Vedi ISIDE dell'anno: 1961 - 1995
ISIDE
(῏Ισις, Isis). − Dea egiziana, di molto antica origine, probabilmente basso egiziana (v. ISEUM). Il nome sembra significhi "il seggio": che può essere quello celeste del sole (= "il cielo") o quello terreno del sovrano (= "il trono"). E la figura di un seggio serve appunto a scriverne il nome geroglifico. Le sue rappresentazioni comunque la danno sempre in forma umana, e al massimo mutua da Ḥathōr (v.) una corona con corna di giovenca, specie nella statuaria minore. Nei rilievi invece, in modo particolare quando è rappresentata con Nephthys (v.) come lamentatrice di Osiris, la dea porta spesso sul capo come emblema il suo segno geroglifico. In qualche specifica rappresentazione mitologica la dea assume talvolta aspetto di sparviero. Se grandi statue che la rappresentino non sono frequenti, sono frequentissimi, dall'epoca saita in poi, bronzetti che la figurano mentre tiene sulle ginocchia il figlioletto Horus, in uno schema nel quale si è voluto, anche se senza ragioni stringenti, vedere il prototipo della Madonna con l'Infante.
In epoca greco-romana il culto della dea ebbe un rinnovato rifiorire, ed uscì come culto popolare al di là delle frontiere egiziane. Di questa popolarità resta testimonianza una serie di figurazioni che provengono da tutte le regioni che gravitavano sul Mediterraneo in epoca romana. La dea è spesso raffigurata con qualche attributo esotico, come il fiore di loto o la rosa, il sistro, il serpente, o la situla usata nel suo culto. Talvolta la sua qualità di protettrice dei naviganti è ricordata da un timone, una vela, un remo che tiene in mano. Tipico comunque è l'abito, che presenta un nodo sul petto (il nodo isiaco) che sembra sia connesso con un amuleto egiziano a forma di nodo appunto, che ad I. era sacro già dall'epoca faraonica.
Bibl.: G. Roeder, in Pauly-Wissowa, IX, 1916, cc. 2084-2132, s. v. Isis.
(S. Donadoni)
Antiche erano le infiltrazioni del culto di I. (isiaco) nel mondo greco, particolarmente in base all'assimilazione a Io (Aesch., Prom., 588; Herod., Hist., ii, 41) e a Demetra (Herod., Hist., ii, 156). Nel 333 a. C. già v'era al Pireo un santuario della dea (C. I. A., ii, 168). Nell'età ellenistica fu rapida la diffusione del culto, per cui spesso I. fu assimilata alle divinità locali, in Fenicia, in Palestina, in Siria, in Asia Minore, a Cipro, a Rodi, nelle isole della Ionia, nella Grecia stessa, nella Magna Grecia e in Sicilia e quindi nella Campania e in Roma, oltre che nelle province dell'Impero. I. fu identificata con Atargatis, con Selene, con Afrodite, con Tyche, con Nemesi, con Hera, divenne dea protettrice della navigazione, dea del mondo sotterraneo e dei sortilegi magici e divinità siderale; fu chiamata Regina, Panthea e "dea dai mille nomi". L'universalità del suo culto si rispecchia negli scritti degli autori antichi ed è espressa in modo significativo nel brano del papiro di Oxyrinchos n. 1380 con la lunga invocazione alla dea. Durante l'ultimo secolo della Repubblica e il principio dell'Impero la religione isiaca ebbe in Roma consensi e contrasti, ma Caligola fece costruire l'Iseo campense (al Campo Marzio) e Claudio e Nerone favorirono il culto della dea, che continuà ed ebbe le maggiori fortune sotto la casa dei Severi e dopo, fiorendo ancora nel IV sec. d. C. La distruzione del Serapeum di Alessandria (391 d. C.) segna la decadenza e la fine del culto di Iside.
Al lungo e molteplice ciclo religioso di I. corrisposero grande numero e varietà di rappresentazioni figurate. Quando e in che modo il tipo egizio fosse assimilato e trasformato dall'arte greca rimane ancora oscuro. Ma è probabile che ciò si verificasse, malgrado gli accenni letterarî a rappresentazioni antiche, non prima dell'età di Alessandro. Ovviamente si è affacciata l'ipotesi che l'incontro fra il naturalismo greco e la tipologia sacra indigena sia avvenuto nei laboratorî di artisti greco-egizi di Alessandria. Si propende a credere che le prime immagini di I. conservassero qualche cosa della rigidezza ieratica e del panneggio dell'arte egiziana. Queste ipotesi però non hanno trovato finora conferma nei monumenti. Ancora è da chiarire l'importanza del contributo che gli artisti dei centri insulari e microasiatici hanno dato alla trasformazione del tipo divino in senso naturalistico. Monete di età romana della zecca di Alessandria riproducono il gruppo statuario del Serapeum, con la statua del dio per lungo tempo attribuita a Bryaxis e quella di I. stante, velata, col modio sul capo, la face nella destra, spighe e papaveri nella sinistra. Bronzetti e terrecotte egizie rappresentano il tipo di questa I.-Demetra-Kore, la quale era opera d'arte greca, senza alcun elemento egittizzante. Probabilmente la si deve riconoscere in un tipo statuario che fu spesso utilizzato in epoca imperiale da Traiano in poi, come statua iconografica o a scopo funerario o per indicare l'assimilazione alla dea di una imperatrice; se ne conoscono più di venti copie, a Copenaghen, al Louvre, al Museo Naz. Romano, a Ostia, al Museo Naz. di Napoli e altrove. Non si conosce la testa originaria, ma lo stile del panneggio fa pensare a un'opera del primo ellenismo nella tradizione posteriore allo stile di Prassitele. Non esistendo copia della testa, è impossibile giudicare l'influsso di questa scultura sul tipo di I. nell'arte ellenistica greco-egizia. È stata messa in relazione con tale opera la testina di I. della spedizione Sieglin, conservata a Dresda, che ha i capelli a grossi, soffici cordoni, gli occhi socchiusi e la superficie sfumata, caratteri proprî di una corrente di tarda derivazione del prassitelismo; ma non vi può essere connessione, se non molto indiretta, con la statua. Al III sec. a. C. e probabilmente alla prima metà, risale una testa di I. al Museo Arch. di Venezia, che rientra dal punto di vista stilistico, nella scia dei seguaci di Prassitele. I grossi boccoli ricadenti ai lati del volto di I., la dea "dalle belle chiome", sono resi con soffice naturalismo e la stessa scarsezza di attributi specificanti la divinità indica un'arte svincolata dalle tradizioni ieratiche egizie. La stessa osservazione si può ripetere riguardo a un rilievo al British Museum da Smirne, in cui appare un tipo di I. coperta da un pesante mantello. Si è datato il rilievo al III sec. a. C. per il suo linguaggio formale plastico-coloristico e per la qualità del panneggio; è certo che con questa grossa stoffa, che cela le forme della dea, cadendo in pesanti pieghe verticali, l'arte greco-asiatica ha creato un tipo nuovo di I. assai lontano dalla tradizione egizia. I. è riconoscibile tuttavia dagli attributi che porta in mano e dal nodo con cui il mantello le si allaccia sul petto. È ormai certo che il cosiddetto "nodo isiaco" era una foggia che si usava in Egitto nel III sec. a. C. e che divenne poi emblema della dea e del suo sacerdozio. A un originale di arte greca indipendente da elementi egizi risale anche la statuetta da Creta al Museo Naz. di Atene (in cui la testa appare sfumata, secondo i dettami di un tardo prassitelismo) caratterizzata dalle pieghe dell'ampio mantello, cadenti diritte al centro e con movimento divergente verso i lati. Ma di gran lunga più numerose fra le immagini di I. che l'antichità ha tramandato sono quelle in cui la dea appare nella tipologia derivante dal costume egizio. I lembi superiori frangiati del mantello poggiano sopra le spalle e si incrociano fra i seni, congiungendosi nel nodo simbolico alla parte inferiore: dal petto alcune pieghe verticali scendono al centro della figura, mentre il drappeggio modella strettamente i fianchi con movimento ascendente verso il mezzo. Le braccia escono libere dal mantello, il cui lembo frangiato fa da sfondo alla figura; I. tiene nella destra alzata il sistro e nella sinistra abbassata la situla. Copie di questa opera, con qualche variante, si trovano a Roma al Museo Capitolino (Sala del Gladiatore), al Museo Torlonia (n. 180), al Museo Naz. Romano (n. 125412), al Museo Naz. di Napoli, a Vienna (Kunsthistorisches Museum), nella Collezione Blundell Hall nei pressi di Liverpool, a Madrid al Museo del Prado e altrove, mentre altre rielaborazioni di età romana ne ripetono almeno in parte gli elementi. Poiché questo tipo scultoreo si trova più volte ripetuto nelle stele attiche, fra cui preminente quella di Alexandra, si è creduto di poter asserire che deriva da un originale collocato in Atene, opera di un artista del IV sec. a. C., forse della cerchia degli scultori del Mausoleo. Le stele sono però di età romana e l'ipotesi non ha basi sicure; la testa dell'I. nelle copie pur avendo scarso carattere, sembra da attribuirsi piuttosto al periodo ellenistico. L'impostazione ancor classica della statua potrebbe indicare il III sec. a. C., mentre il panneggio, concepito in modo del tutto diverso da quello greco, pone il problema della preesistenza di un tipo statuario greco-egizio e dei suoi rapporti con l'arte della Grecia propria. Difficile pure è stabilire la cronologia dell'originale del tipo rappresentato dalla statuetta n. 8285 dei Musei di Berlino, che ovviamente è da riportare all'ambiente greco-egizio. La stoffa sottile, drappeggiata nel modo sopra descritto, aderisce al corpo della dea linigera mettendolo in evidenza; la capigliatura è acconciata nella foggia arcaizzante a rigide e numerose file di boccoli nella "parrucca libica", sulla quale stende le sue ali l'avvoltoio sacro. E forse in relazione con questa opera la testa di I.-Nekhbet del Nuovo Museo dei Conservatori a Roma, tipologicamente affine, proveniente dall'Iseo Campense e datata con oscillazioni fra III e I sec. a. C. Risalgono queste sculture a un tipo di transizione fra arte egizia e greca, o sono opere volutamente arcaicizzanti? Un anello di congiunzione fra i due mondi artistici si riconosce nelle vesti e nei drappeggi delle figure della tomba di Petosiris, testimonianza che l'arte greca alla fine del IV sec. a. C. faceva già sentire il suo influsso sino nel Medio Egitto. È certo, comunque, che le correnti artistiche della koinè ellenistica, sviluppandosi in Egitto, si impadronirono anche del tipo di Iside. A queste va ascritto un gruppo di testine di provenienza egizia, che hanno alcuni caratteri in comune: i capelli spartiti in mezzo alla fronte scendono ai lati quasi lisci, trattenuti da un diadema a nastro; il doppio ordine di lunghi boccoli è reso con maggiore o minor naturalismo; il modellato è molle, sfumato in superficie; le forme dei volti sono piene, scarso il contenuto spirituale. Tali sono la testina da Tell Timai nel museo del Cairo, due testine nel museo di Alessandria, una da Hermopolis (Ashmunen) al Louvre, una della spedizione Sieglin nel museo di Stoccarda; variamente datate, fra il III e il I sec. a. C., forse vanno distribuite fra la metà e la fine del Il sec. a. C. A queste si ricollega la testina della statuetta di I. al Museo Archeologico di Torino, che è stata accostata per la caduta verticale delle pieghe nel mezzo del davanti a quella, proveniente da Creta, del Museo Naz. di Atene. Se per il movimento dell'anca destra essa rammenta il ritmo dell'I. del Catajo sottocitata, per la torsione patetica del collo è vicina alla testa femminile del Louvre proveniente dal Serapeum, sì che volentieri la si direbbe opera di ambiente greco-egizio. Dell'I. Phària, protettrice della navigazione che, come dice il nome, era adorata nell'isoletta di Faro, rimane il ricordo in numerose monete di età romana e in una statuetta marmorea della villa Ludovisi a Roma: I. poggiava con il piede sinistro su una prora di nave tenendo nella destra il sistro, portava il mantello frangiato e annodato sul petto, che le svolazzava dietro le spalle. Era dunque una figura piena di colore e di movimento che fa pensare a una creazione del "barocco" ellenistico. Anche il tipo della I.-Sothis fu probabilmente una creazione dell'ellenismo in terra d'Egitto, ma non è certo se esso sia stato mai rappresentato in sculture a tutto tondo: è noto invece da monete egizie di età imperiale e da un frontoncino marmoreo a rilievo del Museo Naz. Romano: col sistro nella destra, la patera nell'altra mano, I., velata e ammantata, siede in groppa al cane Sino, che a gran corsa percorre gli spazî siderali. Non è improbabile che questo piccolo rilievo sia in relazione col frontone dello Iseo Campense (Cass. Dio, lxxix, 10), riprodotto da bronzi di Vespasiano e dipendente forse da un altorilievo più antico, in cui campeggiava l'I.-Sothìs.
Dell'I. Euthenia rimane il ricordo solo in qualche bronzetto e nella tazza Farnese al Museo Naz. di Napoli, in cui I. è rappresentata semisdraiata; forse lo schema iconografico deriva da un originale alessandrino. Bronzetti, statuette, terrecotte e monete dell'Egitto romano serbano il ricordo di un'I. seduta che allatta Horus.
All'ambiente artistico di Rodi è stato rivendicato, sulla base del confronto con un rilievo, l'originale dell'I. del Catajo a Vienna. Il panneggio aderente, raffinato, a festoni decorativi, con tendenza alla linearità, sembra indicare la fase classicheggiante della seconda metà del Il sec. a. C., ma con elementi ancora "barocchi" nel contrasto dei ritmi nella figura. Di qui l'ipotesi che possa trattarsi di quell'I. Athenodoria, menzionata nella Regione XII in Roma, opera probabilmente di un Athenodoros di Rodi, non il celebre autore del Laocoonte, ma un omonimo vissuto fra il 18o e 100 a. C. La statuetta del Museo Chiaramonti in Vaticano, talora considerata una replica di quella del Catajo, è copia dell'originale di una statua del museo di Salonicco. Quest'ultima ha grande affinità con la precedente, sia stilistica che tipologica, nel corpo, ma la testa, velata e diademata, è di altro tipo. La grande statua frammentaria di I., rinvenuta a Delo nel santuario della dea, e datata dall'iscrizione all'anno 128-27 a. C., è dovuta ad artista di scuola diversa; essa è legata alla serie di quelle figure femminili avvolte in drappeggi mossi e frastagliati di stoffe leggere e pesanti, ricche di colore, che dal "barocco" pergameno scendono lungo il II sec. a. C. fino alla fase classicheggiante; anzi la si è presa per il termine più basso delle composizioni a ritmi contrastanti, che sono state dette "della forma aperta". È una composizione a sé stante e del tutto differente, per il panneggio e per il ritmo, dalla tradizione egizia. L'I. Fortuna, che ha sul capo le piume e il disco solare e tiene con la destra il timone e con la sinistra la cornucopia, è rappresentata da statuette marmoree e bronzetti (a Berlino, n. 7502, al Louvre, a Napoli − da Ercolano − al Museo Capitolino, Sala dei culti orientali). Per l'originale è stato proposto il periodo fra il 130 e il principio del I sec. a. C., in base al carattere del panneggio tardo-ellenistico. Era questa forse la statua del culto di un santuario della dea dai nomi e forme infinite, venerata come Isityche nel mondo ellenistico e in quello romano fino al tardo Impero (Apul., Met., xi, 15).
Le correnti neoclassiche e neoarcaistiche; che si manifestarono nel tardo ellenismo e si prolungarono in epoca imperiale, dettero impulso a creazioni arcaicizzanti: tale è una testa colossale di I. nel museo di Alessandria con i boccoli libici, su cui si innalzano l'ureo e una grande piuma, databile verso la fine del II e all'inizio del I sec. a. C. Tipico esempio d'opera neoclassica, fiorita forse negli ultimi decenni del Il sec., è l'I. degli Uffizî, di cui si conoscono repliche al Louvre e al Metropolitan Museum. Forse un originale di un classicismo accademico vicino all'età romana è la testa dei Musei di Berlino, n. 331. All'epoca fra la fine della Repubblica e il principio dell'Impero va ascritta la statuetta di I. nel Museo Naz. di Napoli, proveniente dall'Iseo di Pompei, opera eclettica di artista arcaicizzante, che ha mescolato caratteri di Kore greca arcaica a elementi egizî; il capo di I. è cinto da un diadema di fiori (loto?). Una statuetta bronzea di I., già ad Atene, passata a Roma nella Collezione Gorga, e una statua di Palazzo Barberini a Roma, appartengono allo stesso orizzonte artistico: il loro modesto artefice ha trasformato semplicemente con l'aggiunta degli attributi divini il tipo di due Kòrai arcaiche. Elementi eclettici con rendimento arcaicizzante si notano anche nella I. del Museo Torlonia a Roma, n. 482. Il crescente sincretismo religioso, accentuando l'assimilazione a varie divinità, dette impulso a nuove tipologie, il cui carattere eclettico rivela l'origine tardo-ellenistica o romana. Così è rappresentata nei bronzetti l'I.-Afrodite nuda, nel gesto della "pudica" (cfr. afrodite), o in quello dell'Anadiomène, con lunghe piume o corona, disco solare e crescente lunare sul capo (Collezione de Clercq, scavi di Coo, Louvre, Museo Guimet a Parigi). La cosiddetta Dione bronzea del British Museum e due statuette de Clercq sono ispirate a un'Afrodite del V sec. a. C. con elementi ellenistici. Una tipica espressione di I.-Afrodite è rappresentata da certe terrecotte egizie: alla nudità della dea resa naturalisticamente, si accoppia l'acconciatura e la rigida impostazione dell'arte egizia. Due statuette della Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen appaiono come la trasformazione di un noto tipo di Atena del V sec. e l'I. velata Farnese nel Museo Naz. di Napoli discende in modo analogo da una Hera. Il simulacro del culto dell'Iseo campense, raffigurato nei bronzi di Vespasiano, era forse anch'esso un adattamento da un'opera d'età classica. Ad artisti eclettici d'età romana vanno attribuiti anche il busto colossale di I. al Louvre e quello noto come "Madama Lucrezia" presso un ingresso di Palazzo Venezia a Roma.
Il colossale busto di I. velata, con fiori di loto sul capo, ornata di ricche collane, proveniente da Villa Adriana nel Museo Chiaramonti in Vaticano, più che copia da originale ellenistico si deve considerare opera decorativa e mista di elementi del classicismo adrianeo; In età romana gli attributi di I. tendono ad aumentare, accentuando il carattere sincretistico della divinità. Una testa nel Museo del Louvre, il cui lungo ovale, dalla espressione languida, ha forse un lontano prototipo ellenistico, porta il diadema di tipo romano posato sulla parrucca libica, il crescente lunare, le corna bovine sulla fronte, l'ureo al centro e i papaveri sull'orlo del diadema. A questa I.-Io-Demetra si accostano una testa del Museo Naz. Romano, col diadema e un'alta penna ritta sul capo, e una statua colossale da Rās es-Soda nel museo di Alessandria, opera del Il sec. d. C., che ha l'aspetto severo di una statua di culto, anch'essa col diadema e la piuma.
Il culto di I. Panthea, generato dalla tendenza sincretistica nell'ambiente ellenistico, non pare fosse antico. In Antiochia sorse un santuario a questa divinità, forse sotto Seleuco Callinico, ma non se ne conosce la statua di culto. In età romana il culto di questa manifestazione di I. era molto diffusa e su lampade, gemme, monete, ecc. se ne trova l'immagine sovraccarica di attributi e di simboli, come a rendere tangibile la universalità della dea "rerum naturae parens".
Sono infine da segnalare in età romana le rappresentazioni di I. in connessione col serpente, in genere piccoli bronzi, fra cui noto quello di Cizico di I. e Serapide raffigurati come serpenti con teste umane. Ma più importante un tipo statuario rappresentato da due opere, che si trovano entrambe al Museo Naz. Romano: una statua della Collezione Sciarra e una statuetta proveniente dalla via Cassia. Il mantello che avvolge la dea e il gesto delle mani ricordano la statuetta della sacerdotessa-mummia dell'Iseo di Cirene, ma un serpente attorto intorno alle gambe, che tende con la testa verso il seno di I. (agathodàimon?) dà un carattere e un significato particolari all'immagine.
Infine va fatta parola di un gruppo di opere di età romana ispirate ad arte più antica o prodotto di eclettismo. Tale è il caso dell'I. Barberini, ora al Museo Naz. di Napoli, la quale, tolti i restauri, è apparsa drappeggiata nella palla contabulata. Non è certo però se il tipo sia stato creato per un simulacro della dea, perché nei monumenti appaiono sacerdotesse che lo indossano: pittura dell'Iseo di Pompei, stele di Galatea ai Musei Vaticani, statuette di sacerdotessa ivi (Museo Chiaramonti), statua al museo di Alessandria, rilievo isiaco di Palazzo Corsetti a Roma, mosaico di Antiochia. Era un pallium piegato e schiacciato, su cui erano trapunte le stelle e la luna, argentee sul nero panno (Apul., Met., xi, 3-4). La ghirlanda vegetale di cui si ornavano le devote nella festa del navigium Isidis, è riprodotta in una delle statue rinvenute nell'Iseo di Cirene, in una stele al museo di Trieste e in una statua del Pretorio di Gortina.
Bibl.: G. Lafaye, Cultes des divinités d'Alexandrie, Parigi 1884, p. 200 ss.; Drexler, in Roscher, II, i, p. 578 ss.; G. Lafaye, in Dict. Ant., III, p. 578 ss., s. v.; R. Paribeni, in Boll. d'Arte, VII, 1913, p. 159 ss., fig. 3; G. Porro, in Boll. d'Arte, cit., p. 355 ss.; E. Schmidt, Archaistische Kunst in Griechenland u. Rom, Monaco 1922, p. 64, n. 24; A. Ippel, Der Bronzefund von Galiub, Berlino 1922, p. 38 ss.; A. Levi, in Mon. Ant. Linc., XXVIII, 1922-23, c. 157 ss.; G. Kramer, Stilphasen, in Röm. Mitt., XXXVIII-XXXIX, 1923-24, pp. 145, 149; E. Gatti, in Not. Scavi, 1925, p. 393; C. Watzinger, in Expedition v. Sieglin, II, i b, Lipsia 1927, p. 20; S. Ferri, in Libya, I, 1927, p. 38 ss.; R. Horn, Stehende weibliche Gewandstatuen, in Röm. Mitt., Zweites Ergänzungsheft, Monaco 1931, p. 40 ss., 77 ss., tavv. 16, 17, 29, 30; id., in Röm. Mitt., LIII, 1938, p. 87 ss.; L. Laurenzi, in Röm. Mitt.,LIV, 1939, p. 46 ss., tav. 13; D. Mustilli, Il Museo Mussolini, Roma 1934, pp. 73-16, tav. XLVI; D. Levi, in Berytus, VII-VIII, 1941-44, p. 30 ss.; A. Adriani, Testimonianze e monumenti di scultura alessandrina, Roma 1948, p. 9 ss.; id., Una coppa paesistica del Museo di Alessandria, Roma 1959, p. 21 ss., nn. 110, 111, tav. XLVI. Monete: British Museum, Catalogue of the Coins of Alexandria and the Nomes, Londra 1892, tavv. XVI, XXII; G. Dattari, Numi Augg. Alexandrini, 1901.
(B. M. Felletti Maj)