Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del Cinquecento si ha un forte aumento della scolarizzazione, cresce la richiesta di istruzione superiore e si moltiplicano gli istituti educativi, i collegi e le università. La divisione confessionale e politica d’Europa limita però il carattere internazionale dell’istruzione superiore, mentre la circolazione delle idee viene sottoposta a un rigido controllo statale ed ecclesiastico.
Le ragioni del boom
La crescita della scolarizzazione nel Cinquecento è impetuosa al punto che lo storico inglese Lawrence Stone, riferendosi all’Inghilterra, ha parlato di “rivoluzione educativa”. Il fenomeno, seppure per alcuni aspetti ridimensionato, è comune a tutta l’Europa occidentale. Rispetto alla tradizionale trasmissione orale del sapere, a partire dal XV secolo la scuola sostituisce parzialmente e in modo graduale il diretto apprendimento del mestiere; nel secolo successivo tale processo diventa imponente. Molte cause contribuiscono a determinare questa evoluzione: anzitutto la progressiva burocratizzazione degli Stati moderni in via di consolidamento, che porta a un aumento della domanda di amministratori e professionisti; in secondo luogo la diffusione di ideali educativi umanistici; vi sono poi le spinte provenienti dai mutamenti religiosi conseguenti alla Riforma, con il forte impulso all’alfabetizzazione, specie nei Paesi protestanti; infine, la diffusione dei libri a stampa che, diventati ormai accessibili a un pubblico molto ampio, fanno crescere l’interesse per l’istruzione. Acquisire una preparazione elementare diviene sempre più naturale e necessario, non solo per le sue conseguenze pratiche, ma perché è conveniente e moralmente giusto che un essere umano faccia progressi.
L’istruzione di base
Nel corso del secolo l’esigenza di un’alfabetizzazione sia pure rudimentale si espande anche nei piccoli paesi e in zone poco urbanizzate. In Italia, l’istruzione di base è affidata in massima parte alle scuole private che hanno grande diffusione nel XVI secolo, mentre meno numerose sono quelle pubbliche ed ecclesiastiche (per formare giovani destinati ad entrare nel clero).
Gli strumenti di base per imparare a leggere circolano ormai a stampa e hanno un’enorme diffusione. Consistono nella tavola dell’alfabeto, nel salterio (un libro di preghiere usato come sillabario) e nella grammatica di base (la più diffusa è quella di Elio Donato il grammatico vissuto nel IV secolo). I testi sono scritti in latino per gli scolari di estrazione più elevata, che proseguono poi con gli studi di retorica e di altre materie umanistiche, per approdare infine all’università. Sono invece in volgare (e solo parzialmente in latino) quelli destinati ai figli di artigiani e mercanti, i quali, dopo la scuola di grammatica dove imparano un po’ a leggere, vanno a scuola d’abaco per apprendere a far di conto, l’aritmetica commerciale, la scrittura (di solito la mercantesca), la tenuta dei libri e la corrispondenza. Alcuni dati relativi a Venezia, ma validi anche per le altre città italiane dell’epoca, indicano che nel 1587 il 33 percento dei maschi e il 12 percento delle femmine in età scolare acquisiscono un alfabetismo di base; nel complesso il 23 percento circa dei Veneziani è alfabetizzato. Sempre a Venezia risulta inoltre che il 53 percento degli scolari segue un programma in volgare, mentre il restante 47 percento studia su testi base in latino.
I poveri e l’istruzione
Il Cinquecento è pure il secolo in cui si sviluppa una forma d’istruzione elementare di matrice laica destinata ai poveri ai quali si cerca non solo di dare una formazione religiosa, ma anche di fornire i rudimenti nelle lettere e nel calcolo. La portata di tali sforzi va sottolineata anche se, con ogni probabilità, non ne consegue un incremento significativo dei livelli collettivi di alfabetizzazione. La tendenza resta comunque ambivalente: da un lato, almeno teoricamente, si cerca di diffondere l’istruzione tra i ceti più poveri in quanto strumento atto a promuovere la moralità sociale e a educare alla giusta religione; dall’altro si guarda con diffidenza alla diffusione del sapere, destinato a rimanere riservato a pochi. Soprattutto nei paesi cattolici si continua a insegnare la grammatica latina e i manuali in volgare stentano a diffondersi. Più forte è invece la promozione dell’alfabetismo tra i protestanti che fanno della capacità di leggere la Bibbia il fondamento della fede.
Le università e l’istruzione superiore
Nei decenni centrali del Cinquecento vengono fondate numerosissime università. I dati sono sorprendenti: si verifica un vero e proprio boom dell’istruzione superiore che va però contestualizzato in un’Europa divisa dalle confessioni religiose. Il più delle volte la proliferazione di nuove università è dovuta al fatto che tanto i cattolici quanto i protestanti si rifiutano di frequentare gli atenei di altra confessione e preferiscono fondarne di propri. Impulsi contrastanti sollecitano il mondo universitario: la divisione religiosa e politica dell’Europa in unità sempre più centralizzate fa moltiplicare il numero delle università; al contempo si attenuano gli scambi di sapere e di uomini tra sedi universitarie. Tuttavia, il carattere sovranazionale intrinseco alla cultura umanistica continua a operare come forza centrifuga, incentiva i viaggi di studio, agisce come fattore di unità culturale degli intellettuali. Conoscenze, esperienze scientifiche, nuovi metodi di ricerca, la polemica antiscolastica si diffondono attraverso questi intensi contatti anche se le nuove idee suscitano la reazione di una parte consistente del mondo accademico. Legati alla tradizione, molti guardano con sospetto all’introduzione negli studi pubblici del greco, dell’ebraico, delle scienze naturali, della matematica, della fisica sperimentale, della moderna astronomia, delle scienze mediche e anatomiche. Il libero dibattito e la circolazione delle idee vengono sottoposti al controllo dell’autorità statale ed ecclesiastica. Le università hanno un ruolo fondamentale nel determinare la frattura religiosa; docenti e scolari sono in prima linea nelle battaglie che precedono e accompagnano la Riforma. Con la pace di Augusta (1555) che appiana i rapporti tra cattolici e luterani, però, tornano al loro ruolo tradizionale e conservatore, in consonanza con l’affermazione degli Stati confessionali. Nel complesso la didattica universitaria è restia ad acquisire le conquiste del pensiero scientifico e rimane ancorata alla tradizione. I criteri didattici e i piani di studio restano in gran parte quelli del passato. La disciplina maggiormente curata continua a essere il diritto civile e canonico che consente carriere promettenti negli apparati amministrativi pubblici (l’Università di Marburgo è la prima a essere fondata dopo la Riforma, nel 1527, con lo scopo dichiarato di preparare personale per l’amministrazione statale). Il movimento umanistico si trova dunque costretto a operare all’esterno degli studi pubblici, nelle corti dei principi e nei grandi centri editoriali, nelle accademie e nei collegi che sorgono numerosissimi, luoghi in cui è consentita una maggiore vivacità culturale. A tale scopo vengono fondati, ad esempio, il St. John’s College di Cambridge, il Corpus Christi College di Oxford, oppure ancora il Collège des Lecteurs Royaux (una struttura universitaria voluta da Francesco I, che prevede cattedre di latino, greco, fisica, astronomia, geografia, filosofia e medicina). Già nel corso della prima metà del secolo si ridisegna la geografia dei grandi centri universitari: accanto a quelli tradizionali (Parigi, Bologna, Salamanca, Oxford, Cambridge) se ne affermano di nuovi o aumenta il credito di altri meno famosi: la scuola medica di Montpellier, il Collège de Guyenne di Bordeaux, lo Studio di Basilea, quello di Lovanio, l’università di Cracovia (importante, grazie a Copernico, per gli studi astronomici e matematici). Il modello universitario europeo viene inoltre portato anche nelle colonie spagnole al di là dell’Atlantico, a Mexico e a Lima (1551).
Gli studenti universitari
Nel Cinquecento non solo aumenta il numero degli atenei ma cresce in continuazione pure il numero degli iscritti. L’università è sempre più riservata a una popolazione studentesca di estrazione medio-alta. Un buon curriculum scolastico diventa necessario ai numerosi figli della nobiltà europea che aspirano a posti di responsabilità e prestigio nella gerarchia ecclesiastica, nelle corti, negli apparati burocratici delle grandi monarchie e dei governi cittadini (un esempio sono i letrados usciti dai Colegios Mayores, sui quali poggia il sistema di governo spagnolo nei domini europei e americani). Anche i figli di mercanti accedono all’istruzione superiore per prepararsi a una vita che disprezza il lavoro manuale e le arti meccaniche, per vivere di rendita, da gentiluomini. In questo processo di aristocratizzazione delle università, scompare la figura dello studente povero visto con diffidenza in un’università selezionata in base al censo: le facilitazioni e le borse di studio che consentivano agli studenti meno abbienti di compiere gli studi superiori vengono infatti gradualmente eliminate. Il carattere internazionale della cultura universitaria trova alimento nella peregrinatio academica che porta molti studenti a compiere il loro itinerario di studio frequentando diversi atenei d’Europa. Erasmo da Rotterdam, dopo aver frequentato a Parigi il Collège de Montaigu (dove studiano anche Ignazio di Loyola, e Giovanni Calvino), va a Oxford, Bologna, Lovanio, Padova, Cambridge. Il suo curriculum di studi è esemplare, nel senso che può essere esteso a molti studenti, anche di condizioni socio-economiche più modeste. Questo cosmopolitismo intellettuale subisce una drastica riduzione con la Riforma. I conflitti confessionali aumentano la diffidenza nei confronti dell’esterno, comportano una progressiva riduzione della circolazione di idee e del sapere. I viaggi di studio continuano, ma in circuiti più limitati: così gli Austriaci protestanti si spostano tra Wittenberg, Marburgo e Jena, quelli cattolici frequentano Vienna, Ingolstadt e Lovanio. In Spagna i rigidi controlli adottati dal re Filippo II in campo pedagogico portano, nel 1558, al divieto per gli scolari spagnoli di studiare all’estero, fatta salva la possibilità di andare in alcune sedi universitarie ben precise di assicurata ortodossia cattolica. In un clima così mutato, Padova, Bologna e Siena restano una meta ambita per tutti coloro che seguono gli studi giuridici, indipendentemente dalla confessione religiosa, mentre l’università di Leida, un nuovo ateneo protestante sorto nel 1575 per rispondere alle esigenze che l’università cattolica di Lovanio non può più soddisfare, resta aperta anche ai cattolici.
Istruzione e Controriforma cattolica
Nell’Europa cattolica i collegi gesuitici diventano lo strumento adeguato per la nuova strategia controriformista in risposta al dilagare del protestantesimo. Essi si diffondono con rapidità: nel 1556 sono circa 100, nel 1600 sono diventati 245, presenti in modo più massiccio nell’area asburgica e in Italia.
Attraverso la rielaborazione di metodi tradizionali, i Gesuiti danno avvio a un modello pedagogico originale che diventa uno strumento di controllo e di organizzazione dei fedeli, utile alla formazione delle élite laiche ed ecclesiastiche. Attorno a metà secolo il papa Giulio III concede loro la facoltà di addottorare in filosofia e teologia i propri iscritti. Nel 1561 Pio IV estende tale concessione a studenti esterni. I collegi dei Gesuiti divengono presto concorrenti delle università pubbliche. Würzburg, Lovanio, Ingolstadt e Dillingen sono gli atenei cattolici che diventano presto famosi per il loro orientamento gesuitico. L’ostilità nei confronti dei collegi cresce però rapidamente anche negli Stati rimasti legati a Roma, soprattutto in quelli in cui il potere statale è in fase di consolidamento (Francia e Spagna). Pure nella Repubblica di Venezia, con la sua tradizione giurisdizionalista, cresce il malcontento verso i sistemi educativi gesuitici. Francia e Repubblica di Venezia, tra fine secolo e inizio Seicento, promulgano un decreto di espulsione dei Gesuiti. Nella Vienna di fine Cinquecento, invece, la situazione è opposta: i giovani che frequentano l’università sono circa 200, contro i 1000 iscritti al collegio dei Gesuiti.