NICCOLINI, Ippolito
NICCOLINI, Ippolito. – Nacque a Pistoia il 3 gennaio 1848 da Lorenzo, di un ramo laterale dei marchesi di Camugliano e Ponsacco, e da Paolina Schneiderff, appartenente a una famiglia patrizia di Fiesole.
Ippolito, che adottò il titolo puramente d’uso di marchese, crebbe in un contesto nazional-patriottico. Il padre partecipò alle rivoluzioni del 1848 e del 1859 e nel 1860 sostenne la spedizione dei Mille. Lo zio Giuseppe, che combatté insieme al fratello Luigi nella prima guerra d’indipendenza, assunse l’interim del ministero della Guerra nel governo provvisorio toscano del 1859.
Dopo aver frequentato le Scuole Pie e il Regio Istituto di belle arti di Firenze, a quindici anni fu costretto ad abbandonare gli studi per una malattia agli occhi. Gli fu affidata la gestione di una grande fattoria a Carmignano nel Pratese, portata in dote dalla madre, imparentata con i nobili Garzoni Venturi. All’indomani della Comune di Parigi, svolse anche un’attività di borsista internazionale fra la Francia e la Spagna che culminò nel 1872 con la fondazione a Firenze della banca Niccolini & Monguzzi. Il rapido fallimento dell’istituto coincise con un radicale cambiamento nella sua vita: la scomparsa del fratello minore Carlo e le precarie condizioni di salute del padre lo costrinsero, infatti, a occuparsi dell’intero patrimonio familiare, consolidato nel 1878 grazie al matrimonio con la facoltosa zurighese Nina Fierz. Con il sostegno finanziario dei suoceri, la fattoria di Carmignano fu trasformata in una moderna azienda vitivinicola che esportava in suoi prodotti in tutta Europa. L’accresciuto potere sociale ed economico fu investito da Niccolini nella vita amministrativa e politica: dopo essere stato per un triennio assessore, nel 1880 divenne sindaco di Carmignano e appoggiò il liberale progressista Claudio Alli Maccarani nel collegio di Empoli.
Forte del sostegno del quotidiano democratico fiorentino Fieramosca, che contribuì a costruire la sua immagine di proprietario dinamico e illuminato, nel 1882 si presentò al corpo elettorale allargato della circoscrizione plurinominale di Firenze IV sulla base di un programma depretisino. Nonostante l’ottimo risultato personale, la lista della Sinistra fu sconfitta da quella della nuova Destra di Sidney Sonnino e Francesco Guicciardini, che, divenuti ministeriali, furono appoggiati da Niccolini alle successive elezioni del 1886. Dopo la nomina di Guicciardini – spostatosi su posizioni progressiste – a sindaco di Firenze nel 1889, sembrò che Niccolini potesse ereditarne il seggio, ma gli fu sbarrata la strada dalla ‘candidatura ufficiale’ di Enrico Morin, ministro della Marina in carica. Entrato nel Consiglio provinciale di Firenze nel 1888, fu infine eletto deputato nel 1890. Alla Camera, il suo leader di riferimento fu Giovanni Giolitti, con il quale condivideva sia il pragmatismo riformatore sia l’appartenenza alla prima generazione postrisorgimentale. Rieletto trionfalmente nel ricostituito collegio uninominale di Campi Bisenzio nel 1892, collaborò con il primo governo Giolitti in qualità di commissario per il settore degli oli e dei vini all’Esposizione italiana di Zurigo del 1893, prima di collocarsi all’opposizione di fronte al ritorno al potere di Crispi.
Nel 1893 nacque il figlio Paolo Carlo, riconosciuto benché avuto da una relazione extraconiugale, dopo che dalla fine degli anni Ottanta la moglie Nina era costretta a lunghi ricoveri in Svizzera e in Italia a causa di una malattia nervosa.
Alle elezioni del 1895 si presentò con un programma anticrispino che proponeva il miglioramento dei rapporti commerciali con la Francia, l’abolizione del dazio sul grano e la diminuzione delle spese militari. Dovette fronteggiare non solo un candidato di lungo corso (e già suo amico politico) come Alli Maccarani, ma anche l’ostilità del governo. Riuscì ugualmente a vincere al primo turno grazie a una macchina politica consolidata che verteva su un arcipelago associativo di tradizione garibaldina, in cui il notabilato borghese collaborava con l’universo del liberalismo popolare.
Nella nuova legislatura, il liberoscambismo di Niccolini fu messo a dura prova dalla situazione drammatica degli addetti alla fabbricazione delle trecce e dei cappelli di paglia, un’attività protoindustriale concentrata nei comuni del suo collegio elettorale. Per contrastare la concorrenza di materia prima a basso prezzo proveniente da Cina e Giappone, nel luglio 1895 Niccolini, membro della commissione permanente per l’esame dei trattati di commercio e delle tariffe doganali, ottenne l’innalzamento dei dazi di importazione sulle trecce e sui cappelli. Tuttavia, questa misura, osteggiata dai negozianti della paglia, non ebbe ripercussioni immediate sui salari delle trecciaiole, che nel maggio 1896 iniziarono un lungo sciopero. Niccolini, dopo avere più volte incontrato le dimostranti, si ritagliò il ruolo di mediatore fra le parti nella riunione decisiva svoltasi presso la Camera di commercio di Firenze, presieduta dal cugino Giorgio.
Rientrato alla Camera nel 1897 dopo un confronto elettorale con un competitore socialista, in cui Niccolini spese l’immagine di notabile preoccupato delle classi popolari, la sua accresciuta autorevolezza parlamentare fu sancita dalla nomina nella commissione generale del bilancio, di cui fece parte anche all’inizio della successiva legislatura. Relatore sul bilancio del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio nell’aprile 1897, segnalò la necessità di una revisione del dazio sul grano che consentisse una diminuzione dei prezzi delle farine. Questa proposta si trasformò in un autentico atto d’accusa agli «onorevoli agrari» in un discorso tenuto in aula il 26 giugno 1898 all’indomani delle sanguinose repressioni seguite alla proclamazione dello stato d’assedio in molte province della penisola. Nella crisi di fine secolo svolse un ruolo di coordinamento per la Toscana delle attività politiche ed elettorali della Sinistra costituzionale che contrastava la linea liberticida di Luigi Pelloux. Nel marzo 1901 fu premiato con l’ingresso nel governo Zanardelli in qualità di sottosegretario ai Lavori pubblici. Al momento delle dimissioni del ministro Girolamo Giusso, dissidente rispetto alla linea del presidente del Consiglio favorevole al divorzio, si trovò a gestire in prima persona la vertenza nazionale dei ferrovieri del febbraio 1902, condotta a soluzione positiva insieme a Giolitti, responsabile degli Interni, grazie alla collaborazione di Filippo Turati.
Sullo scenario toscano, i suoi rapporti con l’Estrema Sinistra erano, invece, pessimi. In chiave antisocialista si connotarono nel 1902 la sua rielezione al Consiglio provinciale dopo tre anni di assenza, il suo ingresso al Consiglio comunale di Firenze e la sua azione durante lo sciopero generale proclamato dopo una serie di licenziamenti alle officine meccaniche del Pignone. Niccolini percorse in carrozza le vie della città per sostenere tutti coloro che si rifiutavano di aderire allo sciopero e in un telegramma del 30 agosto 1902 chiese a Giolitti misure capaci di garantire «ordine e libertà del lavoro» (Carocci, 1962, p. 257). Queste iniziative lo investirono della leadership di una concentrazione liberale antisocialista che esercitò effettivamente, prima come prosindaco dal 24 ottobre al 25 novembre 1903, poi alle elezioni amministrative del marzo 1904.
L’esperienza di governo di Niccolini si era infatti conclusa nell’autunno del 1903 dopo essersi segnalata per numerosi viaggi ufficiali nelle isole e nel Meridione, fra cui quello in Basilicata al seguito di Zanardelli, che inaugurarono una pratica di attenzione conoscitiva, al contempo politica e mediatica, da parte di ministri e sottosegretari verso le varie realtà territoriali della penisola.
Lasciato il posto di rappresentante toscano nel secondo governo Giolitti a Gismondo Morelli Gualtierotti, consacrò il suo impegno politico alla città di Firenze. Nel gennaio 1904 aderì all’associazione Patria, Re, Libertà e Progresso, divenuta punto di incontro fra giolittiani e sonniniani in funzione dell’apertura ai cattolici e della contrapposizione ai partiti popolari. Questo assetto del campo politico caratterizzò le elezioni municipali del 1904 che segnarono una netta vittoria del fronte liberal-cattolico. Il 15 marzo 1904 Niccolini fu eletto sindaco di Firenze. Il 5 maggio si dimise dalla Camera e dieci giorni dopo fu nominato senatore per volontà di Giolitti, che lo ricompensava così per l’esclusione dal suo secondo ministero.
Si avvalse della collaborazione di assessori fidati come il cugino Giorgio, già vicesindaco della giunta Guicciardini, e Gaetano Malenotti, giornalista-editore del Fieramosca, e finalizzò il lavoro della sua amministrazione alla costruzione del nuovo acquedotto, all’installazione di linee tramviarie elettriche urbane, all’ammodernamento del servizio di illuminazione pubblica. Si impegnò anche all’interno dell’Associazione dei Comuni italiani, nel cui consiglio direttivo fu eletto al congresso di Napoli del 1904 e confermato a quello di Torino del 1906. Su ispirazione di Ugo Giusti, cui aveva affidato l’organizzazione di una sezione di statistica del Comune fiorentino, promosse l’Unione statistica delle città italiane e l’Annuario statistico delle città italiane.
Concluse il mandato da sindaco il 25 giugno 1907, all’indomani delle elezioni parziali vinte dal blocco popolare e della conseguente disgregazione del fronte liberale monarchico da cui si era distaccata la componente democratico costituzionale. La sua vita politica attiva era, di fatto, finita. Frequentò le sedute del Senato senza entusiasmo e nel 1910 perse anche il seggio al Consiglio provinciale. Lo riconquistò l’anno dopo, quando, tuttavia, l’aggravarsi della malattia giovanile agli occhi lo costrinse a diradare la sua presenza sulla scena pubblica.
Morì a Firenze praticamente cieco l’8 gennaio 1919.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Niccolini è conservato nel FondoFamiglia Niccolini della Fondazione Spadolini Nuova Antologia e depositato presso la Cassa di Risparmio di Firenze. Lettere a e di Niccolini sono rinvenibili nei seguenti fondi: Roma, Arch. centrale dello Stato, Fondo Giolitti-Roma; Ibid., Fondo Giolitti-Cavour; Firenze, Archivio Guicciardini, Carte Francesco Guicciardini; Arch. di Stato di Brescia, Carte Zanardelli. Inoltre: V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, IV, Milano 1931, pp. 814-817; VI, ibid. 1932, p. 203; Camera dei Deputati, Atti del Parlamento italiano, Discussioni, legislature XVII- XXI (1890-1904), ad indices; Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant’anni di politica italiana, II, a cura di G. Carocci, Milano 1962, pp. 180, 185, 190, 208, 217, 256 s., 336; N. Capitini Maccabruni, Liberali, socialisti e Camera del Lavoro a Firenze nell’età giolittiana (1900-1914), Firenze 1990, ad ind.; A. Pescarolo - G. B. Ravenni, Il proletariato invisibile. La manifattura della paglia nella Toscana mezzadrile (1820-1950), Milano 1991; La provincia di Firenze e i suoi amministratori dal 1860 ad oggi, a cura di S. Merendoni - G. Mugnaini, Firenze 1996, pp. 32-34, 37, 42, 46 s.; O. Gaspari, L’Italia dei municipi. Il movimento comunale in età liberale (1879-1906), Roma 1998, ad ind.; Carmignano Ottocento. Il borgo e la campagna nelle immagini dell’Archivio Niccolini, Firenze 2004; F. Nucci, I. N. Un marchese toscano alla corte di Giolitti, ibid. 2007; Repertorio biografico dei senatori dell’Italia liberale 1861-1922, a cura di F. Grassi Orsini - E. Campochiaro, VI, Napoli 2009, ad nomen; Camera dei Deputati, Portale storico, ad nomen (http://storia.camera.it/ deputato/ippolito-niccolini-18480103).