PONZA, Isola di (A. T., 27-28-29)
La maggiore delle isole Pontine (7,3 kmq. con l'isola di Gavi), posta 33 km. a S. del Capo Circeo e 95 km. a ONO. del Capo Miseno; si presenta spiccatamente allungata, diretta da NE. a SO.; compresa l'isoletta di Gavi, che si può considerare come una prosecuzione di Ponza, da cui è stata disgiunta in epoca relativamente recente, essa misura una lunghezza di circa 8 km.; la larghezza varia da un massimo di 1700 m. a un minimo di 200; il circuito costiero ha uno sviluppo di 25 km.; insenature principali sono le cale di Ponza, del Core, d'Inferno e Gaetana sulla costa orientale e la Chiaia di Luna sulla costa occidentale. Il litorale è molto frastagliato e generalmente scosceso; l'opera di abrasione marina è agevolata dalla facile erodibilità del materiale tufaceo, da cui l'isola è in gran parte costituita; da ciò deriva la frequenza di tratti costieri con pareti ripidissime e dipende pure il numero così alto degli scogli, da cui il litorale è frangiato. Il rilievo è dato da una successione di dossi collinosi, per lo più separati fra loro da profondi valloni, nei quali scorre poca acqua, e solo nell'epoca delle piogge. L'altezza massima dell'isola (e di tutto il gruppo delle Pontine) è di 283 m. ed è segnata dal M. della Guardia, che si eleva nella parte meridionale; nella zona mediana essa culmina col M. Core, a 204 metri; la parte settentrionale si erge, col M. Schiavone, a 156 m. Il centro principale dell'isola è Ponza (circa 3000 abitanti), distribuita ad anfiteatro sulle alture intorno al porto, nella parte orientale dell'isola. Per ulteriori notizie v. pontine, isole e inoltre v. italia, XIX, tav. CXLIX.
Storia. - Quest'isola, che trae il suo nome (gr. Ποντία, latino Pontia, arab. Būnsah) dall'essere la piu avanzata nel mare campano, fu abitata dalla più remota antichità. È possibile che l'occupassero i Fenici, secondo il loro costume, per dominare, dal mare, la costa prospiciente; dai Greci ha, senza dubbio, ricevuto il nome. Sappiamo da Livio che i Volsci l'abitavano quando, nel 313, vi fu fondata una colonia di diritto latino. E nel 209, durante le guerre puniche, Ponza fu una delle 18 su 30 colonie latine che risposero all'appello di Roma, inviando denaro, navi e uomini. Dopo la repubblica una o parecchie ville vi dovette possedere la casa imperiale: n'è prova l'esilio, per ordine di Tiberio, del figlio di Germanico, Nerone, che vi morì; e, per ordine di Caligola, delle due sorelle Agrippina e Giulia, poi richiamate in corte da Claudio; nonché di quella Orestilla, che quell'imperatore aveva prima sposata, e che in Ponza finì i suoi giorni.
Sono di questo periodo di tempo gli avanzi monumentali dell'isola.
Ville sontuose nella contrada S. Maria, con deliziosi solaria: una villa marittima alla Punta della Madonna, con un odeon e un'immensa e meravigliosa piscina del genere di quelle in petra excisae (cosiddetti Bagni di Pilato); stupendi serbatoi d'acqua pluviale, ad es. quello denominato grotta del serpente; perfette vie sotterranee, come quella di Chiaia di Luna; tutto un sepolcreto di monumenti rupestri; e infine un singolare acquedotto di filtrazione, che, dalla contrada Forna, portava l'acqua all'abitato, avente a capo il grandissimo epistomium di bronzo, conservato nel Museo di Napoli (sez. tecnologica).
A Ponza subirono il martirio parecchi neofiti cristiani e fu imprigionato e fatto morire di stenti e di fame papa Silverio (536-37). Durante il dominio bizantino fu governata da un comes, che dipendeva dall'ipato di Gaeta, ma venne spesso saccheggiata dai Musulmani. I Benedettini, forse della vicina Palmarola, vi eressero il convento di Santa Maria, che fiorì nonostante le incursioni degli infedeli. Il 14 giugno 1300 nelle sue acque la squadra aragonese di Ruggiero di Lauria, alleata degli Angioini, vinse i Siciliani comandati da Corrado Doria. Nel sec. XV il dominio di Ponza, come di tutto l'arcipelago, fu conteso fra la chiesa romana e gli Aragonesi. Nel 1435 Alfonso I assediava Gaeta, quando, essendo sopraggiunta in aiuto della città una flotta genovese condotta da Biagio Assereto, il re diede battaglia presso Ponza e fu sconfitto (v. appresso). Alcuni decennî dopo (1478) un gruppo di signori napoletani, fra i quali Alberico Carafa, Antonello Petrucci e Aniello Arcamone, ottennero l'isola in enfiteusi, stabilendovi un emporio commerciale, che fu poi tenuto dai Carafa soltanto. Ma nel secolo seguente, a causa delle frequenti incursioni dei corsari (il Barbarossa la devastò nel 1533), fu abbandonata dagli abitanti. Alla metà del sec. XVI vi erano poche decine di persone, che attendevano alla pesca, e neanche per tutta la durata dell'anno. Fu allora che (1572) il cardinale Alessandro Farnese, commendatario di Santa Maria di Ponza, la concesse al fratello Ottavio duca di Parma e Piacenza, il quale inviò il piemontese Bartolomeo Ceva a governarla. Nonostante l'opposizione della Spagna, rimase ai Farnesi fino alla loro estinzione, passando poi ai Borboni. Questi sovrani cercarono di ripopolarla, inviandovi coloni e religiosi, e relegandovi molti condannati per delitti politici e comuni. Alla fine del sec. XVIII fu occupata dai Francesi e venne incorporata nello stato napoletano, ma gl'Inglesi se ne impadronirono, facendone col principe di Canosa un centro d'intrighi ai danni di re Giuseppe e di Gioacchino Murat. Quest'ultimo, quando la fortuna di Napoleone declinò, trattò col comandante inglese Coffin per farsela restituire e unirsi con l'Inghilterra (aprile-giugno 1813). Dopo la restaurazione tornò ai Borboni. Il 26 giugno 1857 il Pisacane ne trasse alcune centinaia di relegati per tentare lo sbarco nel regno. Nel 1860 fu unita, come il resto dell'Italia meridionale alla monarchia di Vittorio Emanuele e da allora le sue condizioni economiche risorsero.
Bibl.: G. C. Tricoli, Monografia per le isole del gruppo Ponziano, Napoli 1855; H. Weil, Les négociations de P., in Correspondance historique et archéologique, 1898. - Per i monumenti antichi v.: A. Maiuri, Ricognizinoe archeologica nell'isola di Ponza, in Bollettino d'arte del Ministero della pubblica istruzione, 1926; L. Jacona, in Notizie scavi, 1929, p. 219 segg.; id., in Rendiconti gen. della R. Acc. di archeologia di Napoli, 1934.
Battaglia navale. - Presso Ponza si combatté nell'agosto del 1435 una battaglia navale tra l'armata di Alfonso d'Aragona, re di Sicilia, e una squadra di galee che il duca di Milano, signore di Genova, aveva armato contro il regno per aiutare il nemico di Alfonso, Renato d'Angiò, e liberare Gaeta, dove, in nome di lui, Francesco Spinola valorosamente si difendeva. La squadra del duca di Milano, forte di tredici legni a vela e di tre galee, agli ordini del notaio Biagio Assereto, partita da Genova nel luglio del 1435, nei pressi dell'isola di Ponza avvistò l'armata siculo-aragonese, forte di quattordici navi e undici galee. Secondo narra una fonte genovese, l'Assereto mandò alla squadra avversaria, su cui era imbarcato lo stesso re Alfonso, con due fratelli e una folta schiera di baroni e cavalieri suoi sudditi, un'offerta d'accordo per il vettovagliamento della città di Gaeta. La proposta fu respinta; e l'Assereto, senza lasciarsi spaventare dal numero delle navi nemiche, venne a battaglia: secondo la nota tattica dei Genovesi, egli mandò al largo una parte delle sue forze fingendo che fuggissero, per allettare il nemico ad avvicinarsi. Nella battaglia che seguì, e che l'Assereto descrisse con enfasi in una relazione dialettale al suo governo, il valore e la maggiore abilità manovriera dei Genovesi, nonché il tempestivo ritorno in linea delle navi allontanatesi, ebbero il sopravvento sulle forze del re Alfonso. La nave capitana di Alfonso fu conquisiata all'arrembaggio dall'Assereto e dai suoi; lo stesso re, i suoi fratelli, il duca di Sessa e molti gentiluomini di Sicilia e d'Aragona caddero prigionieri. Il bottino di guerra fu grandissimo: ben undici navi regie vennero prese, altre furono affondate, poche fuggirono.
Gaeta fu liberata, ma la vittoria fu politicamente sterile, perché il Visconti liberò Alfonso e per i fini della sua politica strinse alleanza con lui. Ma Genova gli si ribellò, perché delusa nelle speranze di sfruttare la vittoria conseguita dalle sue navi, e si rivendicò a libertà.