CREMONA, Ippolito
Nato a Gravesana, nel Canton Ticino (Svizzera) il 2 febbr. 1777, andò a Genova ancora ragazzo. La presenza nella città ligure e documentata dall'anno 1804 (Gazzetta nazionale della Liguria, 31 dic. 1804). quando vinse il primo premio d'invenzione nel concorso di architettura all'Accademia Ligustica, ma doveva trovarvisi da alcuni anni secondo quanto testimonia nell'Autobiografia (ms.) l'amico G. Berlendis: "andò a Genova da ragazzo e fece il manuale di muratore, indi studiò all'Accademia e poi divenne architetto buon pratico ma pochissimo disegnatore...". Mantenne sempre i rapporti con le valli, come era stato sempre costume dei maestri muratori operanti a Genova. La moglie, Annetta Guglielmetti, era anch'essa ticinese, e l'unica figlia, Marina, sposò uno zio, fratello di sua madre.
All'inizio dell'attività il C. appare impegnato in lavori minori (cfr. Petizione agli edili per un "condotto immondo", in Archivio storico del comune di Genova, Verbali Comitato edili, 12 giugno 1805), 0 in subordine ad altri architetti (progetto di ampliamento di Palazzo Rosso e altro con G. Cantoni, 1808); ma già nel 1809 risulta iscritto fra gli accademici della Ligustica; dal 1818 al 1820 fu direttore della scuola d'architettura della stessa; dal 1826 alla morte fece parte del Consiglio d'ornato. Pur senza avere avuto una iniziale formazione accademica, aveva ormai una posizione di tutto prestigio.
Dagli anni '20, in coincidenza con un momento di generale rinnovamento urbano, è impegnato nella sistemazione di edifici preesistenti, che vengono ad affacciarsi sulle principali strade della città, come la casa De Fornari e Martinez in strada Carlo Felice in cima a vico Testadoro (1827); il raccordo, attraverso una piccola ma preziosa corte d'onore, del palazzo Pallavicini con la nuova strada (1828); il palazzo Merlo e Tagliavacche sull'area dell'antica chiesa di S. Caterina nella strada omonima (1829); gli adattamenti in strada Carlo Alberto (1836) fino alla sistemazione della facciata di Agostino Monticelli in strada Nuovissima (1840), tutte opere ancora conservate.
Sono invece purtroppo distrutte le due più importanti opere di architettura civile: il palazzo Faraggiana a Genova e il teatro Civico della Spezia.
Il palazzo Faraggiana, iniziato da D. Cervetto nel 1828, fu opera soprattutto del C. per la parte architettonica e di P. Pelagi per la decorazione. Distrutto per la costruzione dell'albergo Columbia, è documentato dalla descrizione dell'Alizeri (1847, p. 165) e da una litografia di N. Orsolino. Il teatro Civico (approvato con r. d. del 14 dic. 1839, inaugurato il 16luglio 1846) è documentato dai disegni del C. (nell'Archivio di Stato di Torino) datati 6luglio 1840 e da antiche fotografie; alterato nel 1889 con l'aggiunta di ali e conseguente appiattimento della facciata, fu demolito nel 1930.
Entrambi gli edifici, costruiti in zone di espansione della città, erano liberi dai vincoli propri alle opere precedentemente citate. Nella spaziosa piazza Acquaverde, già sede di manifestazioni durante la Repubblica democratica, palazzo Faraggiana si affermava come elemento qualificante una nuova scena urbana. Nella zona piana oltre le mura, verso il mare, il teatro Civico diveniva il fulcro della espansione della città. Con un corpo centrale aggettante, coronato da timpano e statue, si richiamavano entrambi a un unico schema, anche più plasticamente articolato il palazzo Faraggiana con l'elegante loggia colonnata.
Anche in confronto a queste opere appare interessante il progetto per la facciata del palazzo di Ignazio A. Pallavicini in piazza S. Matteo (1834; disegni in coll. topogr. del Comune di Genova, nn. 146 s.). L'ambiente medievale della piazza suggerisce al C. una soluzione neogotica dimostrando, con relativa precocità, la sua apertura alla cultura romantica.
Oltre che per privati il C. lavorò per una committenza pubblica. Già nel 1812, in occasione dell'ampliamento del lazzaretto della Foce, costruì la cappella, di un equilibrato classicismo non privo di sensibilità pittorica, e, nel 1833, quando si cominciò a parlare dello spostamento del lazzaretto, fece un progetto per un porto e un nuovo lazzaretto più a levante, a San Giuliano (disegni nell'Archivio di Stato di Torino). Nel 1830 progettò lavori nel palazzo dell'università, e dell'università sarà l'architetto fino alla morte.
Uno degli aspetti più noti della sua attività è quello relativo alla decorazione delle facciate di chiese. Nel 1837 pubblicò sul Magazzino pittorico universale un progetto per la facciata della Madonna dell'orto di Chiavari in evidente polemica col progetto di L. Poletti (già approvato e poi realizzato), dimostrando una ben maggiore sensibilità per il problema dell'inserimento urbano dell'edificio. Nel 1840, per la stessa chiesa progettò una nuova cupola emisferica su tamburo cieco realizzata da Felice Orsolino. Già nel 1816 aveva presentato, con C. Barabino e P. Pellegrini, disegni per la facciata dell'Annunziata a Genova; nel 1834 sembrò che il lavoro si avviasse a realizzazione, ma nel 1842 la polemica ancora si accese e sembrò affacciarsi un nuovo progetto del Cremona.
Nello stesso 1842 fu approvato il progetto per la facciata della chiesa delle Vigne (disegno in coll. topogr. del Comune di Genova, n. 2961). Il lavoro non era ancora compiuto alla morte del C., e le decorazioni nella parte alta non furono mai realizzate. L'uso di colonne rinascimentali di reimpiego dalla distrutta chiesa di S. Paolo vincola le proporzioni allontanando il progetto dal rigore formalistico di un neoclassicismo accademico, ma accentuandone l'eleganza. Nel complesso, con le colonne su altissime basi col motivo del doppio timpano, indubbiamente rivela affinità con l'architettura del Valadier (Meeks, 1966).
La facciata delle Vigne rimane oggi la migliore testimonianza dell'architettura del C.; ma indubbiamente egli contribuì in profondo, a fianco del Barabino, al di là di una precettistica classica letteralmente intesa, ad affermare il nuovo volto urbano di Genova, quel volto corretto e dignitoso delle grandi città ottocentesche.
Il C. morì a Genova il 5 genn. 1844.
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. Storico del Comune, Amm.ne Decurionale, filze nn. 1125, 1127, 1153, 11 60; Deliberazioni del Consiglio d'ornato, voll.682 s.; Bergamo, Bibl. civica, ms. 5, 53: G. Berlendis, Autobiografia, cc.66-68; M. G. Canale, Disegno della facciata per la chiesa di Nostra Signora dell'Orto in Chiavari, in Magazzino Pittor. universale, 1837, p. 102; G. Berlendis, Raccolta delle migliori fabbriche ed ornamenti della città di Genova, Milano 1838, p. 7 tav. XXII; F. Alizeri, Guida artist. per la città di Genova, II, Genova 1847, pp. 165, 327, 360, 984; M. Staglieno, Mem. e documenti sull'Accademia Ligustica di belle arti, Genova 1864, II, p. 246; F. Alizeri, Notizie dei profess. del disegno in Liguria, I, Genova 1864, pp. 107, 185; II, ibid. 1866, pp. 123, 131; Id., Guida illustrativa del cittadino…, Genova 1875, pp. 113, 146, 446;, L. Sanguineti, Nostra Signora dell'Orto, Chiavari 1933, p. 263; G. Martinola, L'architetto S. Cantoni, Bellinzona 1950, p. 31; C. L. Meeks, Italian archit. 1750-1914, New Haven-London 1966, p. 163; E. De Negri, Ottocento e rinnovamento urbano. C. Barabino, Genova 1977, ad Ind.; A. Fara, La Spezia, Bari 1983, pp. 46, 93; E. De Negri, Assetto urbano e architettura, l'esempio di Chiavari, Genova 1983, pp. 33, 34, 61; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 81.