italianismi
Un italianismo è un prestito dall’italiano (➔ prestiti) a un’altra lingua (oltre ai prestiti veri e propri, diretti e indiretti, si considerano anche l’induzione, i ➔ calchi e lo pseudoprestito). Non sempre l’origine italiana è sicura o è l’unica; invece che dall’italiano un prestito può essere entrato in una lingua dal latino o da un’altra lingua, specialmente romanza; sono di origine multipla molti prestiti in romeno (D’Achille 2008).
Le raccolte di italianismi sono innumerevoli, a cominciare dai Deux dialogues du nouveau langage François, italianizé, & autrement desguizé, principalement entre les courtisans de ce temps di Henri Estienne (1578; Colombo Timelli 2008). Tra gli studi moderni spiccano quelli di Benedek E. Vidos, sia per il respiro storico-culturale, sia per la puntualità linguistica (Vidos 1939 e 1965). Per gli italianismi in francese, romeno, spagnolo colloquiale, catalano e portoghese, si vedano gli atti del convegno su Italianismi e percorsi dell’italiano nelle lingue latine (2008); per un confronto interlinguistico, si veda il Dizionario di italianismi in francese, inglese, tedesco (DIFIT); per altre lingue, si vedano vari contributi nel primo volume di Vanvolsem 2000, in Stammerjohann 1997 e in Coveri 1991; si veda anche Muljačić 1991.
La maggioranza degli italianismi sono nomi, per es. pizza (in notazione linguistica, i maiuscoletti indicano un etimo), italianismo universalmente diffuso, ma ricorrono anche verbi, per es. maneggiare (> fr. manéger, spagn. e port. manejar, ingl. to manage, ted. maneggiren, oggi obsoleto), aggettivi, per es. allegro e la maggioranza delle didascalie musicali (dove peraltro sono usati in funzione di nome, visto che tempo è sottinteso), e altre parti del discorso, anche locuzioni, per es. dolce vita, e detti come se non è vero è ben trovato.
Sono entrati in altre lingue anche ➔ affissi italiani, per es. il suffisso -esco, entrato in francese (arabesque, burlesque, grotesque), spagnolo e portoghese (arabesco, burlesco, grotesco; Serianni 2008: 28) ecc., o -issimo, entrato in francese (grandissime, richissime, sérénissime) e in altre lingue, ma non sempre distinguibile dal latino -issimus, adottato anche direttamente in portoghese (Paiva 2008).
Possono essere italianismi grafie, per es. in romeno le grafie fonetiche invece di grafie etimologiche (emoragie, filosofie di contro a fr. hémorragie, philosophie), o l’inserzione di una h per rappresentare la pronuncia velare di ‹c› e ‹g› davanti a ‹e› e ‹i› (chiar, chimie, spaghete, ghid), e addirittura pronunce, se è vero che nel francese dei secoli XVI-XVII c’era esitazione tra squadron e staffette, all’italiana, e fr. esquadron e estaffette (Serianni 2008: 27); la difficoltà che hanno gli spagnoli a pronunciare la s impura li induce tuttora a inserire una e prostetica e pronunciare, per es., scudetto come escudetto.
Il calco può essere formale e semantico. Nel calco formale (o strutturale) è calcata la forma, per es. fr. chou-fleur, che è la traduzione letterale di it. cavolfiore; in una lingua come il tedesco l’ordine degli elementi costitutivi è inverso: Blumenkohl, letteralmente *fiore cavolo. Meno numerosi dei calchi di locuzioni nominali sono quelli di locuzioni verbali, per es. fr. être de mèche (< esserci di mezzo). Anche frasi intere possono essere calcate, come dimostrano l’interiezione francese te vienne le chancre! (< ti venga il canchero!) o il detto famoso che la leggenda attribuisce a Galileo Galilei, eppur si muove!, adattato in tedesco come und sie bewegt sich doch! Un calco può essere parziale, quando una parte è stata presa a prestito, l’altra tradotta, per es. ted. Nettogewicht < it. peso netto, con traduzione di peso e con la tipica inversione degli elementi costitutivi.
Nel calco semantico è calcato il significato: per es. ted. Füh;-rer «guida, dirigente, conducente», romeno Conducător, serbocroato Poglavnik, spagn. Caudillo, hanno adottato il significato di «dittatore» dall’it. duce, che aveva anticipato questo sviluppo semantico in italiano. Più sono imparentate le due lingue coinvolte e più facilmente tra loro possono nascere calchi semantici.
Si chiamano pseudoitalianismi le formazioni che sembrano italiane ma non lo sono, per es. la locuzione tutti frutti, che si trova in molte lingue nel senso di «frutta mista», poi «gelato misto», quindi usato per qualsiasi mixtum compositum (per i dettagli vedi DIFIT 2008). Similmente, il romeno contropapa è composto da due parole italiane, mentre il composto italiano è antipapa.
Un prestito può a sua volta essere preso a prestito; allora il prestito primario è chiamato diretto, quello secondario indiretto. Per es., il fr. baguette è un italianismo diretto perché viene da it. bacchetta, ma l’ingl. baguette e il ted. Baguette sono italianismi indiretti perché vengono dall’it. bacchetta attraverso il fr. baguette; similmente, il suffisso fr. -esque (< it. -esco, vedi sopra) è un italianismo diretto, ma l’ingl. -esque e il ted. -esk (< fr. -esque < it. -esco) sono italianismi indiretti. Sono notevoli gli italianismi indiretti in romeno, per es. quelli passati attraverso il neogreco.
Per formativi estrapolati da prestiti e diventati a loro volta produttivi in altre lingue, come l’appena menzionato suffisso francese -esque, è stato proposto il termine «induzione» (Gusmani 19862: ad indicem). Così il suffisso -esque, che si ritrova in fr. feuilletonnesque e attraverso il francese anche in inglese, per es. gardenesque, e in tedesco, per es. clownesk, serve fra l’altro per formare aggettivi deonomastici, per es. fr. kafkaësque, ingl. Kafkaesque, ted. kafkaesk. Per -issimo l’induzione è ovvia quando viene giocosamente attaccata a parti del discorso improprie, per es. fr. affairissimo (Margarito 2008: 81), spagn. tenorissimo (riferimenti allo spagnolo, salvo qualche esempio, da Losada & Gil 2008), ted. Transportissimo (per una raccolta di suffissi incontrati negli italianismi tedeschi cfr. Grassi 1987; per il finnico cfr. Suomela-Härmä & Härmä 1991; per valutare la produttività di un suffisso in una lingua si vedano, dove esistono, i dizionari inversi, per es. Landi 1991 per l’albanese).
Un prestito può essere più o meno adattato e l’adattamento può essere fonetico, grafico, grammaticale, lessicale e semantico. È plausibile che prestiti passati per via orale mantengano più la pronuncia che la grafia, mentre prestiti passati per via scritta, soprattutto se sono meno antichi e già soggetti a qualche standardizzazione ortografica, sempre conservatrice, mantengano più la grafia che la pronuncia.
A livello fonetico soprasegmentale, per es., per i francesi è difficile sopprimere la tendenza ad accentare l’ultima sillaba (ossitonia); per gli ugro-finnici quella ad accentare la prima (Suomela-Härmä & Härmä 1991), per es. ungh. àllegro, màcaroni, pìzzeria; per i polacchi, quella ad accentare la penultima («parossitonia»), per es. gondòla, mandòrla, podèsta (Widłak 2000). In inglese e tedesco spostamenti di accento sono rari ma capitano, per es. rondò (< fr. rondeau), in queste e altre lingue viene accentato sulla prima sillaba. Dove occorrono, spostamenti d’accento possono essere indicativi della via orale del prestito.
A livello fonetico segmentale, le lingue europee continentali condividono con l’italiano la cosiddetta continental pronunciation delle vocali (principalmente la pronuncia delle vocali come in latino), mentre l’inglese le adatta o rilassandole o dittongandole, per es. [ælˈeɪgrəʊ] (accanto a [aˈlegro]). Anche in tedesco la pronuncia delle vocali è più rilassata che non in italiano, mentre in francese è ancora più tesa. È da notare che per pizza gli inglesi conservano la pronuncia tesa, cioè [ˈpiʦə] o addirittura [ˈpiːʦə], mentre i tedeschi la rilassano e pronunciano Pizza come Spitze, cioè [ˈpɪʦa]. Per i francesi, poi, è difficile non nasalizzare la sequenza italiana vocale + nasale, sicché la loro pronuncia di accelerando sarà più o meno nasalizzata: [akseleˈʀãdo].
La r italiana, tipicamente pronunciata con la punta della lingua (r apicodentale; ➔ vibranti), è diffusa in molte lingue, ma in francese, inglese e tedesco solo regionalmente; normalmente la r francese e tedesca è moscia (r uvulare) e quella inglese è retroflessa. I tedeschi poi si riconoscono anche per il colpo di glottide davanti a iniziale vocale di sillaba, per es. [aˈlegro], e per l’aspirazione delle consonanti mute, per es. Tempo [ˈthɛmpo] (tutti e due però tratti più del tedesco settentrionale che generali); per la sonorizzazione di s iniziale davanti a vocale, per es. Sakko, Salami, Salat [za-]; per la pronuncia dei nessi sp- e st- come [ʃp] e [ʃt], per es. Spion [ʃpjoːn], Stafette [ʃtaˈfɛtə]; e per la pronuncia del nesso labiovelare (c)qu come [kv], per es. Aquatinta [akvaˈtɪnta] rispetto a it. e anche a fr. e ingl. [akwa-]; sembra dovuto all’influsso latino (aqua) se le altre lingue non conservano la ridondanza grafica dell’italiano e riducono il nesso grafico cqu, che esiste pure nelle loro lingue (fr. acquérir, ingl. acquire), a qu.
È comune a francesi, inglesi, tedeschi e molti altri la difficoltà di pronunciare le consonanti lunghe, scritte doppie, dell’italiano: alla viene pronunciato [aˈla] invece di [aˈlːa]. Infatti, molte lingue non conservano neanche la grafia doppia e la semplificano sistematicamente: per es. il romeno, che non la conosce affatto, scrive rizoto, o lo spagnolo, che conosce solo la doppia rr, scrive risoto. Secondo la lingua e il grado di adattamento, molti italianismi perdono l’uscita vocalica: per es. arsenale > fr. arsenal, ingl. arsenal, ted. Arsenal; baldacchino > fr. baldaquin, ingl. baldachin, -quin, ted. Baldachin; bandito > fr. bandit, ingl. bandit, ted. Bandit.
Un esempio di adattamento grafico è la grafia francese allégro (accanto a allegro). In tedesco, il grafema ‹c› viene spesso sostituito con ‹k› se velare o con ‹z› se palatale: per es. cappuccino > Kapuziner, dove le consonanti doppie sono anche semplificate. Dimostra una grande forza integrativa il romeno; per es., la z sorda (foneticamente [ʦ]) viene resa con ţ(piaţă), la s sonora ([z]) con z(rizoto), sc davanti a e e i ([ʃ]) con ş(şirop). In spagnolo, gli italianismi amici e chianti vengono scritti amichi e quianti (port. quiante). I prestiti dell’it. ciao in varie lingue riflettono gli adattamenti alle grafie rispettive, per es. spagn. chao, port. tchau, romeno ciau, ted. tschau (raro, accanto a ciao).
L’adattamento grammaticale riguarda, fra l’altro, il genere e il numero dei sostantivi. In francese, con gli stessi due generi maschile e femminile dell’italiano e gran parte del lessico apparentato, potrebbe sembrare normale che i nomi conservino il loro genere. Ma ci sono eccezioni, soprattutto quando la parola italiana perde la desinenza identificatoria del genere: per es. alberello, naturalmente maschile in italiano, in francese è diventato albarelle ed è femminile. Il tedesco ha la scelta fra tre generi − maschile, femminile e neutro − e nel senso di «vaso da farmacia» alberello è passato anche in tedesco. Ha conservato la desinenza ma è neutro: das Alberello. Infatti, sostantivi in -o, normalmente maschili in italiano, in tedesco sono neutri, per es. anche Abattimento [sic], Aggiornamento, Animo; sono neutri in tedesco tutti i nomi (aggettivi sostantivati) dei tempi musicali, per es. Adagio, Allegro, Andante, forse per sottintendimento di Tempo, a sua volta neutro in tedesco. Il passaggio al neutro sembra normale quando la desinenza -o è andata persa nel passaggio in tedesco, per es. Ballett, Konzert, Kolorit. Hanno tendenza a diventare neutri in tedesco anche sostantivi italiani in -e, per es. ted. Ambiente, Arsenal, Belvedere. Invece, sono rari i sostantivi italiani in -a, femminili, che in tedesco passano al neutro, per es. das Boccia (perché è un gioco, ted. das Spiel) accanto a die Boccia (perché è una palla, ted. die Kugel), Filigran, Lametta. Il genere italiano è conservato quando è motivato semanticamente, per es. nei nomina agentis tedeschi Agent, Bariton, Kapuziner. In romeno soprano ha preso forma e genere ad sensum ed è divenuto soprană, femminile.
Invece, l’inglese non conosce più la categoria del genere grammaticale; questa è, secondo Pinnavaia (2001: 99 segg.), la ragione per cui, per es., intarsio e romanzo sono passati in inglese come intarsia e romanza (e inversamente, per es., grotta e salva come grotto e salvo). Ma è vero anche che la maggioranza dei prestiti italiani in inglese finisce in -o, desinenza sentita come romanza dai non italofoni e perciò usata giocosamente, per es. ted. Palazzo Prozzo o addirittura Protzo, il soprannome che avevano dato i cittadini della ex Repubblica democratica tedesca al Palast der Republik, a Berlino, dove avevano luogo le manifestazioni di interesse nazionale; prozzo o protzo è l’italianizzazione di ted. Protz «sfoggio».
La formazione del plurale, specie di un maschile italiano in -o, indica sistematicamente il grado di integrazione di un italianismo: la conservazione del plurale ‘italiano’ in -i indica una integrazione meno avanzata che la formazione di un plurale francese, inglese, tedesco, ecc. in -os. A volte un plurale italiano non viene riconosciuto come tale e se ne forma uno nuovo, per es. broccoli (> fr. le brocoli, les brocolis; ted. der Brokkoli o Broccoli, die Brokkolis o Broccolis, almeno nell’uso popolare) e similmente confetti, graffiti, maccaroni (dial., it. maccheroni), panini, paparazzi, salami, plurali italiani che in molte lingue sono considerati singolari e dotati di nuovi plurali. Spaghetti, che designando la pasta è spesso riconosciuto come plurale, in inglese e tedesco (popolare) è singolare e forma un nuovo plurale nel significato spregiativo di «(uomo) italiano». Anche Azzurri, essendo il nome di una squadra, viene spesso messo al plurale, per es. ted. die Azzurris o, meno improprio, spagn. azurros (per i modi di adattamento grammaticale in polacco, lingua a grande forza integrativa, cfr. Małecka 1997).
Passando agli adattamenti lessicali, la prima constatazione è che il prestito di verbi italiani è molto più raro in inglese che non in francese o in tedesco, forse perché queste due lingue hanno più facilità di adattarli. Mentre il francese, lingua romanza come l’italiano, li adatta alla coniugazione affine, per es. accasare > acaser, e il tedesco può ricorrere alla desinenza -ieren, per es. improvvisare > improvisieren, l’inglese, non avendo più desinenze infinitivali indigene, può adattarli solo lasciando cadere le desinenze italiane, per es. impastare > to impast (ted. impastieren) o, a volte, sostituendo la desinenza italiana con una desinenza inglese di origine latina, per es. martellare > to martellate. Ma l’inglese deve la ricchezza del suo lessico, fra l’altro, alla sua facilità di convertire una parte del discorso in un’altra, e così può anche formare verbi da sostantivi o aggettivi italiani per semplice conversione, per es. to balloon, to crescendo, to fresco. Più curioso il prestito della locuzione della Crusca come Della-Cruscan, a sua volta sostantivato in Della-Cruscanism.
Alla facoltà di ➔ conversione dell’inglese, il tedesco contrappone la facoltà di composizione, che usa anche per rendere i prestiti più trasparenti; si è parlato di «composti chiarificanti», tipici delle lingue germaniche (Gusmani 19862: 73 segg.). Per es., un italiano sa che panata è una zuppa, un tedesco no, perciò precisa il prestito con Suppe: Panadelsuppe; un italiano sa che cervellata è una salsiccia, un tedesco no, perciò precisa il prestito con Wurst «salsiccia»: Zervelatwurst, ecc.; nel caso di Krescendogeräusch la composizione con Geräusch «rumore» distingue il significato medico da quello musicale (oltre alla grafia adattata). Simili composizioni si trovano in inglese, delle quali Pinnavaia (2001: 104 segg.) dà gli esempi mozzarella cheese e prosciutto ham. Sono una curiosità romena i derivati da voci italiane contaminate da suffissi romeni, per es. mafist e mafiot invece di mafioso, e pizzar, adattato piţar, invece di pizzaiolo (o, a Roma, pizzettaro).
Giustamente è stato osservato (Pinnavaia 2001: 105) che lo studio del prestito è normalmente incentrato sull’adattamento formale, prima che su quello semantico, mentre è proprio il significato che determina il prestito, cioè il suo passaggio in un altro sistema linguistico, passaggio che è stato definito «processo ecologico» (Hope 1971: 709). Per es., solo in inglese, non in italiano, pococurante può significare «nonchalant», solo in inglese si può offrire un alfresco dinner, cioè un pranzo all’aperto, solo in inglese piazza può significare «portico, colonnato» (nel Seicento, oggi raro; ma si vedano, di Hermann Melville, i Piazza Tales «racconti sotto il portico») e addirittura, specie in inglese americano, «veranda» di una casa (DIFIT 2008). Infine, oltre a una denotazione ristretta, a confronto della lingua donatrice il prestito può anche avere connotazioni diverse, per es. gli italianismi in inglese letty, cantabank e politico, che hanno sì conservato le denotazioni originali, letto, cantambanco e politico, ma con connotazioni nuove, negative (Pinnavaia 2001: 107 segg.).
Il prestito di una parola straniera riduce il suo significato a quella accezione che manca, o a quelle accezioni che mancano, nella lingua ricevente, per es. bagno, che è passato in francese e tedesco solo nell’accezione di «bagno penale» (accezione passata anche in inglese, ma lì accanto ad altre accezioni). Questa restrizione semantica è tipica di molte didascalie musicali, passate in tutte le lingue di cultura. Semanticamente hanno solo un vago rapporto con i significati comuni, per es. adagio, allegro, andante. Allegro in italiano comune significa «gioioso, gaio», av. 1566 è diventato indicazione di movimento musicale e almeno dal Settecento significa «abbastanza veloce», e in questa accezione è passato in altre lingue. Solo in neogreco è entrato anche nell’accezione non tecnica di «gioioso, gaio» e allora è stato adattato: álegros, con -s finale (Vidos 1965: 60).
Dagli adattamenti che subisce una parola nel momento del suo prestito, come quelli illustrati fin qui («adattamenti primari»), Pinnavaia distingue quelli che subisce dopo la sua integrazione nel sistema della lingua ricevente («adattamenti secondari»; Pinnavaia 2001: 116-126). Anche questi adattamenti possono essere fonetici, grafici, grammaticali e semantici, ma i semantici sono i più evidenti, per es. l’allargamento della denotazione come nell’inglese Riviera, che non indica più solo la costa ligure ma dal 1891 anche certe zone della costa americana e dal 1904 di quella inglese; o l’allargamento della connotazione, come vino, che nello slang del Novecento non significa più un vino italiano (o spagnolo) di alta qualità, come quando fu preso a prestito, ma un vino italiano (o spagnolo) di bassa qualità, scritto e pronunciato, in questo senso spregiativo, anche weeno; o l’acquisizione di significati nuovi come gondola, che oltre alla barca tipica di Venezia può significare non solo altri tipi di imbarcazione ma anche, almeno in inglese americano, «vettura ferroviaria» (1871), «navicella di un dirigibile» (1896), «scaffalatura da esposizione nei supermercati» (1942) e «cabina di una cabinovia» (1957).
Degli italianismi nell’OED (Oxford English dictionary) quasi un terzo non si usano più in inglese moderno (Pinnavaia 2001: 139). Infatti, come le singole accezioni, anche prestiti interi possono cadere in disuso, molti senza essere mai stati registrati dalla lessicografia. Un esempio antico di un italianismo scomparso è l’aggettivo inglese adorn (< it. adorno) «ornato, abbellito», attestato dal 1667. Anche gli italianismi moderni possono avere vita breve, per es. il fr. autostrade (< it. autostrada), attestato in francese sin dal 1925 ma poi sostituito da autoroute, prestito solo parziale, attestato dal 1927, o il ted. Parallelo, che era il nome di un certo stile di pullover degli anni Cinquanta del Novecento, oggi sconosciuto.
Gli italianismi riflettono i contatti, immediati o mediati, con la civiltà italiana e variano a seconda delle circostanze. I primi italianismi attestati sono del XII secolo e sono di origine dialettale, o sono a loro volta ➔ arabismi, passati in italiano sia direttamente dall’arabo, in quanto l’Italia aveva una funzione mediatrice tra l’Europa e il Levante, sia indirettamente attraverso la penisola iberica, per es. zucchero, marzapane, sorbetto, passati in molte lingue. I primi italianismi di origine indigena riflettono il dominio dell’Italia nei campi della marineria mediterranea, del commercio e dell’arte militare, prima che in quello della cultura. Dopo che nell’alto medioevo il Mediterraneo (➔ Mediterraneo e lingua italiana) era stato dominato dalle flotte bizantine e poi saracene, dal 1000, e soprattutto con le crociate, emersero prima Amalfi, poi Pisa, Genova e Venezia, che assursero a potenze navali dominanti. Non sorprende che l’influsso di Venezia e del veneziano fosse più forte nel Levante, quello di Genova e del genovese nel Ponente, e che gli italianismi marinareschi passati nelle lingue romanze occidentali erano più genovesi (88 di numero) che veneziani (44), mentre quelli passati nelle lingue balcaniche e all’arabo erano più veneziani (47) che genovesi (3) (Vidos 1939: 106; ➔ marineria, lingua della).
Italianismi marinareschi s’incontrano oltre che in francese, dove sono i più numerosi, nelle altre lingue romanze, nelle lingue balcaniche, nell’arabo, nelle lingue germaniche, nel polacco e nel russo. Per gondola Vidos (1939) cita albanese gondolë, ceco gondola, dan. gongol, fr. gondole, greco mod. góndola, ingl. gondola, oland. gondel, pol. gondola, romeno gondolă, serbocr. gondola, spagn. góndola, ted. Gondel, turco gondol, ungh. gondola, ecc. Altrettanto importanti come i termini marinareschi sono quelli militari, per es. soldato > albanese sol’dát, dan. soldat, fr. soldat, greco mod. soldádos, oland. soldaat, romeno soldat, spagn. soldado, ted. Soldat, ecc. Senesi, fiorentini e veneziani attivi in tutta l’Europa diffondevano termini commerciali, per es. rischio, risco, risico > albanese rrezik, ceco riziko, dan. risiko, fr. risque, greco mod. rhizichón, ingl. risk, oland. risico, pol. ryzyko, romeno risc, serbocr. rizik, spagn. riesgo, ted. Risiko, turco riziko, risk, ungh. rizikó, ecc. Dal Rinascimento in poi, quando l’Italia divenne il modello culturale d’Europa, seguirono, sempre per prestito diretto o indiretto, termini d’arte, per es. fresco > albanese afresk, ceco freska, dan. fresko, fresko, fr. fresque, ingl. fresco, oland. fresco, pol. fresk e fresko, romeno frescă, serbocr. freska, spagn. fresco, ted. Freske e Fresko, turco fresk, ungh. freskó, ecc.; termini di architettura, per es. loggia > albanese lozhë, ceco lodžie, dan. loggia, ingl. loggia e loggio, oland. loggia, romeno lojă, serbocr. lođa e lodža, spagn. logia, ted. Loggia, ungh. lodzsa, ecc.; termini di musica, per es. opera > albanese oper, ceco opera, dan. opera, fr. opéra, greco mod. ópera, ingl. opera, oland. opera, pol. opera, romeno operă, russo opera, serbocr. opera, spagn. ópera, ted. Oper, turco opera, ungh. opera, ecc.; termini di letteratura, per es. sonetto > albanese sonet, ceco sonet, dan. sonet, fr. sonnet, greco mod. sonétto, ingl. sonnet, oland. sonnet, pol. sonet, romeno sonet, russo sonet, serbocr. sonet, spagn. soneto, ted. Sonett, turco sone, ungh. szonett, ecc.; anche termini scientifici, per es. influenza > ceco influence, dan. influenza, fr. influenza, ingl. influenza, oland. influenza, neogreco influéntza, pol. influenca, romeno influenţă, serbocr. influenza, spagn. influenza, ted. Influenza, turco inflüanza, ungh. influenza, ecc. (Vidos 1965: 50 segg.). Le classificazioni sono molte; si distinguono ancora termini relativi a: araldica, arredamento, artigianato, botanica, chiesa, diplomazia, enologia, equitazione, farmacologia, geologia e vulcanologia, meteorologia, moda, numismatica, politica, scherma, tessuti, tipografia, titoli, zoologia, ecc. Uno dei campi semantici più vasti e che è sempre produttivo è quello della gastronomia, dai nomi di ingredienti, per es. broccoli, pistacchio, rucola, a quelli di cibi e bevande, per es. cervellata, gorgonzola, panettone, maccaroni, spaghetti, tagliatelle ed altre paste, cappuccino, cassata e tiramisù ( ➔ gastronomia, lingua della). La superiorità degli italiani nel calcio spiega la diffusione di termini calcistici, per es. catenaccio, libero, tifoso. Italianismi del XX secolo non ancora menzionati sono aggiornamento nel senso di «adattamento della Chiesa cattolica al mondo moderno», al dente, ambiente, antipasto, biennale, dolce far niente, fascismo, futurismo, latte, mamma mia.
Vidos (1965: 59) aveva tentato una graduatoria secondo la quale la lingua più influenzata dall’italiano sarebbe il neogreco (per i rapporti stretti e continui con l’Italia, soprattutto con Venezia), seguito da francese, albanese, serbocroato e sloveno (a loro volta centri di espansione degli italianismi verso il Nord e nei Balcani), polacco, dialetti tedeschi tirolesi e carinziani e infine dal turco. Non menziona il maltese, la lingua più intrisa di italianismi al mondo, con quasi la metà del lessico (Brincat 2003: 360).
Le raccolte di italianismi in una lingua finiscono normalmente in un conteggio, ma i conteggi non possono essere valutati finché non si adottano gli stessi criteri di inclusione. Sono stati contati solo i prestiti veri e propri o anche i calchi? Solo gli italianismi attuali o anche quelli storici? Solo quelli diretti o anche quelli indiretti?, ecc. (Serianni 2008: 30 segg.). Anzi, prima di determinare i tipi di prestiti da contare andrebbe determinato il minimo di attestazioni, cioè la distribuzione e permanenza minime, perché si possa comunque parlare di prestiti. Molte raccolte di italianismi spostano questo problema dando fiducia ai grandi dizionari della lingua considerata, che però mancano a loro volta di criteri di inclusione, o non li rivelano.
Con questa riserva per il DIFIT, che è la prima opera che metta a confronto in modo sinottico l’incidenza dell’italiano su tre lingue (il francese, l’inglese e il tedesco) con l’intento di ricostruire le trafile di penetrazione e la diversa sorte delle parole italiane in questo circuito, ma che si basa anch’esso sui grandi dizionari delle lingue considerate, la lingua più ‘italianizzata’ non è il francese ma il tedesco, con circa 2700 italianismi (diretti), la seconda l’inglese con circa 2300 e la terza il francese con circa 2000; ma il francese fu la prima a italianizzarsi, il tedesco la seconda, l’inglese la terza (Stammerjohann & Seymer 2007). Il DIFIT serve da nucleo per l’osservatorio di italianismi che è in corso di realizzazione a Firenze presso l’Accademia della Crusca: una banca dati che cerchi di raccogliere e documentare secondo criteri prestabiliti gli italianismi di tutte le lingue d’Europa (➔ italiano in Europa) e del mondo (➔ mondo, italiano nel).
DIFIT 2008 = Stammerjohann, Harro et al. (a cura di), Dizionario di italianismi in francese, inglese e tedesco, Firenze, Accademia della Crusca.
Brincat, Giuseppe (2003), Malta, una storia linguistica, presentazione di F. Bruni, Genova, Le mani.
Colombo Timelli, Maria (2008), Un scénario charmantissime? Italianismi del francese I. I “Deux dialogues” di Henri Estienne, in Italianismi e percorsi dell’italiano nelle lingue latine 2008, pp. 43-76.
Coveri, Lorenzo (a cura di) (1991), L’italiano allo specchio. Aspetti dell’italianismo recente. Saggi di linguistica italiana. Atti del I convegno della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Siena, 28-31 marzo 1989), Torino, Rosenberg & Sellier, 2 voll.
D’Achille, Paolo (2008), Dagli Appennini ai Carpazi. I difficili percorsi degli italianismi nel rumeno, in Italianismi e percorsi dell’italiano nelle lingue latine 2008, pp. 93-113.
Grassi, Corrado (1987), La componente italiana nel linguaggio tedesco della pubblicità, in Parallela 3. Linguistica contrastiva / linguaggi settoriali / sintassi generativa. Atti del IV incontro italo-austriaco dei linguisti (Vienna, 15-18 settembre 1986). Kontrastive Linguistik / Fachsprachen / Generative Syntax. Akten des 4. Österreichisch-Italienischen Linguistentreffens (Wien, 15.-18. September 1986), hrsg. von W.U. Dressler et al., Tübingen, Narr, pp. 159-174.
Gusmani, Roberto (19862), Saggi sull’interferenza linguistica, Firenze, Le Lettere (1a ed. 1981).
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