PIZZI, Italo
PIZZI, Italo. – Secondogenito di numerosa famiglia di nobiltà decaduta, nacque a Parma il 30 novembre 1849 da Agostino, disegnatore per opere d’architettura, e Maria Teresa Prussia.
Compiuti i primi studi presso il regio liceo della sua città, ebbe nell’ultimo anno il sanscritista Michele Kerbaker come docente di latino e greco, e fu da lui consigliato e guidato nell’apprendimento delle lingue orientali cui si era accostato, appena quindicenne, da autodidatta. Fu quindi all’Università di Pisa allievo del grecista Domenico Comparetti e di Fausto Lasinio, Salvatore De Benedetti ed Emilio Teza, con i quali approfondì lo studio delle lingue semitiche, della letteratura ebraica e del sanscrito. Letterato più che filologo, seguì con zelo anche le lezioni di Alessandro D’Ancona sulla poesia popolare italiana, e in quegli stessi anni frequentò Giosue Carducci che ebbe come esaminatore nel concorso di ammissione presso la Scuola normale superiore.
Nell’università pisana poté cominciare a dedicarsi alla traduzione dell’epopea persiana medievale di Firdusi, suo opus magnum, studiando l’edizione francese di Jules Mohl posseduta da Teza: non ancora laureato, inviò un estratto della propria versione ad Angelo De Gubernatis che ne curò la pubblicazione (Storia di Rustem e di Akvān, in Rivista orientale, I (1868), pp. 1404-1433).
Dopo la laurea, conseguita il 10 luglio 1871, ritornò a Parma ove assunse l’incarico di docente di lettere nel collegio Maria Luigia del quale divenne poi vicerettore.
Per le scuole compose gli Ammaestramenti di letteratura (Torino 1875) e l’Antologia epica tratta dalle principali epopee nazionali (Torino 1877), che trascorre dall’epica indiana alla persiana, dalla slava alla germanica, scandinava e finnica; dall’Edda norrena Pizzi pubblicò inoltre la traduzione in versi del famoso poema Atlakviða (Il canto di Atli, Parma 1876). Nelle sue ricerche, tuttavia, si occupò precipuamente di lingue iraniche che rese oggetto dell’intervento al Congresso degli orientalisti tenutosi a Firenze nel settembre 1878 (La radice zenda «karet» nei nomi di coltelli in Asia e in Europa, in Atti del IV Congresso internazionale degli orientalisti, Firenze 1880-81, II, pp. 61-63).
Il 15 ottobre 1878, a Fornovo di Taro, Pizzi si unì in matrimonio con la contessa Maria Rugarli e, sul finire del 1879, si trasferì a Firenze con la moglie e il minore dei fratelli, Saverio, per occupare il posto di assistente nella Biblioteca Laurenziana. L’anno seguente fu nominato vicebibliotecario e ottenne anche la libera docenza di iranico nel Regio Istituto di studi superiori. Tra gli allievi nell’ateneo fiorentino ebbe il cognato Vittorio Rugarli, che indirizzò i propri studi al ciclo epico postfirdusiano, e l’ebraista Francesco Scerbo. A Firenze poté inoltre frequentare il vivace salotto letterario di De Gubernatis avendo proficui scambi con il poeta e traduttore Andrea Maffei e con la poliglotta scrittrice romena Dora D’Istria.
Provò quindi a cimentarsi nella composizione di un dramma lirico, Bizeno (Ancona 1884), il cui soggetto trasse da un lungo episodio dell’epopea di Firdusi. Tra le creazioni poetiche di Pizzi sono altresì noverate La tomba di Corradino di Svevia (cfr. Bocchialini, 1925, pp. 131 s.), canzone composta in età giovanile per un concorso universitario indetto da D’Ancona, e le ottave del romanzo di ispirazione orientale Miro e Naida (Torino 1901).
La vivacità dell’ambiente intellettuale fiorentino non bastò tuttavia a lenire l’insoddisfazione dell’iranista per l’ufficio di bibliotecario, nell’ambito del quale pure poté curare il Catalogo dei codici persiani della Biblioteca Medicea Laurenziana (Firenze 1886), né il disappunto per le scarse possibilità di avanzamento accademico, cui si opponevano alcuni professori del Regio Istituto. Fece quindi domanda all’Università di Torino dell’incarico di lingua e letteratura persiana, che ottenne l’11 maggio 1885.
Stabilitosi con la moglie nel capoluogo piemontese – ove, il 25 febbraio 1886, nacque l’unico figlio, Carlo –, per un certo tempo poté tenere congiuntamente l’insegnamento universitario e quello liceale avendo come allievi, tra gli altri, l’islamista Carlo Alfonso Nallino nell’ateneo e Umberto Zanotti Bianco nel liceo di Moncalieri. Divenne professore straordinario di lingua e letteratura persiana nel 1887 e alcuni anni dopo, nel 1897, di persiano e sanscrito; il 21 dicembre 1899, infine, fu nominato ordinario di filologia indoiranica. Mantenne inoltre l’incarico delle lingue semitiche dal 1893-94 al 1909-10, anno accademico che inaugurò col discorso su Il concetto dell’ideale umano nell’antichità orientale (poi in Annuario della R. Università di Torino, 1909-10, pp. 7-32).
A Torino poté finalmente vedere la luce la monumentale opera a cui Pizzi si era tenacemente dedicato per quasi vent’anni, ossia la traduzione integrale dello Shāhnāmeh, Il libro dei re di Firdusi, uscita in otto volumi tra il 1886 e il 1888 e seguita poi, nel 1915, da un’edizione compendiata in due soli volumi.
Mentre la versione francese di Mohl era in prosa, quella pizziana si presentava in eleganti endecasillabi che rendevano in maniera alquanto libera ma rispettosa i solenni distici composti da Firdusi. Di grande pregio soprattutto letterario, questo è senz’altro il lavoro cui la fama di Pizzi rimane ancor oggi legata in quanto meritoriamente aprì il nostro orizzonte ai valori della letteratura persiana. Disposto sempre a cimentarsi con opere prodotte in ambienti linguistici molto diversi, in quegli stessi anni diede alle stampe anche I nibelunghi (Milano 1889), traduzione in versi del poema epico germanico. Accanto all’attività di traduttore non smise mai di coltivare l’inclinazione pedagogica: in occasione dell’occupazione italiana di Massaua pubblicò il Piccolo manuale dell’arabo volgare d’Egitto (Firenze 1886), al quale nel tempo si sarebbe aggiunto il Manuale della lingua araba scritta (Firenze 1913), e nello stesso periodo compose il primo di una serie di manuali per l’editore Hoepli, Letteratura persiana (Milano 1887), cui avrebbero fatto seguito Letteratura araba e L’islamismo (entrambi Milano 1903).
Nel 1890 Pizzi accettò la nomina a direttore dell’Istituto orientale di Napoli di cui era presidente Francesco D’Ovidio, suo compagno di studi a Pisa. L’esperienza napoletana fu breve per lui, che, preferendo tornare all’insegnamento, rinunciò all’incarico dopo pochi mesi, ma gli consentì tuttavia di stringere rapporti con alcuni intellettuali partenopei come il sanscritista Francesco Cimmino.
Fatto ritorno all’Università di Torino, si dedicò alla composizione dell’imponente Storia della poesia persiana (I-II, Torino 1894), nella quale lumeggiò l’evoluzione letteraria della Persia classica con una vasta antologia di passi tradotti.
In seguito, quando all’insegnamento di persiano fu accorpato quello di sanscrito, pubblicò la traduzione delle novelle indiane del Pañcatantra (Le novelle di Visnusarma, Torino 1896), la Grammatica elementare della lingua sanscrita (Torino 1896) e la versione delle centurie di Bhartṛhari sulla saggezza mondana e sulla rinuncia (Le sentenze di Bhartrihari, Torino 1899). Continuò a occuparsi anche di ebraico, quella tra le lingue che aveva accostato per prima in gioventù, componendo gli Elementa grammaticae Hebraicae (Augusta Taurinorum 1899). Per i licei inoltre fu autore di una Storia della letteratura italiana (Torino 1894) e di una Storia della letteratura greca (Torino 1897) più volte ristampate.
Appassionato di lirica, aveva conosciuto Giuseppe Verdi nel 1883 presso la Laurenziana e si legò a lui di sincera amicizia dapprima intrattenendo una corrispondenza epistolare, quindi facendogli abitualmente visita sul declinare dell’estate nella villa di Sant’Agata vicino Busseto.
Nel 1901, immediatamente dopo la morte di Verdi, fece stampare i Ricordi verdiani inediti (Torino) in cui raccolse le conversazioni che negli anni aveva avuto con il maestro; in seguito pubblicò anche la commemorazione Per il primo centenario della nascita di Giuseppe Verdi (Torino 1913).
Circondato dalla famiglia, Pizzi morì a Torino, dopo breve malattia, il 6 dicembre 1920, e gli fu data sepoltura nel sacello gentilizio dei Rugarli a Fornovo.
Nel 1922 uscì in Parma, sotto il nome di Italo da Parma, l’autobiografia Memorie di un letterato che non fu ciarlatano (composta tra il 1916 e il 1918); fra le traduzioni sono ancora da segnalare un’antologia di brani da sanscrito, persiano, arabo e siriaco (Fiori d’Oriente, Milano 1906), una selezione di passi dall’Avesta (Milano 1916) e la versione del Golestān del poeta persiano Sa‛di (Il roseto, Lanciano 1917).
Tra le onorificenze di cui fu insignito si ricordano la laurea honoris causa dell’Università di Lovanio e il premio reale dell’Accademia nazionale dei Lincei nel 1886. L’Accademia delle scienze di Torino lo elesse socio residente l’8 gennaio 1899. Fu inoltre socio corrispondente dell’ateneo veneto, della Società asiatica di Firenze, dell’Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria, delle Reali Accademie di Napoli e di Bologna e di numerose altre istituzioni.
Fonti e Bibl.: Presso la Biblioteca Palatina di Parma sono conservate le Carte I. P. che comprendono opere autografe, carteggi e documenti. Alcune lettere sono contenute nel fondo Domenico Comparetti della Biblioteca umanistica dell’Università di Firenze. Si vedano inoltre: Pizzi, in Rivista degli studi orientali, V (1913), rispett. pp. 145 s. (II. Lingue semitiche), 200 (III. Glottologia), 217 s. (V. Persiano), 258 s. (VI. Lingue dell’India), 382-384 (Appendice); C.A. Nallino, I. P., ibid., IX (1920), pp. 232-234; J. Bocchialini, I. P. traduttore e poeta, in Aurea Parma, V (1921), pp. 65-78; L. Valmaggi, I. P., in Annuario della R. Università di Torino, 1922-23, pp. 219-222; J. Bocchialini, Poeti parmensi della seconda metà dell’Ottocento, Parma 1925, pp. 120-135; Firdusi. Il libro dei re, a cura di F. Gabrieli, Torino 1969, pp. 20-23; G.R. Cardona, Studi di iranistica in Italia dal 1880 ad oggi, in Il Veltro, XIV (1970), pp. 99-107; A.M. Piemontese, Gli studi sul Vicino Oriente in Italia dal 1921 al 1970, II, Roma 1971, pp. 315-317; R. Zupoli, Aspetti dell’opera iranistica di I. P., in Incontri tra Occidente e Oriente. Saggi, II, Venezia 1979, pp. 1-44; F. Gabrieli, Vittorio Rugarli e I. P. (dalla preistoria della iranistica italiana), in Annali dell’Istituto universitario orientale, XLIV (1984), pp. 173-175.