Ippia di Elide
Filosofo (sec. 5° a.C.). Fu uno dei più notevoli rappresentanti dell’antica sofistica. Nei frammenti, nelle testimonianze, e soprattutto nei due dialoghi platonici, Ippia minore e Ippia maggiore, viene raffigurato come uno spavaldo insolente. Di fatto, egli doveva vagheggiare l’ideale dell’αὐτάρκεια («autosufficienza») non nel senso della passiva adiaforia cinico-stoica, ma in quello attivo della massima capacità di bastare a sé stesso. Di qui il suo vanto di sapersi fare da sé tutto il necessario: vanto che, con la rivalutazione delle opere manuali e umili, instaurava una nuova era nella concezione antica del lavoro; di qui, insieme, la sua «multiscienza» (πολυμαϑία) e l’arte di insegnare tale possesso, che culminava nella mnemotecnica. Platone gli attribuisce anche la dottrina dell’universale fratellanza degli uomini, considerata il fondamento naturale delle leggi non scritte, che I. contrappone alle leggi scritte, basate invece sull’arbitrio della convenzione. Come matematico, I. ideò una curva (quadratrice di I.), mediante la quale è possibile dividere un angolo in tre parti fra loro uguali (trisezione dell’angolo), rettificare la circonferenza e, per conseguenza, quadrare il cerchio, ed escogitò anche uno strumento per costruire meccanicamente tale curva. Le critiche mosse da Platone nei confronti dell’uso di strumenti diversi dalla riga e dal compasso limitarono l’influenza dell’idea di I. nei successivi sviluppi della matematica greca. Fu anche autore di alcuni carmi elegiaci e della prima registrazione, a scopo cronologico, dei vincitori negli agoni di Olimpia.