CREMONA, Italo
Figlio di Antonio, medico, e di Marianna Pasciutti, nacque a Cozzo Lomellina (Pavia) il 3 apr. 1905; trasferitasi la famiglia a Torino nel 1911, vi compì gli studi classici e universitari, conseguendo nel 1927 la laurea in giurisprudenza, ma avviandosi contemporaneamente alla pratica della pittura con i pittori Mario Gachet e Vittorio Cavalleri, artisti localmente assai apprezzati, ma di estrazione e gusto ottocenteschi. La vivacissima curiosità intellettuale e la maturazione culturale dell'artista lo spingevano naturalmente verso quegli ambienti più aggiornati sulle novità europee che, a Torino, si stavano coagulando intorno a Felice Casorati e alla sua scuola "libera" di via Galliari. E col Casorati e con gli intellettuali che frequentavano quell'ambiente, nonché con i coetanei discepoli del pittore novarese, il C. ebbe, sin dalla fine degli anni Venti, rapporti vivacissimi di frequentazione e di amicizia, nonostante l'indipendenza del suo carattere e delle sue tendenze pittoriche, mai in seguito smentita.
Tanto occorre sottolineare per smentire una duplice e contraddittoria distorsione che spesso, in tempi recenti, si è potuta constatare: quella che fa del C. un "allievo" di Casorati - cosa che formalmente non fu - e quella che a Casorati e ai suoi allievi polemicamente lo contrappone. Vero è che il C. sapeva mantenere intatta la propria indipendenza di visione e di gusto che, sin da allora, si manifestava in quelle forme che poi vennero svolgendosi nell'arco dell'intero suo lavoro e che sin dalle prime prove si venivano atteggiando in quella minuziosità di resa di un mondo di oggetti inconsueti ed emblematici che spesso - ma impropriamente - lo ha fatto accostare al "surrealismo".
Questa indipendenza lo tenne ben distinto dai due principali gruppi "d'avanguardia" operanti allora a Torino: i "secondi futuristi" e i "sei pittori di Torino" patrocinati da Persico e Lionello Venturi, in una posizione singolare e personalissima. Dal 1928 partecipò a varie mostre dei sodalizi torinesi (Amici dell'arte, Società promotrice delle belle arti, Sindacali e Intersindacali) e a mostre di gruppo a Torino (con Zeglio, Righetti, Galante, Galvano, 1932; con Galante e Galvano, 1933), a Milano, Roma, Firenze, ecc., e personale a Genova (al "Cenacolo", 1933, presentata da Michele Guerrisi).
I contenuti della sua pittura svelano, sin da allora, un interesse particolarmente vivo per il mondo del cinema e per il suo gioco d'immagini, quello stesso interesse che lo doveva portare, più innanzi, ad impegnarsi operativamente in questo campo. Del C., molto attento alla cultura europea, appare significativa l'amicizia con giovani architetti (C. Mollino), e il suo orientarsi verso quelle correnti letterarie che, paradossalmente (ma il gusto provocatorio del paradosso era vivissimo in lui), univano a un esplicito interesse per il mondo culturale europeo una polemica rivendicazione di radici culturali nazionali e popolari. "Strapaese" contro "Stracittà", orientamento che troverà una realizzazione concreta nella collaborazione al Selvaggio di Mino Maccari e nel lungo sodalizio di amicizia con lui. La collaborazione al Selvaggio va dal 1931 al 1942, affiancata dal 1940 al 1942 da quella a Primato, su argomenti prevalentemente, ma non esclusivamente, inerenti alle arti figurative, sempre affrontati con estrema indipendenza di giudizio rispetto agli stereotipi culturali correnti e spesso con sottile, polemica ironia; sempre negli anni Trenta è frequente la sua collaborazione all'Italia letteraria;esono continuative le Cronache torinesi su Emporium dal 1935 al 1938 (cfr. catal. 1980, pp. 20-22).
L'attività svolta dal C. in campo cinematografico, iniziata nel 1937 con la creazione di scenografia e costumi per Crispino e la comare, è proseguita sino al 1952 con scenografia, costumi e assistenza alla regia per Nerone e Messalina (regia di P. Zeglio), ed è stata fitta di una ventina di titoli (elenco parziale è nell'Enciclopedia dello Spettacolo). Questa attività lo portò lontano da Torino, specialmente a Roma e, dalla fine di ottobre del 1943, a Venezia, dove, su disposizione del ministero della Cultura Popolare, le attività cinematografiche erano state trasferite dalla capitale. Durante il soggiorno veneziano il C. aggiunse ai suoi svariati interessi e alle molteplici attività un nuovo campo: l'architettura.
Frequentò infatti negli anni 1944 e '45 il biennio di questa disciplina presso il R. Istituto universitario di architettura della città. In complesso il decennio 1935-45 lo vide molto attivo, ma segnò un relativo rallentamento del suo lavoro iniziale di pittore, anche se alla XXII Biennale veneziana (1940) era stato invitato dall'allora segretario Antonio Maraini a presentare una parete con opere sue. Alla fine del conflitto il C. rientrò a Torino, ove riprese attivamente sia l'attività di pittore sia quella di pubblicista, in un clima culturale differente da quello dei suoi inizi, clima nel quale i suoi atteggiamenti "controcorrente" si trovavano stimolati e prendevano espressione sia nella collaborazione a Paragone con la rubrica Acetilene (dal n. 23, II [1951] al n. 91, VIII [1957]), sia nella fondazione di Circolare sinistra, minuscola ma geniale "Rivista bimestrale d'arte e letteratura" (Torino 1955: ne uscirono sei numeri), e in molti scritti su riviste varie e presentazioni di pittori.
In questo decennio il C. riprese attivamente a dipingere e si precisò il suo mondo fantastico in quello che fu chiamato il suo "surrealismo". Il termine appare improprio perché, se il gusto di una definizione minuziosa degli oggetti - in antitesi alle correnti di derivazione impressionistica - e la capacità di trarre dagli oggetti e dagli ambienti rappresentati suggestioni di quasi onirica magia effettivamente possono accostarlo al surrealismo, lo fa decisamente diverso sia il ripudio delle tendenze ideologiche che dei surrealisti erano state proprie, sia il senso, quanto mai concreto, delle cose rappresentate, "raccontate" sì dal C. con inventiva ricca anche di allusioni fantastiche, ma sempre con lucidissima e distaccata ironica intelligenza, diffidentissima di quegli abbandoni all'automatismo dell'inconscio che del surrealismo "storico" era stato così gran parte. È piuttosto, la simpatia per certe comuni radici letterarie (per esempio, Lautréamont) ad apparentarlo ad esso, ma senza confusioni e legami effettivi.
D'altra parte questi primi anni del secondo dopoguerra vedono una piena ripresa dell'attività pittorica del C. con la partecipazione alle quadriennali romane (con le precedenti al conflitto, la I, 1931, e per invito la II, III, VI VI, VIII), alle biennali veneziane (la XVIII [1932]; p. 86 del catal.], e per invito: la XIX, XX, XXII, XXIV, XXV, XXVII, XXVIII [1956; pp. 180 s. del catal., presentato da M. Bernardi, con mostra personale di disegni]), alla I Internazionale dell'Art Club (Torino 1949), ai premi di Francavilla a Mare e della Spezia nel 1951, al premio Bagutta di Spotorno nel 1959, al premio Posillipo a Napoli nel 1966, ad Arte moderna in Italia 1915-1935 a palazzo Strozzi, Firenze 1967 (p. 372 del catal.), ecc. Si attenuano, negli anni Cinquanta e Sessanta, gli aspetti più icasticamente "provocatori" della sua pittura e il senso del "racconto", in favore di una pacata visione obiettiva, in cui la suggestione "magica" scaturisce meno dall'imprevedibilità dei soggetti che dalla loro finissima, assorta, resa pittorica.
Quasi a compenso si fanno più acute e risentite le punte polemiche e, al limite, implicitamente satiriche degli scritti, sempre sostenuti da un'attenzione quanto mai viva agli aspetti trascurati o misconosciuti dalle mode estetiche correnti dell'arte di periodi particolarmente consoni al suo temperamento, come quello del primo Novecento, secondo una declinazione d'interessi che troverà il suo culmine nella pubblicazione (Firenze 1964; 2a ediz., Torino 1984; trad., in tedesco, München-Wien 1966; trad. in olandese, Amsterdam 1969) di Il tempo dell'Art Nouveau presso Vallecchi, uno dei primi e più completi documenti di quel revival di un tale gusto che veniva appena iniziandosi, destinato poi a tanta eccezionale fortuna. Presso Vallecchi il C. aveva pubblicato negli anni 1959 e '60, in collaborazione con Mino Maccari, un almanacco intitolato L'Antipatico, e, sempre presso Vallecchi, uscì, nel 1968, un suo romanzo, La coda della cometa. Questa fitta attività letteraria sarà completata, negli anni Settanta, dalla pubblicazione a Torino, presso Einaudi, di Armi improprie, 1976, e Zona ombra, 1977.
Nel frattempo l'esposizione a Torino "Italia '61", organizzata a celebrazione del centenario dell'Unità nazionale, lo vide impegnato nella realizzazione del padiglione "Rosa e Nero" alla Mostra della moda, stile e costume, tema a lui congeniale in cui poté emergere ancora una volta la sua indipendenza di giudizio e di scelta rispetto agli stereotipi correnti (si veda la sua nota autobiografica in catal. 1980, pp. 92-98), nella consulenza per la parte artistica del padiglione dell'Unità d'Italia e nella collaborazione all'allestimento della Mostra storica, in palazzo Carignano.
Erano gli anni in cui il C. veniva anche dedicandosi all'attività didattica. Era stato, infatti, incaricato della cattedra di decorazione all'Accademia Albertina di Torino dal 1946 al 1955, e dal 1955 al 1975 fu nominato direttore dell'Istituto statale d'arte di Torino, sede in cui poté esplicare le sue personalissime concezioni didattiche, lasciando una forte impronta su collaboratori ed allievi.
Nonostante la sua salute fosse da tempo malferma, negli ultimi anni s'intensificò la sua attività di pubblicista (collaborazione a L'Indiscreto, 1970-76, a La Stampa, 1977-79, e a varie riviste di cultura). Né mancarono altri contributi più propriamente rivolti al campo specifico delle arti figurative in presentazioni di mostre personali di colleghi o in articoli ad essi dedicati.
Importante, in questi anni, specialmente dopo il '63, l'attività di incisore: una tecnica in cui il C. trovava particolare occasione per esprimere, in un segno nitido e preciso, quell'allucinato senso della forma, il gusto dell'invenzione fantastica accoppiata alla minuziosa definizione del particolare, che gli era proprio. Non per questo aveva smesso l'esercizio attivo della pittura, anche se tenendosi più di un tempo appartato dalle discussioni e polemiche proprie degli ambienti artistici, sia per i disturbi fisici, sia per la diffidenza verso i tipi di sperimentazioni artistiche che si venivano affermando nel corso degli anni Sessanta e Settanta, come si poté constatare nella "personale" alla galleria Davico di Torino nel 1974e, con maggior compiutezza, alla postuma "Antologica" dedicatagli dalla Regione Piemonte nel febbraio-marzo del 1980.
Le opere dell'ultimo decennio erano, prima di quella mostra, note soltanto ai pochi amici che frequentavano la sua casa e hanno rappresentato la conferma della originalità e della preminenza dell'attività pittorica in una personalità che, per le molteplici espressioni culturali in cui si era venuta esplicando, poteva apparire incentrata, e tale era apparsa talvolta alla critica, piuttosto sull'attività di scrittore e di promotore di cultura. Il C. morì a Torino il 20 dic. 1979.
Indubbiamente come pittore il C. rappresenta un caso anomalo, ma di alto interesse, nel quadro della vita artistica italiana del secolo. Partito, per temperamento e per convinzioni ideologiche, da posizioni di diffidenza verso i movimenti artistici della Torino degli anni Trenta ma conscio della sterilità del tradizionale epigonismo dell'Ottocento che in nome di G. Grosso a quelle "novità" si opponeva, seppe, con pochi altri (P. Zeglio, C. Mollino) essere vicino ai "nuovi" come loro frequentatore ed amico, pur senza condividerne le posizioni ideologiche e stilistiche.
E quando a Torino, e poi a Roma, la frequentazione di ambienti diversi, ma non meno innovatori, specie di M. Maccari, gli consentì una collocazione più consona al suo temperamento, trovò nello scrivere, e nell'attività in campo cinematografico, la possibilità di rendere esplicite e operanti nel tessuto culturale dei tempo quelle esigenze di cui era nutrita la sua stessa pittura - cioè lo stimolo primo del suo lavoro - apprezzata, ma con una certa diffidenza e distacco per la sua indipendenza dai movimenti generalmente affermantisi. Situazione paradossale, se si vuole, come paradossale, ma consona al suo temperamento, la sua posizione di fronte alla cultura "europea" del tempo. Infatti, pur col distacco e la punta polemica, del resto comune alle costanti di "strapaese", l'interesse per quella cultura fu in lui vivissimo e operante, con una ricchezza d'informazione spesso assai maggiore e più puntualmente informata che in molti di quelli che a un'Europa "internazionalista", di fronte al "nazionalismo" del regime politico allora vigente, affermavano d'ispirarsi. Che fra i movimenti europei il surrealismo dovesse particolarmente interessarlo è comprensibile, ma come è stato già sottolineato, d'interesse appunto si tratta, non di legami e neppure di dirette influenze. Questa precocità e vivacità di accostamenti a uno spazio europeo di cultura dà ragione del fatto - a prima vista paradossale anch'esso - che il C. conobbe, soprattutto come saggista, la sua stagione più feconda e il maggior consenso da parte di letterati e studiosi pur di diversissima estrazione, non tanto nella fase giovanile, in apparente accordo con la cultura ufficiale del tempo, ma in quella posteriore al secondo conflitto mondiale, in un momento di rinato interesse e di più vivo scambio con la cultura del continente: e ciò nonostante che lo spirito polemico di lui non mancasse di esercitarsi con didattica ironia su aspetti e modi (o mode) della nuova cultura.
Una bibliografia degli scritti del C. (dal 1931 al 1980), curata da lui stesso, si trova alla fine del catalogo della mostra antologica, che risultò poi postuma, tenutasi a palazzo Chiablese, a Torino, nel 1980.
Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in H. Vollmer, Künstlerlexikon des XX. Jahrh.s, I, p. 491, e in Encicl. dello Spettacolo, III, col. 1703, si veda l'ampia letteratura in I. C. (catal.), Torino 1980. Ma vedi anche: Primavera fiorentina (catal.), Firenze 1933, p. 129, tav. XXX; E. Doleatto, I sei artisti torinesi "invitati" alla XXII Biennale di Venezia, in L'Italiano. Gazzetta del popolo della sera, 2-3 apr. 1940; A. Galvano, F. Casorati (e i torinesi), in Pattuglia. Mensile di Politica arti lettere (Bologna), II (1943), 7-8 (maggio-giugno); L. Pistoi, Continua il dibattito sulla Biennale. Una lettera di I. C., in L'Unità, 29 febbr. 1952; L. Carluccio, Inquietudine surrealistica nei, nudi di I. C. ..., in Gazzetta del popolo, 13 apr. 1968; E. Terracini, Il libro del giorno: I. C.: Armi improprie…, in La Voce repubblicana, 20 maggio 1976; I. C., catal. a cura di D. Cremona Dellacasa e M. Rosci, schede di M. Re Fiorentino, Torino 1990, con antologia di scritti del C. e sul C. (vedi le recens., nel 1990, di A. Dragone, in La Stampa, 19 febbraio, e in Studi Piemontesi, IX, fasc. 1; J[anus], in Nuova società, VIII 166, pp. 46 s.; S. Ruffino, in Gazzetta del Popolo, 20 febbraio e 12 marzo; A. Spinardi, ibid., 9 marzo; G. S. Brizio, in Avanti!, 26 marzo; G. Arpino, in Il Giornale, 22 febbraio; P. Chiapatti, in L'Unità, 8 marzo); G. Arpino, Mostra di dipinti e dis. di I. C. (gall. Davico e gall. Parisina), Torino 1980-81 (rec. di A. Dragone, in La Stampa, 7 dic. 1990; I. c. [L. Carluccio], in Gazzetta del Popolo, 19 dic. 1980); L. Carluccio, Le stanze torinesi di I. C., in Piemonte vivo. Rassegna a cura della Cassa di Risparmio di Torino, I, 1981; G. Arpino, In via d'estinzione la specie dei Bizzarri, in Il Giornale, 6 sett. 1981; Id., Un caso d'identità: C. e Morselli..., ibid, 4 ott. 1981; R. Margonari, Le armi improprie di I. C., in Over (Torino), n. 2, gennaio 1983 ; B. Alterocca, Una mostra del pittore all'Accademia Albertina. Con l'ironia di C., in La Stampa, 12 luglio 1983.