NERI, Ippolito
NERI, Ippolito. – Nacque a Empoli il 26 novembre 1652 da Lorenzo e da Agata di Alessandro Sandonnini.
Ramo staccatosi da quello dei Del Nero di Bologna, la famiglia Neri era documentata a Empoli almeno dai primi anni del Cinquecento, ma riuscì ad acquisire rilevanza economica e sociale solo con Lorenzo, grazie al suo matrimonio, stipulato nel 1651, con Agata Sandonnini, la cui nobiltà rimontava fino a una famiglia patrizia longobarda, e al prestigio acquisito in campo universitario in qualità di lettore di logica ordinaria e di medicina teorica presso l’Università di Pisa prima e quella di Padova poi. Nell’ottobre 1652, Lorenzo ottenne anche la cittadinanza fiorentina, di rado concessa a chi abitasse nel contado. Rimasto vedovo pochi giorni dopo la nascita di Ippolito, si risposò con una Francesca Bartoloni, da cui ebbe altri figli, tra i quali Pietro, profondamente legato al fratellastro, che negli anni a venire si sarebbe fatto carico della gestione degli affari della famiglia.
Poco è noto sulla giovinezza di Neri, spesa a quanto è noto nella cittadina natale. A fronte delle sue doti intellettuali, il padre lo spinse allo studio. Si laureò in filosofia e in medicina a Pisa il 22 maggio 1675; si spostò quindi a Firenze, dove, sotto la direzione di Francesco Redi, perfezionò le proprie competenze presso lo spedale di S. Maria Nuova, acquisendo una discreta fama. Probabilmente attorno ai primi anni Ottanta rientrò a Empoli: qui condusse fino alla morte l’attività di medico condotto, muovendosi tra la cittadina natale e il contado. Il poco entusiasmo per questa occupazione lo portò a mantenere vivi i rapporti col mondo letterario toscano.
Il contatto con Redi aveva favorito la vena letteraria di Neri, agevolando anche i suoi rapporti con la scena intellettuale fiorentina e la corte dei Medici: speciale predilezione, in particolare, mostrava per lui il principe Ferdinando, figlio del granduca Cosimo III. Alla canzone pubblicata da Neri per la sconfitta dei turchi sotto le mura di Vienna nel settembre 1683 (Descrizione della guerra e dell’insigne vittoria ottenuta contro i turchi dall’armi cristiane, Firenze 1683), seguì però un lungo silenzio. Conscio, ciò malgrado, di avere «qualche facilità» nella scrittura (lettera a Redi, 22 agosto 1688, Firenze, Biblioteca nazionale, Nuovi Acquisti, 891.I.43), Neri continuò a esercitarsi, come mostra il brogliaccio quasi interamente autografo tradito dal ms. Magl. VII.523 della medesima biblioteca. Rafforzò soprattutto i rapporti epistolari già esistenti e ne strinse di nuovi: fondamentale fu l’amicizia con Antonio Magliabechi, di cui resta testimonianza nel ms. Magl. VIII.689, contenente le missive di Neri a Magliabechi dal 1692 al 1707. Tra gli altri, nel 1692 Magliabechi introdusse Neri presso Francesco de Lemene e presso il più giovane sodale Anton Francesco Marmi. Documento importante delle frequentazioni epistolari di Neri è anche il ms. 28 della Biblioteca dell’Accademia della Crusca di Firenze, con missive tra gli altri di Giovan Mario Crescimbeni, Anton Maria Salvini e Apostolo Zeno.
Nell’aprile 1688 sposò Elisabetta Stefanini da Cascina, dalla quale ebbe cinque figli, due dei quali morti prematuramente. «Dopo ventisei giorni di male pertinacissimo di dolori d’utero» (Fabiani, 1922, p. 113), Elisabetta morì nel giugno 1695 dando alla luce la figlia Agata. A seguito di tale evento, la situazione familiare divenne gravosa anche economicamente: nel luglio 1695 Neri cercò dunque di ottenere il posto, ben remunerato, di medico presso la villa granducale dell’Ambrogiana, sperando in una mediazione di Redi. Il mancato intervento di quest’ultimo compromise definitivamente l’amicizia tra i due, peraltro già raffreddatasi con l’irrobustirsi del rapporto con Magliabechi.
Neri otteneva in quegli anni le prime gratificazioni in campo letterario: tra gli altri, il principe Ferdinando, cui aveva inviato alcune poesie di encomio, seguiva i suoi progressi nelle lettere. Nei primi anni Novanta risultava ascritto anche a numerose accademie locali e, in virtù dei rapporti epistolari con l’ambiente romano, specie col cardinale Pietro Ottoboni e con Brandaligio Venerosi, nell’ottobre 1693 fu ascritto all’Accademia dell’Arcadia con lo pseudonimo di Gelano Ninfadio. Nell’ottobre 1700 l’amico Anton Francesco Marmi ventilò l’ipotesi di farlo ascrivere anche all’Accademia Fiorentina, ma la cosa non ebbe esito (Bini, 1962, pp. 433 s.).
A seguito di una lunga gestazione, alla fine del 1700 Neri pubblicò a Lucca per i tipi di Domenico Ciuffetti il Saggio di rime amorose, sacre ed eroiche e le Cinquanta conclusioni amorose del Tasso spiegate in altrettanti sonetti.
Da tempo Neri meditava di pubblicare «un gran volume di poesie diverse» (lettera a Magliabechi, 15 febbraio 1692, in Magl. VIII.689, cc. 4r-5v); nel 1698 aveva preso accordi con l’editore Stefano Gatti di Pistoia. Parecchi intoppi, tuttavia, ostacolarono l’inizio della stampa, non ultima l’ispezione del testo da parte dell’Inquisitore di Pistoia, che aveva sollevato dubbi su alcuni luoghi. Nell’estate 1699 sciolse pertanto gli accordi e, previa correzione di poche parole da parte dell’Inquisitore di Lucca, stipulò un contratto con il tipografo Ciuffetti, che concluse la stampa senza particolari problemi.
Il Saggio di rime si articola in più sezioni: dopo una canzone e un sonetto in lode del principe Ferdinando, e dopo componimenti in lode dell’autore, segue un nucleo di rime amorose, uno di poesie sacre e uno di poesie varie, dedicate ad amici e corrispondenti. Le composizioni si inseriscono nelle tendenze tipiche della poesia toscana di fine secolo, pur mostrando significative aperture verso i metri e i topoi della nascente poetica di ambito arcadico.
Il secondo opuscolo, dedicato al cardinale Francesco Maria de’ Medici, esprime l’accesa parzialità di Neri verso Torquato Tasso e in particolare verso le sue Cinquanta conclusioni amorose: annoverato oggi tra le opere di minore rilievo, il testo tassiano è assai apprezzato da Neri in ragione della «profondità delle dottrine filosofiche» che da esso traspare (c. A2v). Precedute da una canzone in lode del principe Ferdinando e seguite da due testi per musica, le brevissime Conclusioni tassiane vengono spiegate ognuna da un sonetto, che ne amplifica gli assunti in una veste che tiene conto dell’esperienza poetica tardosecentesca.
Il nome di Neri è legato soprattutto a un poema eroicomico, La presa di San Miniato (detto anche il Saminiato) che, sull’esempio di altri testi dello stesso genere, narra della conquista della città da parte degli empolesi.
La trama rielabora assai liberamente un fatto storico del 1369, allorquando il capitano Domenico Cantini, alla guida di 2000 fanti, per lo più empolesi, assaltò e prese la città di San Miniato, sollevatasi contro il dominio vicariale di Firenze, per ricondurla sotto la giurisdizione fiorentina; Neri abbassa tuttavia il tono della narrazione, svolgendo la vicenda attraverso un filtro cavalleresco. Il poema, in 12 canti, lo occupò per molti anni: i primi otto libri erano pronti nel 1699, e nel marzo 1707 esprimeva il proposito di darli alle stampe (lettera a Magliabechi del 6 marzo 1707, in Magl. VIII.689, c. 84r), che però non ebbe esito. Dopo una prima edizione parziale a Lucca nel 1760 (con l’indicazione di Gelopoli sul frontespizio), entro la Raccolta di poesie di eccellenti autori toscani per far ridere le brigate, il poema fu pubblicato per intero a Livorno nel 1764, sempre con falso luogo di Gelopoli. Riedito più volte tra Sette e Ottocento, esso dispone di un’edizione moderna a cura di Mario Bini e Sergio Cecchi (Empoli 1966) che ricorre anche ad alcuni testimoni manoscritti. Due altri manoscritti meriterebbero però attenzione, il II.VII.87 e il II.I.88 della Biblioteca nazionale di Firenze, quest’ultimo già appartenuto a Ferdinando de’ Medici. Se si considera che il principe sarebbe morto nel 1713, non si può escludere che il manoscritto, che ha caratteristiche di esemplare di dono, sia una versione presentata al mecenate dallo stesso autore, probabilmente dopo il 1707, una volta conclusa la propria fatica.
Se l’opera mostra legami con la tradizione del poema eroico, dal Furioso ariostesco fino alla Gerusalemme tassiana, spesso con evidenti rimandi parodici, punto di riferimento ineludibile è la Secchia rapita di Alessandro Tassoni. Il risultato, godibile anche se talora un po’ esile, indugia su una comicità di tono garbato; la predilezione per il lessico toscano va di pari passo con continui riferimenti alla realtà locale e a personalità empolesi allora ben note, queste ultime celate sotto nomi anagrammatici.
Morì a Empoli il 22 gennaio 1709 «dopo una lunga infermità» (Fabiani, 1901, p. 250), senza essere riuscito a ottenere, come sperava, la carica di medico personale di Ferdinando de’ Medici. Fu sepolto nella cappella di famiglia della chiesa di S. Stefano.
Tra gli interessi di Neri, rilevante è il suo patrocinio dell’attività teatrale di Empoli ove, col resto della famiglia e specialmente del fratellastro Pietro, sostenne nel 1691 la costruzione di un teatro che fu la sede dell’Accademia empolese degli Impazienti; ceduto nel 1751 dagli eredi, divenne poi sede dell’Accademia dei Gelosi impazienti. Neri avrebbe composto anche alcune opere teatrali delle quali, fatto salvo qualche titolo, non resta nulla; irreperibili sembrano pure quattro drammi musicali recitati a Pratolino cui accenna Malaspina, 1720 (ma vd. l’ipotesi di Del Lungo, 1874, pp. 1009 s.). Tra gli inediti, si ha notizia di un «poema epico» posteriore al Saminiato, componimenti sacri e profani, capitoli in terza rima e un’opera intitolata Delicta iuventutis meae (vd. però Fabiani, 1901, pp. 40-42).
Fonti e Bibl.: Automedonte Abeatico [= M. Malaspina], Notizie istoriche degli arcadi morti, II, Roma 1720, pp. 252-254; Vita e poesie d’Alessandro Marchetti, Venezia 1755, pp. 14-16; F. Redi, Lettere..., II, Firenze 1779, pp. 347 s.; A. Fabroni, Historia Academiae Pisanae, III, Pisa 1795, p. 572; L. N[eri], Lettere al d. I. N. scritte da alcuni uomini illustri suoi contemporanei e fin qui inedite, in La gioventù, I (1862), pp. 241 s.; 347 s.; II (1863), pp. 197-199; M. Bargellini, I. N., in Storia di Empoli, Empoli 1873, pp. 337-385 (recens. di I. Del Lungo, in Nuova antologia, XXV [1874], pp. 1008-1014); A. Neri, De minimis, Genova 1890, pp. 176-179; C. Vignati, Francesco de Lemene e il suo epistolario inedito, in Archivio storico lombardo, s. 2, XIX (1892), pp. 659 s.; Appendice I, in Il trattato dell’amore humano di Flaminio Nobili con le postille autografe di Torquato Tasso, pubblicato da P.D. Pasolini, Roma 1895, cc. 58r-83v; G. Zaccagnini, I vari elementi comico-satirici in due poemi eroicomici minori, Pistoia 1898, pp. 26-41; V. Fabiani, I. N. Studio biografico-critico, Firenze 1901; Id., Una lettera d’I. N. dai Campi Elisi, in Floralia, 1907, pp. 5-8; Per I. N., in Il piccolo, corriere del Valdarno e della Valdelsa, 28 febbraio 1909; V. Fabiani, Bicente-nario in provincia (I. N. al comm. Licurgo Cappel-letti), in Il Marzocco, 21 novembre 1909, p. 5; Id., Il capitan Cantini della valle di Monterappoli, in Miscellanea storica della Valdelsa, XX (1912), pp. 163-178; Id., Due luoghi di Boccaccio ripresentati da un secentista, in Miscellanea storica della Valdelsa, XXI (1913), pp. 264-268; Id., Per I. N., ibid., XXV (1917), p. 34; Nugellae. Per le nozze Ragionieri - Lami, Empoli 1919; V. Fabiani, Un presunto ritratto d’I. N., in Miscellanea storica della Valdelsa, XXX (1922), pp. 109-124; Id., I. N. e il cardinale Ottoboni. Una lettera e un sonetto inediti, in Il piccolo, corriere del Valdarno e della Valdelsa, 7 ottobre 1923; F. Sordi, Per una ristampa del «Saminiato», in Bullettino storico empolese, II (1960), pp. 3-6; M. Bini, I Neri, il teatro e l’Accademia (con la pubblicazione di documenti inediti), ibid., II (1962), pp. 359-382; Id., Lettere a I. N., ibid., pp. 403-454; Id., Sulla prima edizione del «Saminiato», ibid., III (1963), pp. 43-48; C. Varese, Teatro, prosa, poesia, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), V, Milano 1967, pp. 741-743; G. Volpi, Acta graduum Academiae Pisanae, II, Pisa 1979, p. 541; M. Bini - S. Cecchi, Ritornando al «Saminiato», in Bullettino storico empolese, VI (1976), pp. 451-454; G. Lastraioli, Echi empolesi dell’assedio di Vienna, ibid., VII (1980-82), pp. 261-275; C. Jannaco - M. Capucci, Il Seicento, Padova 1986, p. 563; G. Bianchini, Sui rapporti tra Federigo Nomi e Antonio Magliabechi (1670-1705). Con lettere inedite del Nomi, in Studi secenteschi, XXVIII (1987), pp. 267 s.