IPSILANTI (Υψηλανῖης)
Nobile e antica famiglia greca del Fanar, illustratasi nella seconda metà del sec. XVIII e nei primi decennî del XIX con alcune notevoli figure.
Alessandro I fu principe di Valacchia dal 1774 al 1782, quindi di Moldavia dal 1786 al 1788, poi di nuovo di Valacchia dal 1796 al 1797. Fu dapprima dragomanno, carica che si era meritata per la sua vasta cultura. Nominato principe di Valacchia dopo la pace di Kučük Kainarge (v.), prese il governo in un momento oltremodo difficile, giacché il principato, che era stato teatro di battaglia nella guerra russo-turca degli anni precedenti, si trovava impoverito e disorganizzato. Il governo di A.I. fu pieno di provvidi rinnovamenti e di equilibrate riforme; egli disciplinò le norme fiscali, togliendo gran parte degli abusi precedenti, riorganizzò la giustizia e rinnovò la scuola di San Saba a Bucarest. La fuga di due suoi figli in Transilvania diede pretesto ai suoi nemici di accusarlo di partigianeria per l'Austria; egli mandò una delegazione fino a Vienna per ottenere il rimpatrio dei figlioli, la cui fuga era stata indipendente dalla sua volontà; non avendo ottenuto quanto desiderava e trovandosi di fronte all'aperta ostilità dei boiari (i quali gli serbavano rancore per le sue riforme che favorendo il popolo impedivano le loro ruberie, prima considerate quasi legali) si dimise. Qualche anno dopo (1786) fu nominato in Moldavia, ma non poté conservare per molto tempo il principato, giacché per causa della guerra russo-turca, i Principati furono occupati dagli eserciti stranieri. Dopo la pace di Iasi del 1792, che pose fine alla guerra russo-turca, A.I. fu nominato di nuovo principe di Valacchia; ma il momento gli era poco propizio, perché, cominciando la rivolta di Pasvantoglu (o Pasvan Oglu), la Porta lo sostituì con Costantino Hangerli (dicembre 1797) sulla cui fedeltà poteva fare maggiore affidamento.
Figlio di A. fu Costantino, principe di Moldavia dal 1799 al 1801 e di Valacchia dal 1802 al 1806. Era fuggito nel 1781 insieme a un fratello in Transilvania. La sua condotta ulteriore e gli avvenimenti storici fecero sì che la Porta non gli serbasse rancore per questa scappata giovanile e lo nominasse anzi dragomanno e più tardi (1799) principe di Moldavia. Il principato gli era stato affidato probabilmente per l'aiuto russo, ma il suo governo fu breve e insignificante; più lungo fu il tempo in cui tenne il principato di Valacchia, ottenuto anche questo con l'aiuto russo. Egli cercò di barcamenarsi con un duplice giuoco fra la Russia da una parte e la Francia e la Turchia dall'altra. Ma la Sublime Porta, accortasi della duplicità del suo vassallo, decise di deporlo. C.I., avvertito del pericolo, fuggì rinunziando al trono, ma salvando la vita.
Il più celebre fra tutti gli I. è Alessandro, nato da Costantino a Kiev, nel 1792. Entrò giovanissimo nella guardia imperiale russa e partecipò alle guerre contro Napoleone. Nel 1813 perdette il braccio destro nella battaglia di Kulm. Fu poscia aiutante di campo dello zar Alessandro I e maggior generale degli ussari. Per questa sua brillante posizione e anche per il prestigio che gli davano le tradizioni della famiglia, egli attrasse l'attenzione dei patrioti greci, i quali, nel giugno 1820, gli offrirono il comando in capo dell'Eteria, la società politica che aveva come programma la liberazione dei Greci dal dominio ottomano. A. accettò l'offerta e si mise subito al lavoro organizzando in Bessarabia, sotto l'occhio compiacente delle autorità russe, un piccolo esercito, composto di eteristi e di fuorusciti e filelleni di altri paesi, col proposito di penetrare nel territorio turco. Con una leggerezza, che si deve in parte alla sua giovane età, in parte alla poca conoscenza che aveva delle condizioni interne della Turchia e della situazione politica dell'Europa, egli sperava che al suo apparire al di qua dal Prutk nella Moldavia tutti i cristiani della Balcania sarebbero insorti contro il dominio ottomano schierandosi sotto le sue bandiere e che, di conseguenza, la Russia sarebbe intervenuta per scacciare i Turchi dall'Europa; e sognava di una ricostituzione integrale dell'Impero Bizantino, con Costantinopoli per capitale, a beneficio dei Greci. A fargli aprire gli occhi alla realtà non valsero né il rifiuto di cooperare con lui oppostogli da Milos di Serbia, né il poco successo che aveva la propaganda degli eteristi fra la popolazione avversa ai Greci, né l'atteggiamento assunto dalle potenze della Santa Alleanza di fronte ai moti di Spagna e di Napoli. Ai primi di marzo 1821, egli varcò il Prutk insieme con due fratelli, il principe Cantacuzeno e circa un migliaio di armati. In un proclama rivolto ai Daci (Romeni), li esortava a insorgere annunziando il prossimo arrivo di due divisioni russe (che non dovevano mai venire); ma la popolazione moldava rimase passiva spettatrice e solo l'ospodaro fanariota Michele Sutzo e i Greci del suo seguito si dichiararono per lui. Toccando IaŞi, Galaṭi, Focṣani, Pleoṣti, Ipsilanti si diresse a Bucarest; ma non poté entrare in questa città che era stata occupata da Teodoro Vladimirescu, un soldato di ventura il quale aveva per proprio conto e con successo provocato una rivolta popolare dandole un indirizzo nazionale romeno, e si fermò per qualche tempo nelle vicinanze. La situazione, a un tratto, si fece per lui difficile. Lo zar Alessandro, che allora si trovava al congresso di Lubiana, sotto l'influsso di Metternich, condannò apertamente l'impresa che prima sembra avesse in segreto incoraggiata; il Vladimirescu, pur non osteggiandolo apertamente, faceva sapere che non era per nulla disposto "a versare per la Grecia il sangue dei Romeni" e, sostenuto dai boiari, sottomano si metteva in relazione coi Turchi, disposto a sottomettersi alla Porta ove gli fosse assicurata nella Valacchia la stessa posizione che aveva Miloš in Serbia; i pascià di Vidin, Silistria e Breila si avanzavano verso Bucarest. Alla fine di aprile A. riprese la marcia: i suoi partigiani si elevavano allora a più di 4000 uomini, ma con sorpresa di tutti, invece di dirigersi verso sud, come avrebbe dovuto, per passare in Grecia, egli volse a nord verso il confine transilvano. Questa mossa provocò forti malumori. Peggio fu poi quando, l'8 giugno, egli fece uccidere Teodoro Vladimirescu che, allontanatosi anche lui da Bucarest, ne aveva seguito le orme ed era caduto nelle sue mani. Il principe Cantacuzeno, indignato, si staccò da lui seguito da molti altri. Così indebolito di forze e fra l'ostilità della popolazione, A., il 19 giugno fu assalito dai Turchi a Drǎgǎṣani. Gli eteristi combatterono con valore, ma furono schiacciati. A. durante la mischia, senza attenderne la fine, si allontanò con pochi dal campo e passò il confine austriaco. Qui fu arrestato e per ordine di Metternich rinchiuso nelle carceri di Munkács (Mukačevo). Vi rimase sei anni. Liberato nel 1827, morì poco dopo in Vienna, il 1° agosto 1828.
Fratello minore del precedente, fu Demetrio. Dopo il passaggio del Prutk, egli fu inviato da Alessandro in Grecia quale suo luogotenente. Sbarcò a Hydra in Morea il 19 giugno quando, da oltre due mesi, si combatteva contro i Turchi. Ebbe senza difficoltà il comando supremo e guidò le operazioni contro Tripolítsa, che fu presa il 5 ottobre. Il suo attacco a Nauplia fallì. Questo insuccesso, le gelosie e le rivalità che dividevano i capi dell'insurrezione e, soprattutto la notizia della sconfitta di Drǎgǎṣani e la fuga del fratello in Austria gli fecero perdere ogni prestigio e nel congresso di Epidauro (gennaio 1822) fu respinto il suo progetto di costituzione e fu eletto capo del nuovo governo rivoluzionario Alessandro Maurocordato. Da allora D., pur partecipando (non però in modo continuativo) alla lotta contro i Turchi, vi ebbe una parte secondaria. Egli si aggregò al partito militare, del quale la più cospicua personalità era il palicaro Kolokotroni, e nei consigli ai quali partecipò sostenne sempre la tendenza russofila in contrasto con quella di Maurocordato, occidentalista e anglofilo. Oltre che a Tripolítsa e a Nauplia, combatté all'Acrocorinto, ad Argo, alle Termopole, dove portò un valido aiuto a Odysseús, e nel 1826, a Lerna contro le forze di Ibrahim pascià. Rialzatesi, con l'elezione del conte Giovanni Capodistria, le sorti della fazione russofila, D. ebbe il comando in capo delle truppe della Grecia orientale (gennaio 1828); ma dopo due anni, essendo venuto in urto con Agostino Capodistria, fratello del governatore e ispettore generale dell'esercito, rassegnò le sue dimissioni e si ritirò a vita privata in Argo.
Dopo l'assassinio del Capodistria (9 ottobre 1831), assassinio che egli fu accusato di avere approvato, e il ritiro di Agostino (aprile 1832), D. fece parte della commissione dei sette che assunse momentaneamente il potere, adoperandosi invano a ricondurre la pace tra i partiti che turbavano il nuovo stato. Mori poco dopo, il 16 agosto 1832 all'età di trentotto anni.