Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il capitalismo ottocentesco deve il proprio consolidarsi e l’affermazione dei suoi principi a una istituzionalizzazione di quelli che sono i suoi principali pilastri organizzativi: libero mercato; mercato del lavoro; mercato dei capitali e della moneta. A consentire tale processo non è la mano invisibile del libero agire di forze concorrenti, ma bensì la mano visibile dello Stato liberale.
Stato e mercato
Nel Manifesto del Partito Comunista, Karl Marx è allo stesso tempo il critico del sistema capitalistico e l’apologeta della rivoluzione industriale e di quella degli scambi che dalla prima ha preso avvio. L’incessante processo di trasformazione ed espansione del sistema produttivo industriale e la moltiplicazione esponenziale degli scambi interni tra le nazioni sono, ai suoi occhi, gli elementi che più caratterizzano, in positivo, la nascita e lo sviluppo di una economia capitalista. “[La borghesia] ha tolto di sotto i piedi all’industria il suo terreno nazionale, con gran rammarico dei reazionari. Le antichissime industrie nazionali sono andate distrutte, e ancora adesso vengono distrutte ogni giorno. Vengono soppiantate da industrie nuove, la cui introduzione diventa questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili, da industrie che non lavorano più soltanto materie prime del luogo, ma delle zone più remote, e i cui prodotti non vengono consumati solo nel paese stesso, ma anche in tutte le parti del mondo. Ai vecchi bisogni, soddisfatti con i prodotti del paese, subentrano bisogni nuovi, che per essere soddisfatti esigono i prodotti dei paesi e dei climi più lontani. All’antica autosufficienza e all’antico isolamento locali e nazionali, subentra uno scambio universale, una interdipendenza universale fra le nazioni”.
Circa un secolo dopo, Karl Polanyi, nel suo La grande trasformazione, assume un punto di vista critico nei confronti della nascita e consolidamento del sistema capitalistico e del mercato che ne dovrebbe essere il regolatore, esprimendo uno scetticismo di fondo nei confronti anche di quegli aspetti a cui lo stesso Marx aveva riconosciuto un valore progressivo e dunque sostanzialmente positivo in una prospettiva storica: “[ …] nessuna società potrebbe sopportare gli effetti di un simile sistema di rozze finzioni neanche per il più breve periodo di tempo, a meno che la sua sostanza umana e naturale, oltre che la sua organizzazione commerciale, fossero protette da questo diabolico meccanismo”. Allo stesso tempo, Polanyi mette anche in evidenza come la mano visibile dello Stato abbia consentito l’istituzionalizzazione e la formalizzazione legislativa del mercato, che nasce non per uno spontaneo sviluppo, ma per una ben chiara successione di decisioni politiche e a partire da ben identificabili interessi.
Il trionfo del mercato autoregolato
L’origine di questo processo è da ricercarsi nella formulazione di una vera e propria visione utopica del libero mercato e di una sua mistica della “salvazione secolare dell’uomo attraverso un mercato autoregolato” che ha in David Ricardo, più che in Adam Smith, la sua anima e in Richard Cobden il suo principale propagandista. Le condizioni che determinano la possibilità stessa di un mercato che si autoregola e, in tale prospettiva, la sussistenza stessa di un sistema economico di tipo capitalistico, sono date dal libero scambio, ovvero dalla eliminazione di ogni ostacolo e limitazione di qualsivoglia natura alla libera circolazione e commercio delle merci; dall’esistenza di un mercato del lavoro nel quale questo trovi il suo prezzo; e dalla regolazione automatica della moneta su base aurea, il gold standard.
Il 1822, è l’anno in cui si iniziano a porre le basi su cui verrà costruito il regime di libero scambio con l’approvazione da parte della Camera dei Comuni di Londra di una prima serie di provvedimenti volti alla riduzione delle tariffe doganali, all’eliminazione dei divieti di importazione e che, soprattutto, prevedono un primo ridimensionamento dei Navigation Acts del 1651, forse la principale istituzione legislativa di protezione del commercio britannico. Processo che trova il suo compimento nel 1846, l’anno dell’Anti-Corn Law Bill, che porta al trionfo dei liberisti nella più che ventennale battaglia per l’abrogazione dei dazi e delle regolamentazioni sull’importazione dei cereali, le quali entrano in vigore nel 1815 con il nuovo regime protezionistico determinato dall’adozione delle cosiddette Corn Laws, con lo scopo di regolare l’importazione dei cereali e l’andamento dei loro prezzi in relazione alla produzione interna. L’abrogazione delle Corn Laws nel 1846 e la completa rimozione dei Navigation Acts nel 1849 istituiscono definitivamente un sistema di piena libertà per quanto concerne gli scambi internazionali che trovano il loro centro nel Regno Unito. Mentre i provvedimenti previsti nel 1834 dal Poor Law Amendment Act sanciscono la nascita di un meccanismo che consente di affidare alla autoregolazione del mercato la determinazione dei prezzi relativi all’offerta di lavoro interna, l’adozione del gold standardnel 1821 e l’approvazione del Peel’s Bank Act nel 1844 stabiliscono un rigido sistema di controllo sulla circolazione monetaria determinato dai meccanismi autoregolati della base aurea. L’intrinseca coerenza di questi provvedimenti crea il fondamento del sistema di mercato britannico: “L’espansione del sistema di mercato nel XIX secolo era sinonimo del simultaneo ampliamento del libero scambio internazionale, di un mercato concorrenziale del lavoro e della base aurea; essi formavano un tutto unico” (Polanyi, 1944).
La cornice internazionale e le istituzioni dello Stato liberale
All’interno del quadro reso possibile da altri due elementi di natura non economica, o almeno non direttamente, che sono essenziali all’affermazione ed espansione del sistema capitalistico nelle forme che esso assume nel corso del XIX secolo, il primo è l’“equilibrio di potenza” in quanto forma di regolazione del sistema delle relazioni internazionali così come si è andato sviluppando nei secoli dell’età moderna, trovando un assetto quasi definito a partire dal Congresso di Vienna nel 1815. L’equilibrio di potenza ha lo scopo di mantenere la pace in Europa, consentendo una via di regolazione dei conflitti interni che impedisce l’emergere di una nazione, o gruppi di nazioni, in grado di esercitare un ruolo egemonico sul continente. In questo sistema il governo britannico assume, come primus inter pares, una funzione di arbitro degli equilibri continentali, riservandosi la scelta delle alleanze di volta in volta più opportune per garantire l’equilibrio di potere. Nella prima parte del secolo la Francia viene ancora percepita come la minaccia principale a questo equilbrio, mentre nell’ultimo quarto dell’Ottocento, è la vitalità economica e la crescente assertività politica della nuova Germania guglielmina a costituire la preoccupazione maggiore, determinando un riorientamento della politica estera britannica.
L’equilibrio europeo è in sostanza funzionale alla conservazione di un’egemonia britannica su scala globale, già nettamente delineatasi alla fine del Settecento ma enormemente consolidata dalla vittoria su Napoleone e dalla crescita economica senza precedenti che conferisce alla Gran Bretagna, soprattutto a partire dalla metà del secolo, oltre al ruolo di garante dell’equilibrio politico le funzioni di “banca del mondo” e di “fabbrica del mondo” creando, di fatto, gli elementi di tale egemonia nel sistema internazionale dell’epoca. Anche queste tre funzioni costituiscono un tutto unico e si rafforzano a vicenda.
Lo Stato liberale
L’altro elemento è rappresentato dallo Stato liberale, il cui apparato giuridico crea i presupposti legali per l’operare dei mercati e il cui intervento legislativo ha contribuito alla loro stessa costruzione. Per Max Weber sono le conseguenze, volute o meno, della nascita degli Stati moderni ad abbattere gli ostacoli e i limiti religiosi, culturali e sociali, che consentono il costituirsi del mercato nei tre ambiti essenziali allo sviluppo del capitalismo, la terra, il capitale e il lavoro, presupposto che getta le fondamenta per la nascita di un vero mercato di massa e, quindi, rende possibile la produzione industriale su larga scala. Adam Smith aveva a sua volta riconosciuto il ruolo fondamentale dello Stato, sia nel meccanismo di funzionamento del mercato, sia nel garantire le condizioni di sicurezza, giuridica e materiale, necessarie per la sua stessa esistenza. Marx ne aveva riconosciuto il ruolo di regolazione coercitiva del conflitto sociale interno al sistema capitalista. Per Weber lo Stato liberale moderno affermatosi in Europa, fondato su principi legislativi razionali e amministrato da professionisti, ha consentito sul piano politico e sociale l’affermazione dei rapporti di proprietà capitalisti e del mercato, attraverso la rimozione delle strutture sociali feudali e dei precedenti assetti patrimoniali.
Oltre a questo, l’affermazione dello Stato liberale ha però creato anche un insieme di relazioni politico-economiche legate ai rapporti tra questo e le sue componenti sociali, oltre che con gli altri Stati. I sudditi dei moderni Stati sono diventati cittadini titolari di diritti, in linea di principio uguali di fronte alla legge e garantiti dallo Stato stesso. Questi diritti hanno creato le condizioni per un processo di affermazione della democrazia liberale rappresentativa e hanno permesso lo sviluppo di relazioni economiche in condizioni contrattuali formalmente paritarie. Non solo: infatti Weber osserva che “una massa di cittadini con identico status giuridico può facilmente trasformarsi in una massa di consumatori di prodotti di massa indifferenziati”.
Borghesia e Stato burocratico
Un altro elemento decisivo nell’affermazione del sistema di economia capitalista è stato il determinarsi storicamente della contrapposizione tra lo Stato burocratico e una classe borghese economicamente indipendente al suo interno, condizione che produce un compromesso, la “memorabile alleanza”, che genera i mezzi fiscali che rendono possibile, anche grazie al finanziamento della spesa militare, consolidare il sistema europeo degli Stati.
“I sistemi fiscali basati su ‘banche pubbliche’ e prestiti allo stato, con il pagamento degli interessi per mezzo della tassazione, consentirono il finanziamento dello sviluppo del capitalismo attraverso i mercati del credito e monetari” (Weber). Dovendo gli Stati, inoltre, competere per il controllo del capitale mobile prodotto dalla borghesia mercantile, fin dalle sue origini cosmopolita, l’insieme dei rapporti finanziari che coinvolgono la relazione tra questi soggetti è per definizione transnazionale.
A differenza di Marx, per Weber il rapporto tra borghesia e Stato non è dato dal pieno controllo della prima sul secondo: “le classi economiche dominanti dipendono dal potere autonomo dello stato”, ma non sono subordinate a questo. In linea di principio, i capitalisti sono liberi da costrizioni nella loro ricerca di profitto al di là del controllo che ciascuno Stato, o alleanza di Stati, possa esercitare. Questo ha dato al capitalismo, e ai suoi elementi costitutivi, la possibilità stessa di svilupparsi e consolidarsi e “[...] fino a che lo stato nazionale non farà posto ad un impero mondiale, durerà anche il capitalismo”.
La moneta e il suo governo
L’istituzione nel 1821 del gold standard da parte del governo britannico (il valore in oro della sterlina, fino ad allora calcolato in argento, era già stato fissato nel 1717 ed era stato Isaac Newton a determinarlo su incarico del Cancelliere dello Scacchiere), è uno dei principali strumenti che consentono all’economia capitalista di affermarsi in via definitiva nel Regno Unito, creando le fondamenta di un mercato della moneta e della sua regolazione: processo che sarà completato nel 1844 con l’approvazione del Bank Charter Act, con cui la Banca d’Inghilterra, nata nel 1694, vede rafforzare il proprio ruolo istituzionale e ufficializzare la sua funzione come unica banca britannica di emissione di carta moneta. Il sistema aureo rappresenta fino al 1932 una delle principali istituzioni dell’economia capitalista e un vero e proprio architrave del sistema finanziario e commerciale internazionale: il suo abbandono da parte dell’Impero britannico, come conseguenza della crisi del 1929, verrà universalmente percepito come la crisi del capitalismo stesso come sistema.
“I principi del gold standard sono: convertibilità su base paritaria dell’oro da metallo a moneta; la possibilità della conversione in oro della cartamoneta; libertà di importare ed esportare oro moneta, oro metallo o cartamoneta”. Come conseguenza del ruolo centrale che la sterlina assume, a partire dagli anni ’20 e per tutto il secolo, nel sistema degli scambi e degli investimenti su scala globale, l’adozione del gold standard per quanto inizialmente limitata alla sola Inghilterra, ha conseguenze fondamentali anche in campo internazionale sia per quanto riguarda i commerci, che per quanto riguarda la produzione industriale e, ovviamente, il sistema finanziario. Il “tallone aureo” consente una quasi perfetta stabilità monetaria, soprattutto dopo la sua adozione generalizzata tra il 1853 (sua parziale adozione negli Stati Uniti) ed il 1873 (adesione al sistema aureo da parte della Germania), condizione che favorisce la rapida crescita del commercio estero, così come quella degli investimenti internazionali.
Non tutti però ne sono avvantaggiati. La progressiva affermazione del sistema aureo è stata affiancata dalla scoperta di nuovi ed estesi giacimenti di argento, oltre che dal miglioramento costante delle tecniche di estrazione e raffinazione di questo metallo prezioso. L’insieme di questi fattori, nel corso del secolo, determina un cambio tra oro e argento sempre più favorevole al primo. Se alcuni Stati hanno per un certo periodo mantenuto un sistema fondato sull’impiego di entrambi (bimetallismo), e tra questi anche il Regno Unito, la costante svalutazione dell’argento rispetto all’oro, da un lato porta ad una rapida conversione al tallone aureo, dall’altro accentua i problemi finanziari di alcuni stati la cui moneta tradizionalmente è legata all’argento: tra questi l’India, la Cina, la Persia, il Giappone.