Isaia
Profeta ebreo, vissuto nella seconda metà del sec. VIII a.C., probabilmente nato a Gerusalemme da famiglia aristocratica. Di lui si conoscono alcuni episodi della vita privata (aveva moglie e almeno due figli: cfr. Is. 7, 3; 8, 3) e di quella pubblica (contatti con il re Acaz e specialmente con il figlio di costui, Ezechia). Invano tentò di richiamare il primo alla politica della fede in Dio, l'unica legittima in uno stato teocratico (cfr. Is. 7, 3 ss.); il re, per ovviare (nel 733) al pericolo di un'invasione da parte della coalizione siro-efraimitica (re di Damasco e re d'Israele), invocò l'aiuto assiro, concesso immediatamente ma condizionato dall'accettazione di una dipendenza umiliante. Con Ezechia, cui il profeta annunziò anche una guarigione miracolosa (Is. 38, 1 ss.), ebbe rapporti più cordiali, ma non riuscì a distoglierlo da un'inopportuna alleanza con Babilonia (Is. 39, 3-8) e con l'Egitto (Is. 30, 2 ss.; 31, 1-5). Durante l'invasione di Sennacherib, re assiro desideroso di riaffermare la sua egemonia, I. sostenne Ezechia, profetizzandogli che Gerusalemme non sarebbe stata espugnata. Dopo tale episodio (forse da collocarsi nel 701 a.C.) non sappiamo altro del profeta, ucciso - secondo una tradizione ebraica - al tempo del re Manasse (687/6-642/1 a.C.; cfr. IV Reg. 21, 16).
Con il suo nome possediamo una lunga raccolta (66 capitoli) di oracoli, quasi interamente in poesia; moltissimi brani manifestano un lirismo fuori dell'ordinario e una bellezza formale che giustifica pienamente la qualifica di ‛ classico ' della lingua ebraica. Il libro, voluminoso, ricco di vivacissimi bozzetti e di forti descrizioni che documentano i fatti politici e più ancora la situazione religiosa dell'epoca, è stato oggetto di molteplici studi critici dal sec. XVII in poi. Oggi si ammette il suo carattere composito, pur riconoscendo un'innegabile omogeneità di idee; perciò si parla volentieri di una scuola o di un influsso esercitato per secoli dal grande profeta-poeta del sec. VIII. Alcuni brani con molta probabilità sono posteriori di tre o quattro secoli al vero I.; una parte notevole del libro (cc. 40-55 oppure, con minore probabilità, 40-66) proviene da un autore anonimo che visse al tempo dell'esilio del popolo ebraico (587-538 a. C.).
D. naturalmente non si pose mai il problema di simili dubbi critici; condivise, invece, con la tradizione cattolica (cfr. A. Penna, Isaia, Torino 1958, 26-28, 380-393), la convinzione che numerosi testi del profeta avessero un preciso senso messianico. D. cita (Cv IV V 6) la profezia sulla nascita del Messia dalla stirpe di Davide (Is.11,1); più spesso si riferisce, con citazioni dirette oppure con allusioni, ai famosi carmi del Servo di Iahvé, che descrivono le sofferenze del Messia (cfr. Mn II XII 5; in Ep X 6 il medesimo testo è applicato anche a Enrico VII). Citazioni con il nome del profeta si hanno ancora in Cv IV XXI 12 (Is. 11, 2 ss.), in Quaestio 22 (Is. 55, 9). Il nome del profeta ricorre ancora in Ep XI 2 con allusione al miracolo descritto in Is. 38, 4 ss. Infine nella Commedia si ha il brano che presuppone l'interpretazione allegorica di un testo del profeta (Is. 61, 7): Dice Isaia che ciascuna vestita / ne la sua terra fia di doppia vesta: / e la sua terra è questa dolce vita (Pd XXV 91).