Vedi EOLIE, Isole dell'anno: 1960 - 1973 - 1994
EOLIE, Isole (Αἰόλου νῆσοι, Αἰολίδεσ, Λιπαραῖας; Aeoliae, Hephaistiades, Volcaniae)
Gruppo di isole di natura vulcanica, poste a circa 40 km a N della Sicilia. Si compone di sette isole principali e di alcuni isolotti scogliosi. La più grande di esse è Lipari (lunga km 9,5 e larga, in media, 5); con Vulcano e Salma, vicine tra loro, essa forma il gruppo principale. A 27 km a O di Lipari sorge Filicudi e a 47 km Alicudi; a N-E Panarea, circondata da isolotti rocciosi; e più oltre Stromboli. Questa isola, e Vulcano, hanno attività eruttiva; in altre sorgono fumarole e sorgenti termali. L'acqua sorgiva è scarsa o del tutto assente.
Le isole furono identificate dagli antichi con l'Eolia (Αἰολίη), sede di Eolo re dei venti; a Vulcano (῾Ιερὰ ῾Ηϕαίστου) fu da altra leggenda situata la sede di Efesto e dei Ciclòpi; l'abitato di Lipari sarebbe stato fondato o da Eolo stesso, o da Liparo figlio di Ausone, mitico re d'Italia. Le isole E. furono abitate in età antichissima e in seguito a scavi recenti hanno acquistato un'importanza particolarissima nel quadro della preistoria mediterranea. Fra il VI e il V sec. a. C. furono colonizzate dai Greci delle isole di Cnido e di Rodi; si allearono ai Siracusani contro le incursioni cartaginesi; si allearono poi a Cartagine durante la prima guerra punica contro i Romani, che le occuparono nel 251 a. C. Da allora furono unite amministrativamente alla Sicilia; servirono di base navale e poi, sotto l'Impero, da luogo di villeggiatura.
Preistoria. - La ricchezza archeologica della necropoli di Lipari (Meligūnis, Lipāra) era evidente, data la fortuna che aveva coronato piccoli scavi privati della seconda metà del secolo scorso, dai quali era derivato il ricco materiale che oggi costituisce le collezioni del Museo Mandralisca di Cefalù e dei musei di Glasgow e di Oxford. Saggi eseguitivi dall'Orsi nel 1928 avevano dato scarsi risultati. Avevano però accertato l'esistenza di una vasta stazione preistorica nella contrada Diana, mentre altre segnalazioni di preistoria erano state fatte anche nelle isole minori, soprattutto per merito del vulcanologo O. De Fiore. Ma il significato delle isole E. nel quadro della preistoria mediterranea è apparso chiaro solo con l'inizio di scavi sistematici, limitati dapprima (dal 1946) alla sola Panarea, estesi poi, con maggior ampiezza, dopo il 1950, anche a Lipari, a Filicudi e a Salma. Importantissime sono apparse soprattutto le stazioni preistoriche del Castello e della contrada Diana di Lipari, le quali hanno permesso di ricostruire la serie completa delle civiltà succedutesi nell'arcipelago dal Neolitico alla piena età storica.
Il Castello di Lipari, masso di riolite che si protende sul mare dando luogo a due insenature portuose, Marina Lunga a N, Marina Corta a S, e che ha alle spalle la fertile piana della contrada Diana, è una vera fortezza naturale, e per questa ragione, così come per la presenza dei due porti, è sempre stato sede del principale nucleo abitato delle isole. Sull'alto di esso ogni periodo della civiltà umana ha lasciato le sue tracce sovrapponendole a quelle dei periodi precedenti e si è formato così, attraverso oltre cinque millenni, un deposito stratificato che raggiunge in qualche punto lo spessore di nove metri e che può in qualche modo essere paragonato ai tell del Vicino Oriente. Ma vi sono stati periodi, soprattutto fra la fine del Neolitico e il principio dell'Età del Bronzo, in cui le condizioni di tranquillità hanno permesso all'uomo di abbandonare la rocca e di stabilirsi nella piana indifesa. Anche qui la successione degli abitati ha dato luogo ad un deposito regolarmente stratificato, che conferma e integra molto utilmente i dati della stratigrafia dell'acropoli.
Il quadro della preistoria eoliana è completato da una serie di giacimenti minori, durati in generale per periodi molto più brevi e contenenti le vestigia di una sola o di poche facies culturali successive, sparsi sia sull'altipiano di Lipari (Piano Conte, Castellaro), sia nelle isole minori (Calcara, Piano Quartara, Punta di Peppa Maria, Promontorio del Milazzese nell'isola di Panarea, Capo Graziano di Filicudi, Portella, Serro dei Cianfi, ecc., nell'isola di Salma; Pianicelli di Ginostra nell'isola di Stromboli, ecc.). Lo scavo di essi ha portato sovente notevole luce su momenti determinati della serie stratigrafica eoliana.
Il grande interesse delle stazioni preistoriche eoliane risiede sia nel fatto che queste isole a più riprese nella preistoria e nella protostoria hanno avuto nell'economia del Mediterraneo un'importanza di gran lunga maggiore di quella attuale, sia nel fatto che la formazione di tell, se è relativamente frequente nel Vicino Oriente, è del tutto eccezionale nell'Occidente, e comunque quello di Lipari è il primo che sia stato esplorato con metodo.
La ben stabilita successione culturale eoliana ci fornisce la chiave che finora ci mancava per una classificazione cronologica relativa delle culture dell'Italia meridionale e della Sicilia e colma pertanto amplissime lacune delle nostre conoscenze a questo riguardo. Inoltre, attraverso gli scambi commerciali col mondo egeo, di cui si sono riconosciute tracce almeno fin dal 1600 a. C., le isole E. ci forniscono le più antiche date sicure della preistoria occidentale. I risultati di questi scavi possono in breve così riassumersi. Le isole E. non sembrano essere state abitate nel Paleolitico, cosa ovvia, dato il fatto che genti che basavano la loro economia sulla caccia e la raccolta, non potevano vivere in un area tanto ristretta. Nel Neolitico, invece, hanno avuto una fioritura rigogliosissima, grazie all'ossidiana (il vetro vulcanico di cui è ricca Lipari), che veniva lavorata ed esportata per tutto il bacino occidentale del Mediterraneo sotto forma di lame e altri strumenti da taglio.
La più antica fase non è rappresentata sull'acropoli di Lipari, ma ci è nota solo attraverso la stazione all'aperto del Castellaro Vecchio presso Quattropani. È caratterizzata da una ceramica decorata con impressioni a crudo identica a quella delle stazioni tipo Stentinello della Sicilia, e da una ceramica dipinta a bande o fiamme rosse sul fondo chiaro, analoga a quella dei villaggi trincerati del Materano. La lavorazione dell'ossidiana costituiva già la principale attività del villaggio.
La vita sul Castello comincia solo con la fase successiva, in cui la ceramica impressa è scomparsa, sostituita da una ceramica d'impasto nero lucido, molto fine, mentre la ceramica dipinta, ora predominante, è tricroma essendo le bande o fiamme sempre marginate di nero. La terza fase vede la diffusione della decorazione meandrospiralica nella ceramica dipinta, che è ora raffinatissima, con singolari anse formate da complicati ravvolgimenti di un nastro di argilla e del tutto identica a quella delle capanne del villaggio materano di Serra d'Alto e di numerosi giacimenti pugliesi. Nella quarta fase si abbandona la decorazione dipinta nella ceramica, che è ora di un bel rosso corallino, lucido, con anse tubolari o a rocchetto. La derivazione dalle forme della fase precedente è però evidente. La fusione del rame è già conosciuta. L'abitato principale non è più sul Castello, ma nella sottostante contrada Diana, dalla quale questa fase culturale può prendere il nome. Ma abitati minori e tombe sono anche sull'altipiano nella contrada Piano Conte e nelle isole di Panarea (Calcara) e Filicudi (Capo Graziano).
Se il Neolitico, pur attraverso l'evoluzione di cui abbiamo tracciato le linee, rappresentava una continuità ininterrotta, il passaggio al periodo culturale successivo subneolitico, quello che prende il nome di Piano Conte da un villaggio dell'altipiano, è marcato da un totale cambiamento nelle forme e nella qualità stessa della ceramica, che è ora di impasto bruno, molto più grossolano, con decorazione a larghi solchi paralleli.
Segue la cultura detta di Piano Quartara, dalla stazione dell'isola di Panarea ove fu prima identificata. Presente anche a Ginostra (Stromboli), non è rappresentata sul Castello di Lipari, bensì nella contrada Diana. La si può considerare ormai appartenente all'età dei metalli. La ceramica d'impasto bruno, piuttosto grossolano, rivela nelle forme strette analogie con quella siciliana della stessa età e, come questa, è una indubbia derivazione da prototipi egeo-anatolici.
Si può considerare che la vera Età del Bronzo incominci con la cultura detta di Capo Graziano dal villaggio di capanne ovali sul promontorio omonimo dell'isola di Filicudi. A Lipari il villaggio si sviluppa ancora in un primo tempo a Diana, ma più tardi, forse in seguito a minaccia di incursioni nemiche, abbandona la piana e si trasferisce sul castello, ove numerose capanne ovali di questa età, fra cui una vastissima (m 12 × 7), e un silos tronco-conico, sono stati messi in luce dagli scavi. Tracce della stessa età sono a Salma (Serro dei Cianfi), a Panarea (Punta di Peppa Maria) e a Ginostra. È un periodo certamente di lunga durata. La ceramica bruna con decorazione incisa rivela nelle forme una discendenza da prototipi dell'Antico Elladico tinale e dell'Elladico Medio della Grecia continentale. Ma la vera età di questa cultura è indicata dalla quantità di frammenti di ceramica premicenea e protomicenea (transizione dal Mesoal Tardo-Elladico e Tardo-Elladico I-II e III A 1; 1600-1400 circa a. C.) raccolti sul Castello di Lipari, a Filicudi e a Salma, ma totalmente assenti a Diana. La formazione di questa cultura è però certo più antica che l'inizio di questi scambi con l'Egeo. Il periodo di Capo Graziano, rappresenta certamente un periodo di rinnovata prosperità per le isole dopo la evidente povertà delle fasi di Piano Conte e di Piano Quartara. La ragione di questa prosperità sta probabilmente proprio in quei rapporti con l'Egeo di cui le ceramiche importate sono la testimonianza. Le isole E. diventano avamposti del commercio miceneo, probabilmente sulla via per la quale giunge all'Oriente lo stagno di Cornovaglia.
Col 1400 si ha un totale cambiamento nelle forme della ceramica che sono ora quelle stesse della cultura siciliana di Thapsos, con qualche diversità locale. E la facies detta del Milazzese, dal villaggio del promontorio di questo nome dell'isola di Panarea. Continuano gli abitati sul Castello di Lipari e sul Capo Graziano di Filicudi, ma il villaggio di Salma si sposta su una cresta quasi inaccessibile alla Portella. Fortissima è d'altronde la posizione del Milazzese. La minaccia che già forse si profilava nella fase precedente si aggrava e costringe le popolazioni a cercare sedi disagevoli, ma fortissime. I rapporti col mondo miceneo continuano.
Ai numerosi frammenti di ceramica del Miceneo III A2 e ai pochissimi del Miceneo III B si aggiunge a Salma una collana di perle di pasta vitrea e di pastiglia fra cui non poche del tipo segmentato diffuso in questa età in tutto l'Occidente. Ma ceramiche "appenniniche" importate attestano scambi anche con la penisola italiana (v. appenninica, civiltà).
Importantissima la presenza sulle ceramiche locali di contrassegni o marche di vasaio, che non di rado trovano corrispondenza nei segni delle scritture lineari minoico micenee. È certamente questo il periodo di cui risuona una eco nelle leggende omeriche dell'isola di Eolo e delle Planktai.
Forse intorno al 1250 a. C. la civiltà del Milazzese ha una brusca fine. I villaggi delle isole minori scompaiono per sempre. Quello del Castello di Lipari riprende dopo una distruzione violenta per incendio. Ma i tipi delle ceramiche sono ormai quelli stessi che caratterizzano le stazioni tardo-appenniniche della penisola italiana (Leporano, Coppa Nevigata, Scoglio del Tonno, ecc.). Si ritrova, nelle capeduncole carenate, la stessa varietà di soprelevazioni sulle anse (cilindro-rette, a doppio cilindro, a mazzuolo, cornute, ad ascia, a piastra forata sormontata da volute, ecc.) così come vasi a becco ansa, situle a cordoni, ecc. Le affinità con la Sicilia cessano del tutto.
Questa entrata delle isole E. nell'orbita culturale della penisola è stata messa in rapporto con la tradizione diodorea della colonizzazione ad opera degli Ausoni guidati da Liparo (Diod., v, 7, 5). A questa cultura eoliana è stato dunque dato il nome di Ausonia. È d'altronde l'età nella quale anche la Sicilia viene invasa da popolazioni peninsulari (Morgeti, Siculi).
La prima fase dell'Ausonio è di breve durata (forse 1250-1150 a. C.). Ben presto avviene un sensibile cambiamento nelle forme ceramiche. Quasi tutte le anse soprelevate scompaiono, salvo quelle cornute che diventano ora a vera protome animale, mentre ne compaiono altre a pilastrino orizzontalmente scanalato, ecc. Si diffondono l'orcio biconico e la ciotola di tipo villanoviano, mentre continua la situla a cordoni. Compaiono anche due tipi di ceramica dipinta, l'una piumata, l'altra a disegni geometrici bruni su fondo giallino.
Agli inizî dell'Ausonio II si può attribuire la necropoli venuta in luce nella Piazza Monfalcone al centro della Lipari àttuale, con incinerazioni entro situle a cordoni frammiste a inumazioni entro grandi giare. Solo queste ultime hanno corredi (collane di ambra, paste vitree, perle di cristallo di rocca, ecc.) mentre gli oggetti bronzei (spilloni con testa a rotella o ripiegati a otto, fermagli di cintura a cerchio crociato, fibule a nastro, ecc.) presentano strette analogie con quelli delle terramare, della palafitta di Peschiera in Lombardia, del ripostiglio di Coste del Marano (Tolfa) nel Lazio. Alle terramare ci riportano altresì lo spillone cruciforme e il pettine d'osso decorato a cerchielli trovati nelle capanne del villaggio. Capanne analoghe a quelle di Leontinoi e a quelle del Palatino a Roma, rettangolari, costruite in legname con pali verticali, con suolo alquanto infossato e focolare all'interno.
Il villaggio dell'Ausonio II subisce una distruzione violenta, radicale, forse alla fine del sec. IX a. C. e non viene ricostruito.
Segue un hiatus di forse due secoli e mezzo, corrispondente al periodo in cui a Roma sorgevano le capanne del Palatino e si formava la necropoli del Foro. D'altronde le condizioni di estrema decadenza in cui i Greci trovarono le isole sono attestate dalla tradizione storica (Diod., v, 9, 4).
Colonizzazione greca. - La fondazione della Lipari greca è dovuta agli Cnidi, reduci dallo sfortunato tentativo fatto da Pentatlo di stanziarsi a Lilibeo (576 a. C.), guidati da Gorgo, Testore ed Epiterside. I superstiti della spedizione toccano Lipari e sono invitati dai pochi abitanti a rimanere e a difenderli dalle incursioni dei Tirreni. Essi stabiliscono, almeno in un primo tempo, un regime collettivistico lasciando indivisa la terra che viene coltivata in comune. Sconfiggono gli Etruschi portando la guerra sulle loro coste e in breve si assicurano l'egemonia del basso Tirreno. Con le spoglie delle vittorie erigono un ex voto nel santuario di Delfi (Paus., x, 11, 3; 16, 7).
Lipari è probabilmente la base per la fondazione della colonia cnidia di Rhodiae sulla costa iberica. Al tempo della guerra del Peloponneso come città dorica si trova a fianco di Siracusa ed è perciò aggredita dalla flotta degli Ateniesi e dei Regini nel 427 e nuovamente nel 426.
Nel 397 viene assalita dalla flotta cartaginese di Imilcone, che non la distrugge, ma le impone un pesante tributo.
Nel 393 i Liparesi catturano la nave romana che portava a Delfi il cratere d'oro, decima della presa di Veio, ma poi la rilasciano per l'intervento dell'arconte Timasiteo e la scortano fino a destinazione, per cui i Romani riconoscenti, dopo la distruzione di Lipari (251), riservano un trattamento di favore ai suoi discendenti.
Nel 304 Lipari è aggredita a tradimento da Agatocle tiranno di Siracusa, che la saccheggia asportandone anche le statue di Eolo e di Efesto, ma è colpito dalla vendetta degli dèi e le navi che trasportano il bottino naufragano prima di raggiungere la Sicilia.
Durante la prima guerra punica Lipari entra nell'orbita dell'influenza cartaginese e dopo molte vicissitudini è conquistata e rasa al suolo dai Romani nel 251 a. C.
Il Castello costituì l'acropoli della Lipari greca, e delle sue fortificazioni rimane una torre di blocchi squadrati forse non anteriore al sec. IV a. C. Gli scavi hanno rivelato una pianta molto regolare con probabilmente cinque cardines paralleli distanti m 32,50 l'uno dall'altro e con fognatura mediana, intersecati da almeno due o forse tre decumani. Le case messe in luce sono di età ellenistica e romana, ma il reticolato stradale può essere assai più antico. Fin dal periodo arcaico la città si estende sul pendio e le mura devono includere almeno uno dei porti.
Gli scavi della piazza Monfalcone ne hanno scoperto un tratto in opera poligonale dell'ultimo decennio del VI sec. a. C. La necropoli si estendeva ampiamente nella piana della contrada Diana fra il vallone di S. Lucia a N e il vallone Ponte a S con estensioni a S. Anna e a Portinenti. Gli scavi regolari ne hanno esplorato oltre 500 tombe, scaglionate dal VI sec. a. C. alla fine del II d. C. Nelle tombe arcaiche, non di rado a sarcofago fittile, a bauletto o anche di tipo clazomenio (v. clazomene) prevalgono di gran lunga le ceramiche ioniche. I corredi più ricchi sono quelli del IV sec. a. C. È questo certamente il periodo di massima prosperità raggiunto da Lipari. Le tombe sono ora a sarcofago formato da mattoni crudi o a sarcofago litico con fiancate ben sagomate e modanate. Il corredo è sempre entro un orcio (pìthos) o entro involucro di argilla alla testata di una tomba. Molti i grandi crateri figurati, non di rado usati come cinerario, generalmente di fabbrica àpula o campana (v. àpuli, vasi; campani, vasi).
Ricordiamo fra questi crateri quello del museo di Cefalù con rappresentazione buffonesca della vendita del tonno, quello con phlyakes dinanzi ad Apollo, opera di Assteas, quello con Ulisse e Maron, ecc. Sulla via della necropoli, gli scavi hanno scoperto un altare di Demetra e Kore, con ricche stipi di piccole terrecotte votive. Nella II metà del IV sec. Lipari ha una propria produzione ceramica a cui sono dovute soprattutto lekànai, pissidi skyphoidi, lebeti nuziali, ecc., conservanti una vivacissima policromia. Molti di questi vasi sono della mano di un solo artista a cui è stato dato il nome di Pittore di Lipari, altri sono di suoi seguaci. Altra produzione caratteristica dell'arte liparese sono le piccole terrecotte quasi sempre di argomento teatrale. Maschere tragiche e comiche, figurine di commedia, phlyakes, sileni, ecc.
Già il III sec. rappresenta una sensibile decadenza. La distruzione del 251 mette fine a questa fioritura.
Età romana. - Il periodo successivo è certamente di grande povertà, sebbene continui la coniazione di monete bronzee.
Le isole riprendono una certa prosperità sotto Augusto in seguito alla deduzione di colonie. Nel II sec. d. C. Lipari possiede le normali attrezzature di una cittadina di provincia. Ha case con pavimenti a mosaico, una terma, un'arena, ecc. Scarsissime le testimonianze dei secoli successivi e quelle dell'età cristiana, che si riducono a poche iscrizioni. Dal III sec. Lipari è sede vescovile.
Tutti i materiali degli scavi delle isole e di Milazzo sono concentrati a Lipari nel Museo Eoliano che occupa gli edifici del Castello intorno alla Cattedrale di S. Bartolo.
Bibl.: Una bibliografia completa sulle isole E. fino al 1925 è stata data da: O. De Fiore, Bibliografia delle isole Eolie, in Bulletin Vulcanologique, II, 1925, pp. 113-161. La bibliografia storico-archeologica è stata raccolta da: J. Bérard, Bibliographie topographique des principales cités grecques de l'Italie Méridionale et de la Sicile dans l'antiquité, Parigi 1941. Sulla geologia, geografia, preistoria, storia antica e archeologia di Lipari e delle isole E.: Th. Reinach, Le collectivisme des Gresc de Lipari, in Rev. Ét. Grec., III, 1890, p. 86 ss.; Arciduca Ludovico Salvatore d'Asburgo, Die Liparischen Inseln, 8 voll., Praga 1893-96; A. Bergeat, Die äolischen Inseln geologisch beschrieben, in Sitzungsberichte K. Bayer. Akad. d. Wissenschaft., II cl.., XX, 1899, pp. 1-274; V. Strazzulla, Attraverso l'antichità liparea, Messina 1908; G. Libertini, Le isole Eolie nell'antichità greca e romana, Firenze 1921; P. Orsi, Neolitici di Lipari (Miscellanea sicula, VIII), in Bull. Paletn. It., XLVIII, 1928, pp. 88-92; P. Orsi, in Not. scavi, 1929, pp. 61-101; R. Henning, Die Liparischen Inseln im Lichte der antiken Sagenwelt, in Geographische Zeitschrift, 1929, pp. 546-559; L. Zagami, Le isole Eolie nella storia e nella leggenda, Messina 1939 (2a ediz., 1953); L. Bernabò Brea, in Not. Scavi, 1947, pp. 214-239; id., Villaggio dell'età del bronzo nell'isola di Panarea, in Boll. d'Arte, 1951; id., segni grafici e contrassegni sulle ceramiche dell'età del bronzo delle isole Eolie, in Minos, II, Salamanca 1952; id., La Sicilia prehistórica y sus relaciones con Oriente y con la Península Ibérica, in Ampurias, XV-XVI, Barcellona 1953-54, pp. 137-235; id., Sulla topografia di Lipari in età greca e romana, in Archivio Stor. per la Sicilia Orient., L, 1954, pp. 35-50; G. Cumin, L. Gambi, R. Pieruccini, F. Speranza, in Università di Messina, Note ad illustrazione della escursione geografica interuniversitaria nelle isole Eolie, 21-26 maggio 1955, Messina 1955; E. D. Phillips, The Isle of Aeolus, in Antiquity, XXX, 1956, pp. 203-208; L. Bernabò Brea-M. Cavalier, Civiltà preistoriche delle isole Eolie e del territorio di Milazzo, in Bull. Paletn. It., LXV, 1956, pp. 7-98; M. Cavalier, Salina. A Prehistoric Village in the Aeolian Island, in Antiquity, XXXI, 1957, pp. 9-13; seguito da nota di J. F. S. Stone, On the Beads from La Portella - Salina, ibid., pp. 13-14; L. Bernabò Brea, Sicily before the Greeks, Londra 1957; L. Bernabò Brea-M. Cavalier, Stazioni preistoriche delle isole Eolie: I, L. Bernabò Brea-M. Cavalier, Il Castello di Lipari e il Museo Archeologico Eoliano, Palermo 1958; La stazione stentinelliana del Castellaro Vecchio presso Quattropani (Lipari); II, Stazioni preistoriche di Piano Conte sull'altipiano di Lipari, in Bull. Paletn. It., LXVI, 1957; L. Bernabò Brea-M. Cavalier, Civilisations préhistoriques des Iles Eoliennes et du territoire de Milazzo, in Revue Archéologique, 1957, pp. 123-147; id., Les Iles Eoliennes et l'Egée au Néolithique et à l'age du bronze, in Byll. Corr. Hell., in preparazione. Vedi inoltre Pauly-Wissowa, s. v. Αἰόλου νῆσοι, Basileia, Didyme, Erikussa, Euonymos, Hiera, Lipara, Meligunis, Phoenikussa, Strongyle, Thermessa.
Sulla numismatica di Lipari: Torremuzza, Siciliae veteres Nummi, Palermo 1781, Tav. XCIV, "Liparensium", XCV; Henzen, Medaglie di Lipara e Lilibaeum, in Annali dell'Instituto, 1857, pp. 110-117; Cavedoni, Monete antiche dell'isola di Lipari, in Atti e Memor. delle R. Deputaz. di Storia Patria per le prov. Modenesi e Parmensi, Modena 1869; G. Tropea, Numismatica di Lipara, Archivio Storico Messinese, I, Messina 1901; E. Gabrici, La monetazione del bronzo nella Sicilia antica, in Atti del R. Accad. Sc. Lettere Palermo, 1927.