ISAURA VETUS
(῎Ισαυρα; ηᾓ παλαιαᾕ ᾿Ισαυριᾒα; Isaura; Colonia Isauria). − Città dell'Isauria, regione microasiatica, fra Pisidia e Licaonia.
Centro principale di una popolazione di montanari, scarsamente ellenizzati, dediti soprattutto alla razzia, insofferenti di ogni forma di governo organizzato, il suo carattere è del tutto particolare. Si tratta di una città-fortezza, cinta di mura, al sommo di un'altura accidentata e ripida; era priva di terme come di teatro. Le più antiche notizie risalgono al IV-III sec. a. C., quando per rappresaglia fu assediata e distrutta da Perdicca. I Romani effettuarono una prima spedizione nel 78-75, con Publio Servilio, detto poi Isaurico, e nel 64 fu aggregata con la regione alla provincia Cilicia, come conventus. Nel 38-36 fu ceduta da Antonio al galata Aminta, che ne fu tetrarca fino alla morte (25 a. C.). Incorporata da Augusto nella nuova provincia di Galazia, sotto Settimio Severo tornò a far parte della Cilicia. Claudio già era intervenuto con deportazioni e l'invio di veterani per cercare di stroncare l'atteggiamento ribelle degli Isauri, che si accentuò col decadere del potere centrale nel III sec. d. C. A quest'epoca risale il maggior numero delle iscrizioni e delle notizie pervenuteci; è dubbio se a I. V. o ad altro centro si riferiscano le coniazioni che recano la scritta, μετροποᾒλεως ᾿Ισαυρωᾖν, in concomitanza col formarsi nelle regioni della Cilicia Tracheia di uno stato ribelle a Roma con capi indigeni. Fra questi Trebelliano, nominatosi imperatore, fu battuto da Gallieno, mentre un secondo, Lidio, venne disfatto da Probo che insediò nella città dei veterani come coloni. Le notizie delle scorrerie e dei saccheggi abbondano sempre più (Amin. Marc., xiv, 2); si registra fra l'altro il saccheggio di Cesarea. Lo stesso autore parla di I. V. come di città abbattuta dalla sua potenza per le continue punizioni subite. Probabilmente non ottenne sede vescovile, ma dipese da Leontopolis. Nel V sec. cittadini isaurici ebbero a Costantinopoli una posizione privilegiata: Zenone fu imperatore, ma il successore Anastasio I dovette domarne le pretese autonomiste. Sotto Giustiniano la provincia fu retta da un comes. Regione di frontiera fra l'Impero e la Siria islamizzata, dal 651 in poi la città fu alternativamente presa e perduta da ambo le parti. Nell'VIII sec. dalla regione provenne la dinastia degli Isaurici, da Leone III.
Il luogo di I. V. fu identificato dallo Hamilton, nel 1837, in località Zencibar Kalesi. Una missione cecoslovacca eseguì studî e rilievi nel 1902-3, editi nel 1935.
Le mura hanno un periplo di 4000 m, e avvolgono due appendici sporgenti dal pianoro, una delle quali è l'acropoli, formando fortificazioni avanzate. Un muro più tardo divide poi l'acropoli dal resto dell'abitato. Due sole porte corrispondono alle uniche vie d'accesso alla città; una serviva esclusivamente l'acropoli. Il muro ha una doppia cortina addossata ad un nucleo di terra e pietrame. Le torri sono costruite con tecnica diversa: le due facciate sono realizzate con filari di sottili lastre poste alternatamente di piatto e di coltello, ed internamente si commettono formando una struttura vuota cellulare. Delle torri 6 sono ottagone, 7 a pianta semi-ottagonale allungata. Sulla porta dell'acropoli sono murati rilievi con emblemi bellici. La datazione è da stabilirsi al 35-25 a. C. (Strabo, xii, 5) cioè sotto Aminta, che non arrivò a completare le fortificazioni, nel quadro del programma di riedificazione ed abbellimento seguito alla distruzione punitiva da lui stesso effettuata.
Restano ancora un arco di Adriano, in parte smontato ma perfettamente integrabile coi pezzi in posto, uno dedicato a Settimio Severo (il cui nome è abraso nella dedica) identico al precedente ma più tozzo, ed uno di Marco Aurelio, profondo appena 73 cm, ma in facciata del tutto analogo agli altri due; la dedica è scolpita sul pilone sinistro. Notevole un capitello ionico, con quattro protomi umane sulle facce.
Due necropoli si stendono lungo le vie di accesso: caratteristiche le facciate rupestri, a edicola timpanata su colonnine ioniche; nel campo si apre una finestra scorniciata a rilievo, attorniata da busti e sormontata da un leone gradiente che tiene nella bocca un grappolo d'uva. Esemplari più semplici presentano la finestra inquadrata da una sagoma d'arco su colonnine. È sempre presente la figura del leone.
In un gruppo numeroso di chiesette si distingue la basilica maggiore, con abside a pianta di arco sopralzato. Il battistero è internamente ottagonale, con vano centrale circolare definito da colonne; sorge su un basamento di due scalini.
Assai tipica una serie di stele cristiane, di varia provenienza, e soprattutto dalla vicina Isaura Nova, in località Dorla, spesso firmate, che cominciano nel III secolo. Sono decorate con uno scomparto a trittico, la tabella centrale compita ad arco; le laterali a timpano, con decorazione di croci, ghirlande e rosoni, pesci, strumenti da falegname e da muratore, in parte a mosaico. Diverse dai tipi di tradizione classica diffusi in Asia Minore, recano un'impronta di arte locale, il cui carattere autonomo è ricordato dalle fonti. Generici confronti sono stati istituiti con l'arte copta.
Bibl.: J. Strzygowsky, Kleinasien, Lipsia 1903; W. M. Ramsay, in Journ. Hell. Studies, XXIV, 1904, p. 260 ss.; id., Isaurian and East Phrygian Arts, in Aberdeen Studies, Aberdeen 1908, p. 1 ss.; id., in Anatolian Studies, Manchester 1923, p. 323 ss.; Ruge, in Pauly-Wissowa, IX, 1916, cc. 2055-56, s. v.; P. Romanelli, A. Pernice, G. de Jerphanion, in Enc. Ital., XIX, 1933, s. v.; P. Verzone, in Palladio, IX, 1959, p. i ss.; D. Hereward, in Journ. Hell. Studies, LXXVIII, 1958, p. 57 ss.; Sterrett, in Papers Americ. School Athens, III, 1884-5; H. Swoboda, J. Keil, F. Knoll, Denkmäler aus Lykaonien, Pamphilien und Isaurien, Brunn 1935, p. 133 ss.