SPILIMBERGO, Irene
di. – Nacque il 17 ottobre 1538 nella cittadina friulana di Spilimbergo da Adriano dei conti di Spilimbergo – noto per aver patrocinato tra il 1538 e il 1542 l’Accademia Parteniana – e da Giulia da Ponte, figlia del patrizio veneziano Gian Paolo da Ponte, che si trasferì nella dimora spilimberghese di Adriano pochi mesi dopo la nascita di Irene. I nonni paterni furono Ercole di Spilimbergo e Susanna di Valvasone.
Ebbe un fratello, morto in fasce, e due sorelle, Emilia e Isabella, nate rispettivamente nel 1536 e nel 1541. Dopo la prematura scomparsa del padre, occorsa il 12 settembre 1541, e per via del secondo matrimonio contratto dalla madre con Giovan Francesco di Spilimbergo, cugino di Adriano, Irene fu affidata alle cure del nonno Gian Paolo, che ne pianificò scrupolosamente il programma educativo. Nella vasta biblioteca di famiglia si svolse la sua prima formazione culturale, che le fonti letterarie riportano, in linea con un diffuso topos celebrativo, come straordinariamente precoce e improntata al culto delle humanae litterae: acquisì i primi rudimenti di grammatica e retorica, lesse con «giuditioso e particolare avvertimento delle materie che trattano de’ concetti e delle elocutioni» (Vita..., 1561, c. A7r) gli autori classici volgarizzati (tra cui Plutarco) e i ‘buoni autori’ della letteratura volgare, con una preferenza accordata agli scritti sull’educazione e il comportamento aristocratici: il Cortegiano di Baldassarre Castiglione e l’Institutione morale di Alessandro Piccolomini. Forse iniziò a compulsare anche volumi più impegnativi presenti nelle biblioteche del padre e del nonno, invero molto diverse per ampiezza e articolazione tematica (Rozzo, 1994 e 2006), i cui inventari (Scalon, 1988) permettono di avere un quadro completo dei volumi che si potevano consultare in casa Spilimbergo: manuali per lo studio del latino e del greco, volgarizzamenti, opere di carattere religioso, commenti e traduzioni della Scrittura, trattati filosofici e scientifici, poesia in volgare.
La permanenza a Spilimbergo si alternò con vari soggiorni a Venezia, fino all’insediamento definitivo nella città lagunare nel 1554, dove Irene conobbe i maggiori esponenti dell’aristocrazia e della cultura locali. Sotto la custodia scrupolosa del nonno, imparò a cantare e suonare strumenti musicali, cosicché «con li lauti, violle et clavincimbano si soleva fare [...] diversi honorevoli concerti che impieva gli animi delli uditori de una dolce armonia et meraviglia» (dai Memoriali di Gian Paolo da Ponte editi in Suttina, 1912-1913, p. 148).
Durante gli ultimi anni di vita, insieme alla sorella Emilia, imparò a disegnare e dipingere tanto bene che fece stupir «il gran Titiano et ogni altro di meraviglia» (ibid., p. 149). Benché risulti certa la frequentazione dell’ambiente artistico veneziano, sembra lecito dubitare sullo status di apprendista nella bottega del Vecellio, il quale, stando alle fonti, dipinse i ritratti di Irene e della sorella Emilia, oggi conservati alla National Gallery of art di Washington, della cui paternità tuttavia ancora si discute (i ritratti sono stati attribuiti anche a un allievo di Tiziano, Gian Paolo Pace: Ulm, 1910, Tietze - Tietze Conrat, 1953 e Heinemann, 1980, p. 438).
Benché si sia certamente dedicata, sia pure in maniera occasionale, alla composizione poetica, della sua attività letteraria non è sopravvissuta alcuna testimonianza effettiva. Sul versante della produzione artistica si segnala la dichiarazione del conte Fabio di Maniago che, sottoscrivendo un inventario dei beni ereditati da Caterina, moglie di Fabio I di Maniago e figlia di Giovan Enrico di Spilimbergo, attribuisce a Irene «tre soli quadretti», ciascuno dei quali raffigurante l’Arca di Noè, il Diluvio e la Fuga in Egitto (Bonturini, 1869, p. 7, e Zotti, 1914, pp. 33-36). I tre dipinti, di cui si sono perse le tracce, erano custoditi, stando alla testimonianza diretta di Zotti (1914, p. 35), «in uno studiolo al pian terreno del palazzo d’Attimis-Maniago in Maniago».
Come riferiscono i Memoriali del nonno Giovan Paolo da Ponte, Irene, dopo essere «stata 22 giorni amalata de petechie, con febbre acutissima» (Suttina, 1912-1913, p. 145), morì a Venezia il 17 dicembre 1559, all’età di ventuno anni.
La celebrazione post mortem della nobildonna friulana fu affidata a una silloge, composta da rime in volgare e carmi latini, ideata e voluta da un manipolo di intellettuali facenti capo al nobile di famiglia udinese Giorgio Gradenigo, legato da tempo alla madre di Irene, Giulia da Ponte, con la quale intrattenne un significativo scambio epistolare (v. Lettere di diversi eccellentissimi huomini, Venezia, Giolito 1559, pp. 447-462). Le cure redazionali furono invece commissionate a Dionigi Atanagi, che firmava la lettera di dedica a Claudia Rangona da Correggio del 1° agosto 1561. Le Rime di diversi nobilissimi, et eccellentissimi autori in morte della Signora Irene delle Signore di Spilimbergo, pubblicate a Venezia nel 1561 presso Domenico e Giovan Battista Guerra, testimoniano un progetto ambizioso, raccogliendo 279 componimenti in volgare e 102 carmina per mano di 143 diversi poeti. Oltre a un giovanissimo Torquato Tasso, attestato con tre sonetti platonizzanti (Corsaro, 1998, pp. 53-55, e Acucella, 2015), nella silloge compaiono molti nomi attivi in area veneziana, legati soprattutto all’Accademia della Fama (Celio Magno, Domenico Venier, Luca Contile, Giacomo Zane, Lodovico Dolce, Girolamo Fenarolo, Giovanni Mario Verdizzotti), ma anche napoletana (Berardino Rota, Luigi Tansillo, Angelo Di Costanzo, Laura Terracina), romana (Paolo Giovio), fiorentina (Benedetto Varchi, Laura Battiferri) e ferrarese (Giovan Battista Pigna, Giovan Battista Giraldi Cinzio). Ascrivibile alla forma antologica del ‘tempio’, il volume accoglie testi che sviluppano, tutti in egual misura, il tema obbligato del compianto, attraverso cui sono celebrate le virtù della nobildonna scomparsa. Oltre all’ampia e geograficamente diversificata panoramica del petrarchismo encomiastico che emerge dalla silloge, si segnala la sezione di versi latini, intitolata Diversorum praestantium poetarum carmina in obitu Irenes Spilimbergiae, composta soprattutto da elegie in distici. A impreziosire tale sezione è un carme di Tiziano, sulla cui attribuzione effettiva al pittore veneziano, forse sprovvisto di una piena padronanza del latino, è lecito avanzare molti sospetti.
In testa all’edizione delle Rime appariva, con funzione prefativa, una Vita della Signora Irene (ristampata autonomamente nel 1839 da Pietro Giordani nei Fiori d’arti e di lettere italiane per l’anno 1839), tradizionalmente ascritta a Dionigi Atanagi e attribuita dagli studi più recenti (Corsaro, 1998, pp. 46-48, e Rozzo, 1994, p. 75), pur senza prove documentarie certe, alla penna di Gradenigo. La narrazione del tempo biografico, piegato alle esigenze apologetiche e celebrative connaturate all’iniziativa editoriale, accoglie, nella prima parte, informazioni legate alla patria di Irene e ai genitori, il «gentiluomo letteratissimo» Adriano e la «giovanetta d’elevato spirito» Giulia (cc. A4v-A5r), dei quali sono offerti dei brevi profili intellettuali. Da qui in avanti, ai brani dedicati all’infanzia, che denunciano l’influenza della coeva trattatistica sulla donna, si affiancano aneddoti che, sempre nel segno dell’esemplarità, lumeggiano gli anni di formazione, dediti al ricamo, alla lettura di «molti libri volgari», alcuni dei quali «tradotti dal latino e dal greco» (c. A5v), allo studio della musica, alla pratica del canto, alla passione per la pittura, tratteggiando la fisionomia di una fanciulla istruita ed eclettica, «pronta nel motteggiare, acuta nel rispondere e riservata nel punger altrui con le parole» (c. A7v), educata dunque all’arte della conversazione, sul modello della donna di palazzo descritta nel terzo libro del Cortegiano. Al ritratto morale segue quello fisico, elaborato all’insegna della medietas («Era di statura mediocre [...]»; c. Aa4r), ove emerge, come prassi biografica impone, il rispetto della proporzione e della misura, secondo un canone estetico nel quale l’«abito onesto» e il «portamento della persona grave» fissano l’icona della «donzella bellissima, graziosissima, onestissima» (ibid.).
Fonti e Bibl.: Le principali informazioni biografiche su Irene di Spilimbergo sono ricavabili dalla Vita della Signora Irene, pubblicata nelle Rime in morte della Spilimbergo (Venezia 1561, cc. A4v-Aa4v), e dai Memoriali di Giovan Paolo da Ponte, conservati a Venezia, presso l’Archivio privato della famiglia Spilimbergo-Spanio (la sezione relativa a Irene è stata pubblicata in Suttina, 1912-1913); G. Bonturini, Elogio delle pittrici veneziane I. di S. e Maria Tintoretto. Letto nella Regia Accademia delle Belle Arti in Venezia, Venezia 1869; O. Ulm, I ritratti d’I. ed Emilia di S. erroneamente attribuiti a Tiziano, in Emporium, XXXI (1910), pp. 126-135; L. Suttina, Appunti per servire alla biografia d’I. da S., in Atti della Accademia di Udine, IV (1912-1913), pp. 143-153; R. Zotti, I. da S., Udine 1914; B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, I, Bari 1945, pp. 365-375; H. Tietze-E. Tietze Conrat, I ritratti di S. a Washington, in Emporium, CXVII (1953), 699, pp. 99-107; G. Meyrat, Dionigi Atanagi e un esempio di petrarchismo nel Cinquecento, in Aevum, LII (1978), 3, pp. 450-458; F. Heinemann, La bottega di Tiziano, in Tiziano e Venezia. Atti del Convegno..., Venezia 1976, Vicenza 1980, pp. 433-440; E. Favretti, Una raccolta di rime del Cinquecento, in Giornale storico della letteratura italiana, 1981, vol. 158, pp. 543-572; G. Comelli, I. di S. in una prestigiosa edizione del Cinquecento con un carme latino di Tiziano, in Spilimbèrc, a cura di N. Cantaruti - G. Bergamini, Udine 1984, pp. 223-236; C. Scalon, La biblioteca di Adriano da Spilimbergo (1542), Spilimbergo 1988; A. Jacobson Schutte, I. di S.: the image of a creative woman in late Renaissance Italy, in Renaissance Quarterly, XLIV (1991), pp. 42-61; I. di S. 1538-1559, a cura di I. Zannier, Udine 1991; A. Jacobson Schutte, Commemorators of I. di S., in Renaissance Quarterly, XLV (1992), pp. 524-536; U. Rozzo, La biblioteca di Adriano di Spilimbergo e gli eterodossi in Friuli (1538-1542), in Id., Biblioteche italiane del Cinquecento tra Riforma e Controriforma, Udine 1994, pp. 59-122; A. Corsaro, Dionigi Atanagi e la silloge per I. di S. (intorno alla formazione del giovane Tasso), in Italica, LXXV (1998), pp. 41-61; P. Scarpa, Tiziano ritrovato. Il ritratto di messer Zuan Paulo da Ponte, Venezia 1998; A. Chemello, Dall’Encomio alla ‘Vita’: alle origini della ‘biografia letteraria’ femminile, in Miscellanea di studi in onore di Giovanni da Pozzo, a cura di D. Rasi, Roma-Padova 2004, pp. 191-242 (in partic. pp. 213-225); M. Frapolli, I cigni d’Irene. Il ritratto poetico e una parabola retorica del petrarchismo veneziano, in Versants, 2004, vol. 47, pp. 63-104; U. Rozzo, La biblioteca dell’‘italianista’ Gian Paolo da Ponte (1528-1544), in Nuovi Annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari, XX (2006), pp. 49-68; C. Acucella, Un’ekphrasis contro la morte. Le rime di Torquato Tasso sul ritratto di I. di S., in Horti Hesperidum, 2015, vol. 5, n. 2, pp. 89-126.