ALBÉNIZ, Isaac
Nato a Camprodón (prov. di Gerona, Spagna) il 29 maggio 1860. Ebbe vita quanto mai agitata e avventurosa. Studiò dapprima a Parigi, poi a Madrid; a nove anni fuggì di casa, e cominciò a vagabondare, dando concerti e vivendo coi proventi di questi, per la Spagna e poi anche in America. Tornò in Europa, dopo varie avventure e varie alternative di fortuna, finché, nel 1877, attirato dalla fama di Liszt, raggiunse a Weimar il grande ungherese e lo seguì per due anni a Roma e a Budapest. Vi erano questa volta fra maestro e allievo profonde affinità di carattere e di temperamento artistico; onde Liszt molto s'interessò del giovane spagnolo, e certo molto gli giovò coi suoi consigli. Ma le necessità materiali dell'esistenza, insieme con la passione dei viaggi e delle avventure, spinsero l'A. nel 1880 a riprendere la carriera nomade del concertista, con la quale raccolse, al Messico, in Argentina, in tutte le città della Spagna, allori e trionfi. Ma (simile anche in questo a Liszt), stanco ormai della vita del virtuoso e consapevole della vanità dei trionfi pianistici, egli suonò per l'ultima volta in pubblico a Berlino nel 1893. Dopo esser tornato a Londra, avervi scritto e fatto rappresentare una commedia musicale, The magic opal, dopo aver diretto per qualche tempo il teatro Prince of Wales, volle cercare un soggiorno ove lavorare seriamente e dedicarsi alla composizione, in cui sentiva di poter dare i frutti migliori del suo ingegno.
Scelse così Parigi, ove lo attirava il mirabile fervore di rinnovamento musicale che andava allora maturandosi; e certo il suo gusto molto si affinò al contatto della musica francese. Scrisse allora le commedie musicali San Antonio de la Florida (rappresentata a Madrid nel 1894), Henry Clifford (Barcellona 1895) e l'opera Pepita Jiménez (Barcellona 1897), tratta dal romanzo di Valera e considerata la migliore fra le sue opere teatrali, le quali peraltro hanno tutte dimostrato scarsa vitalità. Ancora egli lavorò, sotto l'influsso delle idee allora predominanti, ad una grande trilogia drammatica, ispirata al ciclo di re Artù e rimasta incompiuta (terminò solo la prima parte Merlin e abbozzò la seconda Lancelote), e per orchestra scrisse la rapsodia Catalonia (Parigi 1899). Nel 1905, in condizioni tragiche, mentre la moglie e la figlia erano malatissime, egli incominciò (strano contrasto) la smagliante Suite Iberia, che doveva restare come il suo testamento spirituale e fu ultimata nel 1908. In questo anno si ammalò gravemente; e, dopo aver ancora dettato quattro Melodie su parole del poeta Francis Coutts, che gli era stato fedele amico, e lasciato altri due lavori pianistici, Azulejos e Navarra, che furono compiuti da Enrico Granados, l'A. si spense il 18 maggio 1909, a Cambo-les-Bains, sulla Riviera francese.
Si calcola che egli abbia scritto circa 500 lavori, tra pezzi pianistici (in prevalenza), sinfonici, musica da camera e da chiesa, opere, operette, liriche ecc.; ma gran parte di questi è inedita, o andata perduta attraverso le sue peregrinazioni, introvabile, perché affidata a editori oggi scomparsi, e neppure esiste finora una bibliografia completa delle sue opere.
Egli è considerato, insieme col Pedrell, come il fondatore della rinascita musicale spagnola, e la sua produzione, attingendo per le melodie e pei ritmi alla fonte inesauribile della musa popolare, è un mirabile esempio di quell'arte nazionale iberica, che ha trovato poi i suoi continuatori in Granados e De Falla, ma di cui Albéniz resta tuttora il campione tipico e genuino. La sua natura esuberante e irrequieta di rapsodo mal si prestava alle grandi linee dell'opera drammatica teatrale; lasciò invece nei lavori pianistici di più breve mole tracce significative e feconde, fiori di lirica smagliante e squisita. Certo la sua produzione pianistica giovanile (Chants d'Espagne, Suite espagnole, Suite mauresque, Mazurkas, Valses, Estudios de concerto, Caprichos andaluces, ecc.) risente della fretta o almeno dell'eccessiva facilità con cui venne composta; pure anche in essa si ritrovano i segni innegabili del suo vivo talento. I suoi connazionali, che si erano entusiasmati alla superficialità della famosa Sérénade espagnole, rimasero dapprima indifferenti agli splendori di Iberia; mentre è proprio quest'ultimo lavoro, frutto della piena maturità e di una maggiore concentrazione, che resta, e tale è considerato oggi, il capolavoro di Albéniz e il monumento della moderna musica spagnola. E una serie di dodici impressioni per pianoforte, in quattro volumi (Evocación, El Puerto, Fête-Dieu à Séville; Rondeña, Almeria, Triana; El Albaicin, El Polo, Lavapies; Malaga, Jérez, Eritaña); sono vividi affreschi, evocazioni stupende di regioni diverse e di varî atteggiamenti della vita popolare, e non si sa che cosa più ammirare in quest'opera, se la fluida bellezza canora dei temi melodici o il carattere incisivo dei ritmi ardenti e nervosi, se l'ampio respiro musicale o la mirabile veste pianistica, multiforme e iridescente. Se per qualche esuberanza virtuosistica l'A. fa talvolta pensare a Liszt, più spesso si apparenta, per la squisitezza dell'arabesco strumentale, per l'incantevole poesia sonora, alle opere più perfette di Chopin e di Debussy. Accanto a queste e a poche altre, Iberia (pur mantenendosi tipicamente nazionale) resta uno dei capisaldi della letteratura pianistica dell'ultimo secolo, e uno dei più significativi documenti dell'arte musicale moderna.
Bibl.: J. de Marliave, Albéniz, in Études musicales, Parigi 1917; J. Aubry, Isaac Albéniz, in La musique et les nations, Londra 1922.