi e anche corde (v. canapa); con i filati grossi, micce, anime di corde di canapa, imbottiture di cavi e conduttori elettrici, torce a vento, stuoie, suole di scarpe dette di corda, ecc.
Tessitura. - Si può ripetere per la tessitura della iuta quello che è stato detto per la filatura. La lavorazione non differisce sostanzialmente da quella che si pratica per altre fibre tessili e comprende alcune operazioni preparatorie, la tessitura propriamente detta rifinitura dei tessuti.
Fra le operazioni preparatorie è importantissima l'imbotura (v. bozzimma) filati. Ha luogo mediante l'orditoio o l'imbozzimatrice. Il filato di iuta che è floscio e alquanto peloso, viene rivestito di un sottilissimo strato di bozzima, generalmente di fecola di patate o di altre sostanze ricche di amido cotte in acqua così che il pelo rimanga incorporato (v. canapa; tessitura).
La tessitura propriamente detta si pratica con telai che non differiscono da quelli in uso per altre fibre tessili (v. canapa; tessitura), se non per essere più robusti nell'incastellatura e negli organi, in rapporto al maggiore sforzo che devono sopportare, e per avere qualche dispositivo particolare.
Come in ogni telaio anche in quello per iuta il ciclo dei movimenti per aprire l'ordito all'inserzione della trama si compie mediante regolazione di tutti gl'ingranaggi del telaio. Così se il tessuto deve avere 50 fili di trama per ogni decimetro della sua lunghezza, il regolatore viene registrato in modo che il rullo avvolgente produca l'avanzamento dell'ordito di 2 millimetri per ogni inserzione e cioè per ogni colpo battuto dal telaio. La compattezza in ordito è a sua volta determinata dalla quantità complessiva dei fili delle 2 serie, pari e dispari, infilate nei licci e nel pettine del telaio. Se'il tessuto di tela semplice largo 1 metro deve contenere 50 fili per decimetro in ordito, il subbio deve portare teoricamente (praticamente dal 6 al 7% in più perché per effetto del tiro del telaio e delle inserzioni di trama il tessuto si restringe) 500 fili di ordito infilati metà nel 1° e metà nel 2° liccio, e passanti accoppiati per 250 denti del pettine.
Se un telaio meccanico batte, per es., 140 colpi al minuto, esso tesse teoricamente in questo tempo m. 0,28 di tessuto con 50 inserzioni di trama per decimetro e ne tesserebbe metri 0,56 con 25 inserzioni. Praticamente però in una giornata esso non produce in proporzione perché per varie cause, fra cui il cambiamento di navetta per l'esaurirsi della spola, l'annodatura dell'ordito o l'aggiuntatura dei fili di esso che si rompono nel suo funzionamento, la lubrificazione ed eventuale piccola manutenzione, ecc., non batte tutti i minuti del giorno. A limitare queste perdite di tempo sono in studio anche per la iuta, vari tipi di telai automatici.
Il tessuto di iuta come il telaio lo produce, è grezzo, duro, ruvido al tatto e alquanto peloso; per finirlo lo si ripassa a mano per correggerne eventuali difetti di tessitura, indi lo si cima in una macchina rasatrice nella quale viene lambito da lame affilate montate a spirale su cilindri rotanti che ne radono la superficie asportandone la peluria. Così si finisce il tessuto detto greggio.
Ma per lo più esso è richiesto calandrato. All'uopo lo si ammorbidisce mediante spazzole cilindriche rotanti in una macchina spruzzatrice con una soluzione in acqua di sostanze amidacee; e quando questa, dopo un periodo di riposo, è stata uniformemente assorbita, la pezza passa alla calandra.
La calandra consta di una serie di pesanti cilindri di ghisa torniti, in genere 5, di cui uno riscaldato a vapore e due con la superficie formata di carta compressa, sovrapposti e tenuti fortemente aderenti l'uno sull'altro mediante leve e contrappesi. Fra questi cilindri rotanti la pezza ammorbidita passa con tensione regolata, e mentre la pressione tra di essi ne schiaccia il filato appiattendolo e allargandolo a riempimento del tessuto, il cilindro caldo agisce solidificando la salda d'amido analogamente a quanto il ferro da stiro fa sulla biancheria inamidata, aumentando la consistenza del tessuto, appianandone e lucidandone la superficie; e contemporaneamente la pezza per effetto dello stiro si allunga e si restringe in larghezza.
Un maggiore effetto di appiattimento si ottiene col mangano, mediante il quale il tessuto, avvolto con tensione su appositi rulli che girano con movimento alternativo, viene idraulicamente compresso tra pesantissimi cilindri. In questo caso sono gli strati di tessuto concentricamente sovrapposti che agiscono l'uno sull'altro per lo sfregamento prodotto dal movimento alternativo aprendo e allargando il filato di cui il tessuto è composto.
Caratteristiche ed usi dei tessuti. - I tessuti di iuta possono essere ad armature composte, operati e vellutati come quelli di cotone, di lana e di seta. Ma tali lavorazioni si possono considerare del tutto eccezionali e la maggior parte dei tessuti è piuttosto ad armature tela, ordito semplice o doppio, oppure in saia da 3 o anche da 4 (v. armatura).
I tessuti di iuta di uso più corrente sono gl'imballaggi che debbono rispondere ai requisiti più disparati. Epperò si fabbricano in tutte le gradazioni di compattezza (quantità di fili in una determinata superficie), peso, spessore e robustezza. I limiti comuni di queste caratteristiche sono: compattezza (fili per decimetro quadrato) da 45 a 200; peso (mq.) da 150 a 1500; spessore (in mm.) da 1 a 5 circa. Combinando variamente la composizione in fili per dmq. con la grossezza (titolo) dei filati componenti il tessuto e col grado di calandratura, questo si può ottenere rado e grosso di spessore o compatto e pur sottile. La sua resistenza alla trazione, sia in ordito sia in trama, è proporzionale tanto alla quantità di fili per decimetro nell'uno e nell'altro senso, quanto alla loro grossezza: quella allo sfregamento è più in funzione dello spessore. La sua tenuta può raggiungere, in funzione della compattezza, l'impenetrabilità per le polveri impalpabili e l'impermeabilità per i liquidi mediante spalmatura di sostanze adatte. Il peso infine è in relazione con la composizione in fili per decimetro quadrato, e col loro titolo che ne esprime il peso unitario.
Nell'uso pratico non si seguono le indicazioni delle quantità di fili per decimetro, bensì altre convenzionali di origine inglese. Così i fili di ordito si considerano per la quantità di essi contenuta a telaio, in pettine, nel "porter" che è di 37/40 del pollice inglese, e cioè di mm. 23,5; e quelli di trama per la quantità di "battute" e cioè inserzioni in 1 pollice inglese di mm. 25,4. Giova notare che le indicazioni di porter e di battute si riferiscono a elementi teorici di lavorazione. I fili contati in tessuto finito sono praticamente più fitti in ordito e più radi in trama. Questo perché tanto sul telaio quanto nel passaggio alla calandra avviene un restringimento del tessuto, sensibile specialmente nelle zone più prossime alle cimosse, di complessivamente 7 a 9%, mentre l'allungamento alla calandra avviene nella proporzione del 2 al 4%.
Il ragguaglio fra le quantità di fili per decimetro e quelle espresse in porter (P) e in battuta (B) per pollice è approssimativamente: fili per dm. in ordito = 4,25 P (nella larghezza in pettine, a telaio); id. = 4,5 P (id. della tela a telaio, in greggio), id. = 4,6 P (id. della tela dopo calandratura normale); fili per dm. in trama = 3,95 B (della tela a telaio, in greggio), id. = 3,85 B (id., dopo calandrata).
Anche nella loro denominazione pratica, i tessuti hanno una nomenclatura convenzionale, inglese. La tela alla piana, con ordito e trama unifilare, si chiama genericamente "Hessian", e in Italia si distingue in "Imballo" per i tipi radi di 47-75 fili per dmq.; "Hessian" per i tipi medî di oltre 80 fino a 100-102 fili per dmq.; "Italiana" per i tipi fitti di 105-115 fili per dmq.; "Scozia" per i tipi extra-fitti di 125-135 id.
La tela con ordito a due fili accoppiati e trama unifilare si chiama "Tarpauling" o anche "Olona di iuta" per i tipi di complessivi fili 125 a 175 per dmq., e "D. W. Bagging" per quelli in genere grossi e pesanti, di complessivi fili 90-110 per dmq. I tessuti "Crociata" a spina o diagonali si chiamano "Twilled", se con 170-180 fili per dmq. e "Sacking" se con 125-130 fili per dmq.
Saccheria. - Una grandissima parte dei tessuti di iuta viene confezionata in sacchi negli stessi stabilimenti che filano e tessono la iuta.
All'uopo la tela si fabbrica nella larghezza occorrente per il sacco, tenuto conto dei centimetri di essa che la cucitura, od eventuali ripiegature dei lembi nella cucitura, praticamente assorbono; la si taglia nella lunghezza necessaria per il sacco aumentata dei centimetri che occorrono per l'orlo e per l'eventuale cucitura del fondo, la si orla e la si cuce con refe di lino, di canapa o di cotone, di iuta, e se richiesto si stampano sul sacco, a mano o a macchina, a uno o più colori, le marche che il consumatore domanda.
Tagliati meccanicamente alla voluta lunghezza, i sacchi si orlano con punto piano o a catenella e si cuciono con cuciture o a catenella o a sopraggitto o entrambe combinate, mediante robustissime macchine a lunghezza di punto regolabile di grande rendimento, disposte su appositi banchi, e azionate meccanicamente.
In genere i sacchi sono rettangolari per assumere, quando sono pieni di derrate, la forma pressoché cilindrica con circonferenza eguale al doppio della larghezza del sacco misurato disteso in piano, e conseguentemente con diametro di poco minore dei 2/3 della suddetta larghezza.
Le dimensioni corrispondono al volume di materiali che ciascuno è destinato a contenere; volume che, in relazione al peso specifico del materiale stesso, si stabilisce in genere in modo che il sacco pieno pesi ¼ o ½ o 1 quintale a seconda del frazionamento che nei suoi trasporti il materiale esige. Il peso del sacco è in rapporto alla sua capacità nonché alla compattezza e resistenza e spessore del tessuto, che sono richiesti caso per caso per l'uso o per la buona tenuta delle derrate che è destinato a contenere, nonché per la protezione di queste contro i disperdimenti e gli agenti esterni tanto negli strisciamenti o nei trasporti e sollevamenti con corde o ganci o nella loro caduta dall'alto, quanto nello stivamento in cataste con conseguente compressione del contenuto e pericolo di strappi e di scuciture.
In relazione alle dimensioni, la quantità di tela occorrente per un sacco è in superficie (e tenuto conto delle ripiegature del tessuto negli orli e nelle cuciture) di circa il 210-215% della superficie del sacco finito disteso in piano, dai sacchi grandi a quelli piccoli di misure correnti; e in peso è il prodotto della superficie di tela per il suo peso unitario a mq., aumentato del peso del refe per l'orlo e la cucitura.
Industria. - Conosciuta da secoli dagl'Indiani, la iuta era da essi lavorata a mano in grossolani filati coi quali tessevano tappeti e stuoie nonché tipi ordinarî di tela, per l'imballaggio e il trasporto dei prodotti agricoli del loro paese, e cordami.
Introdotta al principio del sec. XIX in Inghilterra, in piccoli lotti di esperimento e filata dapprima a mano, la sua facilità di assorbire le tinte ne fece dapprima considerare la possibilità di utilizzazione nella fabbricazione di tappeti combinandone i filati con quelli di cotone e di lana. Successivamente i centri industriali linieri scozzesi e irlandesi in cui a quell'epoca s'iniziava la filatura meccanica del lungo tiglio la presero in considerazione adattando il macchinario alle peculiari sue caratteristiche; e dopo molti tentativi, la cui riuscita fu favorita dall'idea di ammorbidirne la fibra con sostanze grasse, si riuscì a filarla in titoli abbastanza fini.
In pochi anni a partire dal 1830 il perfezionarsi progressivo delle costruzioni meccaniche ne resero facile e di ottima resa la filatura e il suo moderato costo la fece preferire alla canapa e al lino, in tutte le applicazioni in cui il buon prezzo è elemento importante come ad esempio gl'imballaggi e i sacchi di uso corrente.
L'industria si diffuse in molti paesi e alimentò vaste correnti di traffico. Attualmente l'India britannica è ancora al primo posto come importanza industriale, favorita anche dalla disponibilità locale della materia prima e dall'abbondanza e basso costo della mano d'opera. Ma paesi a forte sviluppo industriale sono, anche, a parte l'Italia, l'Inghilterra (19 mila telai e 280 mila fusi), la Germania (190 mila fusi e 12 mila telai), la Francia e il Belgio (9000 telai), l'Austria, la Polonia, l'Ungheria e la Cecoslovacchia (8000 telai); gli Stati Uniti, la Spagna e il Giappone, ecc. I principali paesi esportatori di manufatti di iuta, a parte l'Italia, sono l'India, l'Inghilterra, la Germania, la Cecoslovacchia, la Polonia, ecc.; mentre i principali mercati d'importazione sono gli Stati Uniti, l'Argentina, la Francia, ecc. Alcuni paesi, sia per la distanza dai centri di rifornimento della materia prima, sia per la scarsezza di mano d'opera provetta indispensabile in quest'industria, o per la possibilità di dedicare i non abbondanti capitali a produzioni più redditizie, preferiscono importare i manufatti di iuta anziché produrli sul posto.
L'industria in Italia. - In Italia, l'industria della iuta fu introdotta verso il 1870. Dopo il 1880, essa già si era diffusa in Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Romagna, Veneto, Campania, Lombardia. All'inizio del 1932, risultava esercitata in 30 stabilimenti di filatura e tessitura e in poche altre piccole tessitorie e saccherie, sparse nelle varie regioni della penisola. Complessivamente essa dispone di circa 83 mila fusi di filatura e 55 mila telai, che assorbono circa 17 mila HP di forza motrice, e impiega a pieno carico 180 mila persone, prevalentemente donne.
Gli iutifici italiani hanno una potenzialità produttiva di circa 50 mila tonnellate annue di filati assortiti (2,75% della mondiale), che, a consumo normale, servono alla fabbricazione di oltre 130 milioni di mq. di tessuti d'ogni genere. Di questi, circa i 3/4 rappresentano tele da imballaggio, più o meno fitte o pesanti; il resto stoffe per pareti, per tendaggi e mobilio, per tappeti e per armatura di pavimenti e di linoleum. Alla produttività degl'impianti fa riscontro un consumo nazionale normale di 2/3, onde l'industria ha possibilità di esportare per circa 15 mila tonn. dei suoi prodotti, quantità a cui si è avvicinata negli anni 1928 e 1929 (tonn. 10 mila in media). Naturalmente l'importazione è minima, se si eccettuino sacchi importati come tare di merci, e minime quantità di tessuti speciali, vellutati e simili.