SINGER, Isaac Bashevis
Romanziere, critico letterario, giornalista yiddish, nato a Leoncin, in Polonia, il 14 luglio 1904, da una famiglia di rabbini ortodossi. Educato secondo la rigorosa tradizione degli ebrei orientali, trascorse alcuni anni dell'infanzia nel villaggio galiziano di Bilgoray, uno dei centri della devozione hassidica, che rappresentò un riferimento spirituale costante della sua poesia, profondamente affascinata dalla cabala ebraica. L'altra esperienza, contrapposta, ma ugualmente fondamentale, fu la secessione dall'ambiente ortodosso, seguendo il fratello maggiore Israel Joshua Singer (1893-1944), che, fuggito di casa per non divenire rabbino, si affermò come scrittore con simpatie comuniste, abbandonate dopo la lacerante delusione sofferta nella Russia sovietica. Anche Isaac lasciò il seminario rabbinico per dedicarsi alla letteratura. Per distinguersi dal fratello già celebre, usò vari pseudonimi, che esprimevano anche, emblematicamente, la sua creativa ambiguità spirituale, oscillante tra la secolarizzazione e la nostalgia mistica. Lo pseudonimo - Bashevis -, con cui divenne noto, era mutuato dal nome della madre: così firmò tutti i suoi romanzi, dal primo famoso Der Sotn in Goray ("Il Satana di Goray") del 1935, che con la celebrità gli permise di trasferirsi a New York quale collaboratore dell'autorevole e diffuso quotidiano yiddish Jewish Daily Forward, in cui, oltre a pubblicare a puntate i suoi romanzi, fece apparire sotto il nome di Y. Varshavski le novelle, poetiche rievocazioni dello shtetl galiziano, mentre gli articoli più leggeri e dissacranti erano firmati D. Segal. Tra queste varie personalità poetiche vi è, tuttavia, un'osmosi continua, come dimostra la raccolta delle commoventi memorie d'infanzia, pubblicate da Varshavski, ma edite in volume nel 1950 da Bashevis nel Mayn Tatn's Beys-Din Shtub ("Alla corte di mio padre"). In esse come nel suo noto romanzo Di Familye Muskat (1950, "La famiglia Moscat") l'autore rievoca realisticamente, con struggente e ironica simpatia, il ghetto ebraico di Varsavia all'inizio del secolo, dove si consumava la crisi dei valori tradizionali, corrosi dai massificanti processi dell'inurbamento e dell'industrializzazione. Sempre centrati sulla dissoluzione della spiritualità ortodossa e hassidica, che coinvolgeva la stessa identità ebraica (tragicamente riscoperta nelle persecuzioni), sono anche i grandi romanzi realisti, apparsi a puntate nel 1953-55: Der Hoyf, raccolto in volume in inglese nel 1967; The manor ("La fortezza"), seguito nel 1969 da una seconda parte, The estate ("La proprietà").
Il rapido processo di assimilazione dei milioni di ebrei orientali emigrati negli Stati Uniti segnò l'inizio della graduale scomparsa dello yiddish a favore dell'inglese, costringendo S. a occuparsi direttamente delle traduzioni dei suoi libri (talvolta a cura di S. Bellow), apparsi in forma di volume prima in inglese come The magician of Lublin del 1960, solo nel 1971 in yiddish: Der Kuntsnmakher Fun Lublin ("Il mago di Lublino"): la storia del risveglio spirituale di un ebreo assimilato, che, giunto alle soglie dell'apostasia, abbandona tutto, per tornare nello shtetl a ricercare sé stesso all'interno della tradizione ascetico-mistica ebraica. Nel 1957 usciva in inglese la raccolta di novelle Gimpel the fool and other stories, in yiddish nel 1963: Gimpl Tam un Andere Dertseylungen ("Gimpel l'idiota e altre storie"). In queste, come in altri racconti brevi, si esprimeva l'altro motivo spirituale e stilistico della poesia di S.: il demonismo filtrato attraverso una narrazione gotica, morbosa e inquietante. Il confronto con i demoni, evocati dalle passioni, è sempre segno di sciagura per la comunità e per l'individuo. Per l'antiprometeismo di S. solo l'anima ingenua e indifesa è capace di superare l'oscuramento spirituale dell'età contemporanea. Tale lode della semplicità si fonda su una conoscenza consumata del mondo moderno anche nelle sue radici storiche, come testimonia il romanzo The slave (1962), in yiddish: Der Knekht (1967, "Lo schiavo"), che narra le tormentate vicende di un ebreo durante i pogrom del 1648. Lo scrittore, che ha pur saputo comporre delicatissimi racconti per l'infanzia, ha dedicato pagine critiche amarissime alla vita degli ebrei americani, come quelle del romanzo Enemies, a love story del 1972 (nel 1966 a puntate Sonim, di Geshikhte fun a Liebe, "Nemici, una storia d'amore"), in cui lo sconforto per l'allontanamento dall'essenza spirituale non trova alcuna conciliazione nelle realizzazioni sociali ed economiche della comunità ebraica negli Stati Uniti; tematica che ha influenzato gli altri scrittori ebrei americani, da S. Bellow a P. Roth, che considerano S. come uno dei loro maestri.
Nel 1978 allo scrittore è stato conferito il premio Nobel per la letteratura. La comunità aschenazita rivive ancora una volta nell'appassionata testimonianza del romanzo Shosha (1978), cronaca dolorosa della cultura yiddish, che, prossima ormai alla sua fine storica, riesce a sollevarsi a metafora poetica della crisi spirituale dell'uomo contemporaneo.
Bibl.: I. Buchen, I.B. Singer and the eternal past, New York 1968; C. Gorlier, New York come Varsavia, in La Fiera letteraria, 29 febbr. 1968; Critical views of I.B. Singer, a cura di I. Malin, New York 1969; B. Siegel, I.B. Singer, Minneapolis 1969.