ISLAM.
– L’islam politico e il jihadismo. La reislamizzazione delle società islamiche. Il ruolo di Internet. Le comunità islamiche in Occidente. Bibliografia
All’inizio del 21° sec., l’i. è stato caratterizzato dallo sviluppo di fattori già emersi negli anni precedenti. Sebbene gli aspetti più politici siano quelli in cui si sono registrate le novità più significative, alcune linee di evoluzione sono affiorate anche nel discorso religioso e nell’elaborazione e discussione dell’eredità tradizionale. L’i. politico e il radicalismo jihadista hanno conosciuto una crescita esponenziale nelle diverse realtà del mondo islamico, spingendo ulteriormente per il superamento tradizionale di varietà regionali e popolari che pur tuttavia persistono. Questa nuova realtà ha accompagnato anche le linee di una sorta di ri-tradizionalizzazione, in cui il salafismo nelle sue diverse componenti è l’esempio più noto e quello più influente dal punto di vista teologico e sociale in ambito sunnita. Tali processi hanno inoltre avuto un impatto sempre più significativo sui rapporti tra sunniti e sciiti, con una crescita inesorabile in termini di conflittualità, anche nel confronto dottrinale, e di polarizzazione dei contrasti su linee settarie. Questo è avvenuto soprattutto nelle crisi scaturite dalle cosiddette primavere arabe nel 2011 e nella difficile transizione nei Paesi che hanno visto l’intervento militare statunitense, come Afghānistān o ῾Irāq. Conseguenze non secondarie di tutti questi fenomeni sono le difficoltà conosciute dalle minoranze cristiane e di altre religioni in aree musulmane da secoli abitate da diverse comunità religiose. Altro elemento importante è stato la crescente influenza della comunicazione tramite la rete Internet, che ha conosciuto sviluppo e diffusione esponenziali nei primi anni del nuovo millennio, contribuendo a riallacciare connessioni transnazionali anche per dibattiti su questioni religiose. Infine, non meno significativo è stato il consolidamento delle comunità musulmane in Occidente, con linee di sviluppo del discorso religioso che hanno iniziato a denotare originalità e specificità. Tutti questi fattori, benché non sempre implichino novità dottrinali e storico-religiose di per sé, hanno contribuito a sollecitare le comunità musulmane verso orientamenti nuovi e hanno introdotto possibili linee di evoluzione del pensiero che potranno avere ulteriori sviluppi nel prossimo futuro. I maggiori elementi di novità si sono notati sul fronte dell’i. politico e del jihadismo.
L’islam politico e il jihadismo. – La Fratellanza musulmana, nata nel 1928 in Egitto, ha conosciuto alterne vicende dopo un iniziale grande successo e la nascita di sezioni in altre nazioni. Bandita e perseguitata dal 1954 sotto Nasser, l’associazione dei Fratelli musulmani è rinata in Egitto negli anni Settanta del 20° sec. e contemporaneamente ha conosciuto una crescente diffusione nel resto del mondo musulmano, perseguendo azioni di reislamizzazione dal basso, educazione islamica e partecipazione politica religiosamente orientata. Prammatismo e realtà nazionali differenti hanno generato vie politiche diverse e anche elaborazioni dottrinali su partecipazione democratica, coniugando poi tutto questo con principi religiosi. La vittoria elettorale di Muḥammad Mursī e della Fratellanza musulmana nel 2012 in Egitto ha offerto una possibilità storica all’organizzazione più importante dell’i. politico nel Paese in cui tale movimento è nato, anche se la breve stagione di potere, interrotta dal colpo di Stato militare (2013), l’ha di nuovo relegata in una posizione subalterna. In molte altre realtà, come negli esempi più fortunati di Indonesia e Malaysia, il ruolo sempre più importante dei partiti ‘islamici’ evidenzia il proseguire delle dinamiche dei decenni precedenti di crescita continua di forze politiche, sovente legate alla Fratellanza musulmana, di ispirazione religiosa. Processi di istituzionalizzazione e partecipazione democratica hanno contribuito in molti di questi Paesi a definire identità politiche in cui il fattore islamico rimanda a costrutti di non particolare novità dal punto di vista storico-religioso. Il prevalere di rigide posizioni a difesa del dettato normativo si alterna così a vie più prammatiche, con maggiore attenzione ai contenuti più politici che religiosi dei partiti e delle associazioni che si rifanno alla Fratellanza musulmana.
La realtà di tutto il mondo islamico e delle stesse comunità musulmane in Occidente ha tuttavia evidenziato la penetrazione e diffusione del fenomeno del salafismo, forma di rigorismo tradizionale che abbraccia tendenze quietiste accanto a militanze attive nelle diverse realtà musulmane. Il salafismo contemporaneo rappresenta un orientamento giuridico e teologico tradizionale, corrispondente in certi casi al wahhabismo, sorto nel 18° sec. grazie alla predicazione di Muḥammad ibn ῾Abd al-Wahhāb, sostenuto dal clan degli Āl Sa῾ūd, e divenuto la forma di i. ufficiale nel regno dell’Arabia Saudita a partire dalla prima metà del 20° secolo. Accanto al rigoroso rigetto di devozione popolare, misticismo sufi e di ogni pratica considerata al di fuori del dettato tradizionale, il salafismo contemporaneo ha aggiunto e affinato una nuova enfasi sulla purità e sulla disciplina personali, anche come risposta e contrapposizione alla politicizzazione accesa delle varie organizzazioni della Fratellanza musulmana. Tale approccio, frutto di un percorso di approfondimento religioso sulle fonti della tradizione, ha determinato in certi casi percorsi innovativi nel dettaglio dell’agire richiesto al credente e quindi nell’interpretazione del quadro generale della legge divina (sharī ῾a). Puntando a superare e delegittimare le differenze dei riti giuridici e quindi della storia stessa dell’i. medievale, il salafismo sta, infatti, lentamente e progressivamente ridefinendo quello che il musulmano scrupoloso deve accettare e perseguire nella società islamica e in relazione agli altri (sunniti, sciiti e appartenenti ad altre religioni). Questo avviene con la riproposizione e la lettura della letteratura della scuola giuridica hanbalita e con un’attenzione peculiare all’elaborazione tradizionale basata sul dettato coranico, ma soprattutto sulla tradizione relativa agli atti e ai detti di Muḥammad (ḥadīth). In tale approccio non mancano ridiscussioni di quanto tramandato, oppure innovazioni di dettaglio che guardano sempre all’età delle origini come termine unico di riferimento e che, della tradizione letteraria islamica, utilizzano selettivamente quanto più vicino a queste attitudini nei loro percorsi di formazione.
L’i. jihadista, invece, espressione che designa l’atteggiamento dottrinale di vari gruppi o organizzazioni miranti alla lotta armata, ha registrato alcune significative novità connesse al sorgere di nuove entità che sono il portato di un recente processo di territorializzazione di questi fenomeni. Il jihadismo contemporaneo è frutto della netta divaricazione strategica e anche dottrinale che negli anni Settanta del 20° sec. ha separato la Fratellanza musulmana da gruppi attivi e antagonisti nelle varie realtà del mondo islamico. Seguendo fondamentalmente ancora le teorizzazioni di Sayyid Quṭb (m. 1966), il jihadismo contemporaneo opera una netta distinzione tra realtà islamica genuina (seguita dai pochi seguaci) e il resto della realtà equiparata ai miscredenti nemici della fede, impartendo una sorta di scomunica generale sia del resto del mondo islamico sia del mondo non musulmano. In questo quadro, mentre il decennio passato è stato contrassegnato dalle vicende dell’11 settembre 2001 e dal ruolo centrale di al-Qā῾ida come movimento globale, gli sviluppi più recenti dell’i. politico hanno registrato un parziale superamento di tale assetto. Le nuove possibilità offerte da vuoti di potere in molte realtà regionali (Siria῾Irāq, Libia, Yemen, regione subsahariana) denotano spinte a superare il quadro transnazionale e strettamente connesso alla rappresentazione di opposizione sistemica anti-occidentale di al-Qā῾ida e delle cellule che si riconoscevano sotto questo ‘marchio’, soprattutto dopo la morte del leader Usāma ibn Lādin (2011). Il riposizionamento sul campo in realtà regionali e nazionali non è comunque accompagnato da significative novità ideologiche e di lettura religiosa rispetto ad altre componenti simili del recente passato. Le stesse linee seguono i molti gruppi jihadisti che esistono in quasi ogni Paese musulmano (tra cui gli Shabāb somali e Boko Haram nel Nord della Nigeria sono gli esempi più significativi) e che arrivano fino alla Cina musulmana e alle Filippine. Frutto più significativo di questo processo è senza alcun dubbio il cosiddetto califfato dell’ISIS (Islamic State of ῾Irāq and al-Shām), noto anche come IS. Affermatosi dal 2014, sia nell’utilizzo della carica storica califfale sia nella persistenza in un’ampia regione tra Siria e ῾Irāq, incarna una novità di controllo militare (più che dottrinale) del territorio, condotto con mire espansionistiche e diffuso terrorismo. Tale entità e la stessa autorità del ‘califfo’ Abū Bakr al-Baghdādī sono state comunque oggetto di svariati dibattiti e di un generalizzato rigetto da parte di ulema ed esperti del mondo sunnita, nonostante una certa presa su minoranze attratte dal proclama del jihād da ogni dove del mondo islamico e occidentale.
La reislamizzazione delle società islamiche. – Le novità introdotte dal salafismo e dagli sviluppi dell’i. politico influenzano anche i più recenti rapporti interconfessionali e inter-religiosi. I processi di reislamizzazione in atto dal 1970 circa hanno determinato una sempre maggiore enfasi sull’aspetto religioso nelle società islamiche e di conseguenza hanno messo sotto pressione le componenti settarie islamiche minoritarie e le comunità di altre religioni presenti nel mondo islamico, in costante erosione. Il processo evidente di questi ultimi dieci anni, in continuità tra l’altro con gli anni precedenti, è quello di aver rafforzato identità religiose di maggioranza, spingendo all’omogeneizzazione anche forzata di molte realtà nazionali o regionali. Dal punto di vista religioso questo ha comportato un implicito ridimensionamento degli istituti di protezione (dhimma), tradizionalmente garantiti alle altre religioni all’interno della comunità islamica, e la rottura di equilibri tradizionali già fortemente intaccati nei decenni precedenti. Nella stessa direzione spingono attitudini variegate, ma soprattutto quelle dettate dalla diffusione crescente di forze ispirate dall’i. politico oppure quelle salafite o genericamente neotradizionaliste che hanno accentuato le divisioni confessionali e hanno teso a una polarizzazione fondata su una netta divisione tra musulmani e non musulmani, tramite la ridiscussione e riproposizione delle tradizioni più restrittive in termini di purità personale e centralità dell’autorità islamica. In stretta connessione con questa attitudine, attacchi più o meno frequenti o processi di marginalizzazione e persecuzione contro i cristiani accomunano Pakistan, Nigeria, Egitto e molte altre realtà locali a maggioranza sunnita, dove, come soprattutto nel caso pakistano, non mancano pressioni di ogni tipo contro minoranze sciite o degli Aḥmadiyyah, frutto evidente di quel processo di politicizzazione confessionale, ma anche di estremizzazione della discussione religiosa sullo statuto delle minoranze non musulmane. Le crisi politiche in molti Paesi musulmani sembrano quindi aver sollecitato ulteriormente l’emorragia delle comunità cristiane storiche nel Vicino Oriente, spingendo a un’emigrazione che continua dalla fine del secondo conflitto mondiale.
Sorte simile ha subito in molti contesti la tradizione popolare e soprattutto la devozione diffusa in ambito mistico. Frutto di attitudini già espresse nel Corano e nella prima tradizione risalente a Muḥammad, tendenza mistica e forme di religiosità popolare hanno trovato nelle società islamiche grande sviluppo soprattutto dall’11° sec. in poi, grazie alle forme organizzative delle confraternite sufi (ṭuruq). La critica contro tali forme di pratica religiosa ha una lunga e antica storia, ma esse sono diventate il marchio distintivo di wahhabismo prima e del salafismo contemporaneo poi. Benché quindi in molti contesti regionali sia ancora importante e formi la percezione principale del proprio carattere musulmano, anche nelle forme del cosiddetto neosufismo che registra radicamenti locali in varie realtà sociali tra Africa, Asia e anche America, spesso in organizzazioni nate nel 19° sec. o dopo, il sufismo segna un progressivo regresso nel mondo musulmano e soprattutto conosce contrasti e opposizioni crescenti. Questo avviene attraverso una feroce critica che vede a stretto contatto i pochi modernisti filo-occidentali e i sempre più numerosi tradizionalisti che ravvisano nelle varietà locali e popolari del mondo islamico motivo di debolezza o critica, determinando quindi spinte sempre maggiori all’omogeneizzazione su linee di tradizionalismo letterale basate soprattutto sul primato accordato alla Sunna profetica. Questo comporta dinamiche sempre più simili di contesa sul terreno della legittimità dell’espressione religiosa dall’Africa sub-sahariana al Caucaso, al Pakistan e alle comunità musulmane dell’Asia sud-orientale, dove si registrano contrasti sempre maggiori tra forme locali, sovente di matrice sufi, e spinte tradizionaliste salafite, di matrice wahhabita, per lo più generate da istruzione e percorsi formativi avvenuti in Arabia Saudita o in istituzioni locali da questi finanziate.
Gli sciiti, a loro volta, nelle crisi nel Vicino Oriente, tendono a rafforzare il comune vincolo di fede nella realtà vicino-orientale, soprattutto tra Libano e Irān, anche nelle forme spesso considerate al limite dell’eterodossia (per es., alauiti siriani), proseguendo quel processo di politicizzazione di identità settarie tipico degli ultimi decenni. Questo determina il tramonto di ogni tentativo di superamento delle tradizionali divisioni che vedono l’origine dello sciismo nella questione della successione del profeta Muḥammad e nella frustrata aspirazione, sempre secondo gli sciiti, che il potere rimanesse nella linea di discendenza del Profeta stesso, in particolare tramite il cugino e genero ῾Alī ibn Abī Ṭālib e la sua progenie. Intorno a questa disattesa pretesa emerse, nel corso dei primi secoli, una visione sciita modulata in termini diversi da varie componenti che declinavano in forme differenti il carisma, potere e ruolo degli imām successori di Muḥammad e che hanno dato origine storicamente a numerose sette o forme ereticali.
Benché queste siano state spesso marginalizzate storicamente, gli anni più recenti non hanno visto conciliarsi le differenze dottrinali: anzi, esse risultano ancora più profonde anche alla luce dei desideri di rivalsa e di riaffermazione del ruolo degli sciiti, laddove hanno una presenza consistente e scarsa rappresentanza. Questo ha determinato in primo luogo conseguenze dirompenti di conflittualità con leadership politiche non allineate agli equilibri religiosi, come in Bahrein, Siria oppure in ῾Irāq, prima della caduta di Ṣaddām Ḥusayn. Tale situazione ha determinato il fallimento definitivo dei pallidi tentativi ecumenici che sono affiorati saltuariamente nel 20° sec. e ha mostrato una divisione del mondo islamico in cui appelli all’unità sono sembrati sempre più lontani dalla realtà di quanto non siano mai stati. Tutto ciò è avvenuto in un clima di confronti e anche scontri incrociati, con l’esercizio di pareri giuridici (fatwā) che inesorabilmente legittimano o attaccano posizioni o prese di posizione spesso dettate dalla complessa realtà sul campo nei rapporti tra sciiti e sunniti. Hezbollah in Libano ha da questo punto di vista un ruolo importante, legittimando la minoranza alauita della famiglia Asad in Siria con fatwā a supporto della loro appartenenza alla comunità islamica, oltre naturalmente all’Irān, massima potenza dello sciismo imamita o duodecimano. L’apparato religioso dello Stato persiano è proseguito nella direzione dettata dalla rivoluzione del 1979 e tenta di avere un ruolo regionale alternando prese di posizioni e avvicinamenti o retromarce nel rapporto con le altre potenze sunnite circostanti. Gli accenti più marcatamente religiosi del dopo-rivoluzione sotto la guida di Ruḥollāh Khomeynī, e anche i toni apocalittici utilizzati dalla presidenza di Maḥmūd Ahmadīnejād, nel corso degli anni sono stati attenuati da approcci più prammatici e da una gestione in tal senso da parte dell’apparato religioso sciita.
Il ruolo di Internet. – Le linee del pensiero e della politica islamica fin qui esaminate hanno potuto contare negli ultimi anni sullo sviluppo esponenziale delle nuove possibilità comunicative e informative date dalla rivoluzione mediatica. Dalla creazione dei primi interfaccia in arabo e poi nelle altre lingue delle comunità musulmane negli anni Novanta del secolo scorso, la rete di Internet si è dimostrata uno strumento importante, fondamentale per la circolazione di idee, configurando una vera e propria nuova sfera pubblica. In particolare, per una realtà come quella dell’i. sunnita, senza direzione religiosa univoca né in grado di controllare l’espressione del discorso religioso, la comunicazione via Internet offre uno strumento non solo di diffusione, ma anche di elaborazione religiosa. Infatti, Internet è stato fondamentale nel volgere di pochi anni per alimentare spinte globalizzanti miranti a innestare connessioni transnazionali che ripropongono antiche attitudini e network già attivi nel mondo islamico.
L’elaborazione di pareri giuridici e la visibilità e transnazionalità che la rete offre a ogni musulmano che si proponga come possibile elaboratore di interpretazione giurisprudenziale è il prodotto più tipico di tale fenomeno, e la possibilità di ricorrere a opinioni giuridiche concepite da chi è all’altro capo del mondo, di accedere a materiali e documenti resi facilmente accessibili ha avuto grande impatto e continua ad averne. Inoltre, network educativi internazionali, come il movimento di Gülen, oppure la diffusione capillare di gruppi pietistici come Tablīghī Jama῾āt o network sufi ne hanno ampiamente beneficiato trovando qui uno strumento per partecipare a un i. allo stesso tempo globale e in cerca di radicamento locale. Inoltre Internet ha determinato la nascita di figure mediatiche di grande influenza (come lo shaykh di origine egiziana Yūsuf al-Qaraḍāwī), che, in questo, proseguono con un’eco internazionale analoghi fenomeni che hanno riguardato imām divenuti famosi attraverso altri media come radio o televisione negli anni Ottanta e Novanta del 20° secolo. Tutte le forze e tendenze dell’i. sopra descritte sono rappresentate in rete, ma è indubbio che salafismo e jihadismo militante sono quelle che hanno saputo mettere a frutto meglio il nuovo strumento per la propria propaganda tradizionale oppure per il reclutamento di terroristi e la diffusione di messaggi semplificati del proprio credo. In generale, Internet include svariate linee di pensiero, con un primo e più rapido ingresso di attori nuovi piuttosto che istituzionali, producendo innanzitutto tipologie di da῾wa («propaganda») che vanno dalla militanza jihadista, con varie gradazioni intermedie, fino a espressioni ireniche e di dialogo generico. Oltre a questo, ha propiziato una riflessione sulle possibilità e modalità di utilizzo delle nuove tecnologie.
Le comunità islamiche in Occidente. – Fondamentale nell’ambito delle vicende dell’i. dell’ultimo decennio è sicuramente l’evoluzione delle comunità islamiche in Occidente. Storie diverse dei flussi di immigrazione hanno riportato la presenza islamica in Europa e in America, dopo i capitoli storici della penisola iberica e della Sicilia. Nelle Americhe, al lontano ricordo dell’i. degli schiavi neri o dei moriscos imbarcati con gli spagnoli, è seguito l’ingresso di musulmani insieme agli arabi cristiani giunti negli ultimi decenni dell’Ottocento dall’impero ottomano. L’immigrazione è poi ripresa nella seconda metà del 20° sec., periodo che ha visto anche la nascita e il complesso sviluppo dell’i. afroamericano statunitense. In Europa, oltre alla presenza storica di comunità islamiche nei Balcani, si distingue una prima ondata migratoria nel secondo dopoguerra, da Paesi musulmani verso, per es., Francia, Germania e Gran Bretagna, da un’immigrazione più recente (anni Settanta del 20° sec.) nei Paesi dell’Europa meridionale (Spagna, Italia).
Se inizialmente furono considerati una presenza transitoria e quindi silenziosa, la realtà degli ultimi decenni ha invece evidenziato il consolidamento della presenza di decine di milioni di musulmani, sparsi in molte realtà occidentali, presenza che comincia a mostrare la specificità di evoluzione e l’affiorare di aspetti tipici di un i. europeo e americano. In particolare il loro persistere mette in crisi il dettato tradizionale di divisione del mondo in una dār al-Islām («casa dell’islam») e dār al-ḥarb («casa della guerra») e la conseguente ingiunzione ai musulmani di non vivere in territori sotto autorità non musulmane. La necessità di rivedere tale costrutto tradizionale a fronte di questa nuova realtà è all’origine delle novità teologiche islamiche più significative proprio presso le comunità in Occidente, con originali tentativi di coniugare aspetti della modernità e peculiarità dell’essere musulmano in un contesto di minoranza religiosa. Tipico esempio di questa realtà è la costruzione progressiva di un ‘diritto delle minoranze’ ( fiqh al-aqalliyyāt) che cerca per la prima volta di formulare riflessioni giuridiche che superino l’assunto secondo il quale il luogo deputato ad accogliere i credenti sia soltanto nei Paesi storici a maggioranza musulmana. Inoltre tali riflessioni giuridiche cercano di rispondere a quesiti di fedeltà agli ordinamenti dei Paesi occidentali e a questioni di credo musulmano, anche con esiti innovativi significativi. L’European Council for fatwa and research è l’organismo creato per occuparsi di tali questioni e per affrontare quindi il problema posto dalla pratica della sharī῾a in Occidente e in Europa in particolare. Solo di recente tali percorsi cominciano ad avere una certa eco anche nei Paesi a maggioranza musulmana benché non comportino ancora nessuna ricaduta concreta nel discorso religioso.
Pur sollecitate e spesso aggredite nel clima e nella politica americana o nordeuropea seguiti all’attentato dell’11 settembre 2001, le comunità islamiche in Occidente hanno inoltre saputo far fronte a latenti e riaffiorate tendenze islamofobiche che, insieme alla crisi economica occidentale dal 2008, hanno rallentato flussi di immigrazione e allo stesso tempo stimolato musulmani europei ormai di terza o quarta generazione a partecipare con crescente incidenza a dibattiti su tematiche religiose, in un sempre più articolato confronto con quanto viene elaborato nei lontani Paesi a maggioranza musulmana. Accanto a questo non va sotto-valutata la dinamica di confronto interno alla comunità musulmana, che in Occidente ha riproposto le consuete divisioni, ma anche quelle, spesso, di provenienza nazionale o generate dalle realtà locali. Tipica a tale riguardo è la crescente conflittualità tra musulmani afroamericani e immigrati musulmani nell’America Settentrionale dell’ultimo decennio. Oltre a questo, non sono mancate voci di coraggiosa riflessione su tematiche di genere e per questioni etiche sollecitate dai dibattiti occidentali e che hanno spesso visto musulmani in Occidente tentare vie interpretative nuove, con una certa ricaduta o quanto meno un dialettico confronto con musulmani in Asia e in Africa. Figure come Ṭāriq Ramaḍān o Amina Wadud hanno proposto per la prima volta esempi di musulmani occidentali letti e conosciuti anche in terra d’islam. In tale solco, temi quali la democrazia, i diritti umani, il ruolo della donna e del femminismo islamico hanno beneficiato del contributo di convertiti americani ed europei all’i. che più che nel recente passato partecipano senza più complessi di inferiorità all’elaborazione del discorso religioso islamico.
Bibliografia: A. Wadud, Inside the gender Jihad: women’s reform in Islam, Oxford 2006; P. Mandaville, Global political Islam, London-New York 2007; J.-P. Filiu, L’Apocalypse dans l’Islam, Paris 2008; G.R. Bunt, iMuslims: rewiring the House of Islam, Chapel Hill (N.C.)-London 2009; Global salafism. Islam’s new religious movement, ed. R. Meijer, London-New York 2009; Yearbook of Muslims in Europe, ed. J.S. Nielsen, S. Akgönül, A. Alibašić et al., 1° vol., Leiden-Boston 2009; C. Allen, Islamophobia, Farnham (UK)-Burlington (Vt.) 2010; Islam and popular culture in Indonesia and Malaysia, ed. A.N. Weintraub, London-New York 2011; Producing Islamic knowledge. Transmission and dissemination in Western Europe, ed. M. van Bruinessen, S. Allievi, London-New York 2011; Women, leadership, and mosques. Changes in contemporary Islamic authority, ed. M. Bano, H. Kalmbach, Leiden-Boston 2012; Jihadism: online discourses and representations, ed. R. Lohlker, Göttingen-Vienna 2013; Routledge handbook of Islam in the West, ed. R. Tottoli, London-New York 2014.