ISTRUZIONE PROFESSIONALE
. Espressione in base alla quale si vorrebbe contrapporre un'istruzione generale, pura o disinteressata, ad una istruzione professionale avente per fine il primo addestramento, la successiva formazione di lavoratori qualificati e quindi specializzati, il loro perfezionamento in modo da fornire ai giovani la preparazione necessaria alle professioni pratiche che attengono alla vita economica della nazione. L'istruzione degli artigiani e delle maestranze, operaie e contadine, sovente disoccupate, e di cui bisogna mutare o accrescere le capacità tecniche adattandole alle necessità dell'efficienza produttiva, alle esigenze del mercato interno e internazionale del lavoro accrescendo pertanto le possibilità del massimo e più proficuo impiego della mano d'opera, diventa così il problema fondamentale dell'istruzione professionale.
Concetto però angusto, questo, di istruzione professionale, di professione, di professionista; invece di corsi o di scuole professionali più chiara appare allora - almeno nel settore artigiano ed industriale - l'antica denominazione di scuole di arti e mestieri, legate a un addestramento pratico, comunemente manuale, ma che può altresì raggiungere spiccate caratteristiche tecniche od artistiche. È da notare poi che persino nell'insegnamento universitario molto si discute intorno alla possibilità di distinguere nettamente la funzione puramente scientifica da quella professionale: culminante, la prima, nell'esame di laurea che conferisce un titolo scientifico, la seconda, invece, nell'esame di stato necessario per l'abilitazione all'esercizio professionale. Ancora più equivoca appare, nelle scuole medie superiori, la distinzione fra istruzione generale e istruzione professionale, dato che in alcuni istituti di istruzione tecnica si consegue un'abilitazione (ragioniere, geometra, perito industriale o agrario) tipicamente professionale, non meno di quella che, ad es., si consegue in un istituto magistrale, in cui, peraltro, il fine professionale non discende da addestramento tecnico-pratico, ma investe un'abilità corrispondente a fini culturali. Solo nelle scuole medie inferiori, ove si distingua la "scuola media" (v. scuola, in questa App.) dalla scuola di avviamento professionale e dalla scuola d'arte, può apparire più chiara la distinzione fra istruzione generale ed istruzione professionale; osservando tuttavia da un lato, che la parola "avviamento" attenua di molto il concetto di "professionale" e dall'altro che anche nella scuola media il futuro medico o ingegnere inizia una, sia pure lontana o remota, sua istruzione la quale andrà man mano professionalizzandosi quando egli passerà dal liceo all'università e poi nel primo tirocinio post-laurea, si potrebbe concludere che la distinzione fra istruzione generale, pura o disinteressata e istruzione professionale è solo di grado: "che questa (la professionale) in tanto è scuola in quanto implica, anzitutto, una disciplina mentale e una cultura generale, condizioni all'acquisto di ogni abilità specifica, e che, a sua volta, la stessa istruzione formativa è inizialmente anche educazione professionale, in quanto di necessità implica anche acquisto di abilità che renderanno possibile l'applicazione del sapere, l'attitudine tecnica, il fare" (G. Calò). La distinzione non è peraltro solo di grado ma anche di tempo: nei corsi professionali, volti ad addestrare, formare, migliorare la mano d'opera, la preparazione oltre che specifica è immediata; nelle scuole professionali è, se non immediata, prossima; nelle scuole di istruzione generale è infine più lontana o remota.
Legislazione sui corsi di istruzione professionale (per maestranze, per contadini, per lavoratori, per disoccupati). - Per i varî tipi di "scuole ed istituti d'istruzione media tecnica" (riordinati con la legge 15 giugno 1931, n. 889 e con la legge 22 aprile 1932, n. 490) vedi italia (XIX, p. 788) e scuola (XXXI, p. 253 e in questa App.). Ci occuperemo - sia pure secondo la incerta espressione comune - solo dell'istruzione professionale in senso stretto. Le disposizioni fondamentali di legge sono le seguenti: 1. legge 15 giugno 1931, n. 889: Riordinamento della istruzione media tecnica (v. art. 19 sui corsi per maestranze); 2. a) legge 16 giugno 1932, n. 826: Provvedimento per l'istruzione professionale dei contadini; b) r. decr. legge 17 maggio 1938, n. 1149: Modificazioni alla legge 16 giugno 1932, n. 826, recante provvedimenti per l'istruzione professionale dei contadini (e successiva conversione in legge), 3. r. decr. legge 21 giugno 1938, n. 1380: Istituzione dei corsi per la formazione ed il perfezionamento dei lavoratori, convertito senza modificazione nella legge 16 gennaio 1939, n. 290; 4. legge 19 gennaio 1942, n. 86: Disposizioni concernenti le scuole non governative (v. art.1, ultimo comma: Corsi liberi di istruzione tecnica); 5. a) decr. legisl. del capo provvisorio dello stato 7 novembre 1947, n. 1264: Norme per l'istituzione ed il coordinamento dei corsi per la qualificazione dei lavoratori disoccupati; b) decr. legge 14 gennaio 1948, n. 2: Modificazioni al decr. legge 7 novembre 1947, n. 1264, contenente norme per la istituzione ed il coordinamento dei corsi per la qualificazione professionale dei lavoratori disoccupati; c) disegno di legge: Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati (discusso ed approvato al Senato nel dicembre 1948).
Finalità, caratteri, tipi e gradi di corsi d'istruzione professionale. - Finalità. - È indicata nell'art. 19 della legge 15 giugno 1931, n. 889: "i corsi per maestranze hanno il fine di accrescere, con insegnamenti culturali, tecnologici, grafici e pratici, la capacità di lavoro, tecnica e produttiva, dei prestatori d'opera". Il primo articolo del citato decreto 21 giugno 1938 - il più organico provvedimento fino ad ora emanato in materia di istruzione professionale - riafferma, in sostanza, che "i corsi per lavoratori hanno lo scopo di formare ed accrescere la capacità tecnica e produttiva dei lavoratori stessi in relazione ai bisogni dell'economia nazionale". L'art. 44 del disegno di legge sull'assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati delinea le finalità dei corsi per disoccupati con le seguenti parole: "i corsi per disoccupati sono rivolti all'addestramento, alla qualificazione, al perfezionamento o alla rieducazione professionale dei lavoratori che, a causa dello stato di disoccupazione o in dipendenza degli eventi di guerra, abbiano bisogno di riacquistare, accrescere o mutare rapidamente le loro capacità tecniche, adattandole alle necessità della efficienza produttiva, alle esigenze del mercato interno del lavoro e alle possibilità di emigrazione". Per i cosiddetti corsi aziendali di riqualificazione, l'art. 51 dello stesso disegno di legge stabilisce che "le imprese industriali non a ciclo stagionale che occupano almeno 1000 lavoratori e che reputano di dovere provvedere a licenziamenti di oltre 100 dipendenti per adeguamento del carico di mano d'opera alle possibilità funzionali ed economiche delle imprese stesse, possono chiedere di aprire un corso di riqualificazione per le maestranze esuberanti licenziande, ove almeno i due terzi di esse desiderino frequentarlo".
Caratteri. - L'art. 19 della legge 15 giugno 1931, n. 889, già stabiliva che "dove i corsi sono istituiti con orario confacente con l'orario di lavoro dell'industria, gli operai di età inferiore ai 18 anni, i quali non abbiano una licenza di scuola di avviamento, sono obbligati a frequentarli per non meno di 8 ore settimanali, preferibilmente raggruppate in due giorni, ed in complesso per un minimo di 200 ore annue. Le sanzioni per l'inosservanza degli obblighi anzidetti sono quelle previste dall'art. 205 del regolamento approvato con r. decr. 3 giugno 1924, n. 969". L'obbligatorietà è riaffermata nell'art. 21 del r. decr. legge 21 giugno 1938, n. 1380; nel successivo articolo 22 si precisa che l'inosservanza degli obblighi dà luogo alle seguenti sanzioni: "a) agli apprendisti che non frequentino regolarmente le lezioni sarà trattenuto dal datore di lavoro un quinto del salario giornaliero per ogni assenza non giustificata; b) per i datori di lavoro che non concedano la libertà ai giovani obbligati alla frequenza dei corsi, una ammenda... raddoppiabile in caso di recidiva". A proposito di obbligatorietà deve essere citato il r. decr. legge 21 settembre 1938, n. 1906 sulla disciplina dell'apprendistato che dopo avere, all'art. 1, affermato che "è considerato apprendista chiunque è occupato in una azienda industriale o commerciale con lo scopo di acquistare la capacità necessaria per divenire lavoratore qualificato mediante un addestramento pratico e la frequenza, ove siano istituiti, dei corsi per la formazione professionale dei lavoratori", ribadisce agli articoli 8 e 9, per il datore di lavoro e per l'apprendista gli obblighi stabiliti dal r. decr. legge 21 giugno 1938, n. 1380. Per quanto riguarda in particolare i corsi per disoccupati, ai quali si concede altresì un sussidio straordinario e gli assegni integrativi di disoccupazione, deve essere ricordato che l'art. 8 del decr. legge 7 dicembre 1947, n. 2264 stabilisce che "nelle località e per quelle categorie per le quali sono istituiti i corsi per la qualificazione, il perfezionamento e la rieducazione professionale, è obbligatoria la frequenza da parte di lavoratori delle categorie stesse per potere percepire l'assegno integrativo di disoccupazione di cui al r. decr. legge 20 maggio 1946, n. 373 e successive modificazioni". Tali norme sono infine sostanzialmente riprodotte nell'art. 50 dello schema di legge sull'assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati. È da osservare, infine, che connessa alla obbligatorietà della frequenza dei corsi è la loro gratuità, sanzionata - ad es. - dall'art. 19 del r. decr. legge 21 giugno 1938, n. 1380.
Notevolissima adattabilità alle esigenze di ogni singolo corso si ha in materia: a) di orarî (diurni, serali, festivi); b) di durata (da pochi mesi a più anni); c) di programmi (aventi carattere preminentemente pratico nei corsi per disoccupati, e carattere notevolmente culturale e tecnico nei più importanti corsi di specializzazione e di perfezionamento).
L'età degli allievi è di norma dai 14 ai 18 anni; ai corsi per contadini sono ammessi, in base all'art. 3 della legge 16 giugno 1932, n. 826 "contadini dell'età da 14 a 25 anni"; per altri corsi non è - di norma - stabilito un limite massimo di età; tuttavia, nello schema di legge sull'assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati sono stati previsti emendamenti diretti a fissare, come limite massimo, l'età di 40 anni.
Tipi e gradi di corsi. - In relazione alle attività produttive dei varî settori dell'economia nazionale si hanno corsi dei seguenti tipi: agrario, commerciale, industriale, nautico, artigiano, femminile. In ogni tipo i corsi sono poi di diverso grado: così nel settore industriale si hanno: a) corsi di primo addestramento; b) corsi per la formazione di operai qualificati; c) corsi per la formazione di operai specializzati; d) corsi di perfezionamento. Nel settore agrario, oltre i corsi temporanei per contadini, che si dividono secondo la legge 16 giugno 1938, n. 826, in generali e speciali, la legge 21 giugno 1938, n. 1380, che è quella che più organicamente ha contemplato e definito i varî tipi e gradi di corsi, enumera altresì i "corsi per la formazione di lavoratori agricoli specializzati che mirano a preparare le maestranze idonee all'esercizio di determinati rami delle attività agricole e di quelle rurali di trasformazione"; e "i corsi per la formazione di colonizzatori, che mirano a dare ai coloni, ai compartecipanti in genere, ai salariati e braccianti, ai piccoli proprietarî ed affittuarî diretti coltivatori, che si preparano ad assumere in ambienti diversi dal proprio la coltivazione di organiche unità poderali, le cognizioni all'uopo necessarie, in relazione alle particolari esigenze dell'economia agraria del nuovo ambiente". Lo schema di legge sull'assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati contempla infine all'art. 57: "l'apertura di cantieri per disoccupati allo scopo di farli partecipare alla bonifica e al rimboschimento di zone abbandonate o gravemente trascurate, nelle quali la disoccupazione risulti particolarmente accentuata".
Esami, attestati, premî. - L'art. 5 del r. decr. legge 7 maggio 1938, n. 1149, che concerne modificazioni alla legge 16 giugno 1932, n. 826 sull'istruzione professionale dei contadini stabilisce che "al termine di ciascun corso, a coloro che lo hanno frequentato con assiduità è rilasciato un attestato, firmato dall'istruttore e dal capo dell'Ispettorato provinciale dell'agricoltura. Ai frequentatori che si siano distinti per assiduità possono essere concessi premi consistenti in libri, attrezzi di uso agricolo, sementi, piante, concimi e antiparassitarî". Il r. decr. legge 21 giugno 1938, n. 1380, agli articoli 14, 15, 16, 17, 18, indica norme dettagliate sui varî esami di idoneità e di profitto, sui moduli degli attestati di idoneità e dei certificati di profitto e di frequenza, che devono essere stabiliti per tutti i corsi dal Ministero della pubblica istruzione di concerto con gli altri ministeri interessati. Infine è da notare che nei provvedimenti sui corsi per disoccupati sono stabiliti premi in denaro (L. 3000) per gli allievi che hanno superato il corso con esito favorevole.
Coordinamento e vigilanza. - Nella relazione allo stato di previsione della spesa del Ministero della pubblica istruzione per l'esercizio finanziario 1° luglio 1948-30 giugno 1949 il relatore alla Camera dei deputati (P. Ferreri) ha detto che nel campo dell'istruzione professionale, tecnica ed artigiana "un primo ed apprezzabile risultato favorevole sarà raggiunto quando si porranno impedimenti al pullulare di disordinate e peregrine iniziative promosse da varî Enti, le quali, pur meritando lode nelle loro intenzioni, talvolta tolgono credito e comunque si risolvono in una deplorevole dispersione di energie e di denaro, qualche volta dello Stato". È stata in tal modo formulata una delle più gravi difficoltà che si oppongono all'impostazione più razionale ed alla effettuazione più organica di tutti i corsi di istruzione professionale: la mancanza cioè di un unico organo centrale, capace di dettare le norme direttive della politica scolastica da seguire in questo settore e di un unico corrispondente organo in ogni provincia.
Non va a tal riguardo tuttavia dimenticato che il r. decr. legge 26 settembre 1935, n. 1946 (convertito senza modificazione nella legge 2 gennaio 1936, n. 82) sul Riordinamento dei Consorzi provinciali per l'istruzione tecnica, oltre alle funzioni di vigilanza (ribadita anche dall'art. 9 del citato decreto 7 novembre 1947, n. 2264) e di coordinamento nell'ambito di ogni circoscrizione provinciale per ogni iniziativa di istituzione di corsi e per "gli indirizzi da seguire in rapporto ai bisogni dell'economia locale", contemplava altresì (art. 23) un Comitato centrale dei Consorzi, avente tra l'altro anche il compito di coordinare le attività delle varie provincie.
Tale comitato, presieduto dal ministro per la Pubblica istruzione, e di cui facevano parte anche i rappresentanti dei varî ministeri interessati e delle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori (e che doveva altresì essere sentito a norma dell'art. 2 della legge 21 giugno 1938, n. 1380, per stabilire "il piano annuale dei corsi per lavoratori da attuare nei varî settori delle attività produttive") fu però soppresso con il r. decr. legge 21 settembre 1938, n. 1673 (convertito poi con modificazione nella legge 1° giugno 1939, n. 929) che istituì il Consiglio nazionale dell'educazione, delle scienze, delle arti; ed al quale furono - ma solo nominalmente - attribuite le funzioni del predetto comitato.
In conseguenza poi dell'accresciuto numero di iniziative sorte anche in relazione alle contingenze del dopoguerra si è resa sempre più generalmente sentita la necessità di ricostituire un organo centrale di coordinamento per tutti gli affari concernenti la istruzione professionale: esigenza non diminuita, ma accentuata altresì dall'art. 117 della Costituzione della Repubblica Italiana che consentendo alla Regione di emanare norme anche in materia di "istruzione artigiana e professionale stabilisce, peraltro, che ciò va fatto "nei limiti dei principî fondamentali" stabiliti dalle leggi dello Stato" e "non in contrasto con l'interesse nazionale".