IPPARCO di Nicea
Astronomo greco. Di lui si sa soltanto che nacque a Nicea in Bitinia, visse qualche tempo ad Alessandria, ma svolse la sua maggiore attività a Rodi. Osservò certamente fra il 161 e il 126 a. C. Delle sue opere non ci rimane che una critica del poema didascalico sui Fenomeni di Arato e di un'altra operetta analoga di Eudosso.
I. è stato detto il più grande astronomo dell'antichità. Non aveva forse né il genio di Eudosso, né l'audacia intellettuale di Eraclide e di Aristarco; ma, per le sue virtù di metodo e di rigore, si può considerare il fondatore della vera astronomia d'osservazione. Perfezionò i mezzi tecnici: a lui si deve la diottra, descritta più tardi da Erone, che è il teodolite dell'antichità. Costruì lo strumento parallattico, lo strumento meridiano, lo strumento universale. L'uso intelligente di questi strumenti, che presuppongono una grande raffinatezza tecnica, gli permise di costruire un catalogo di circa 800 stelle (ricostruito da F. Boll, 1901), dando di ciascuna le coordinate celesti e ripartendole in sei grandezze, come si è continuato a fare di poi.
Confrontando le sue osservazioni con quelle fatte da Aristillo e Timocari 150 anni prima, I. notò che la latitudine delle stelle non era cambiata, ma che la longitudine di esse si era spostata uniformemente di circa 1°1/2. Da questa differenza costante egli inferì che doveva essersi spostato tutto il piano dell'eclittica, rotando intorno ai poli di questa in senso contrario al moto diurno, in modo che l'equinozio di primavera avesse un anticipo di circa 36″ all'anno (le misure odierne danno 50″). Era così scoperta la precessione degli equinozî (v. equinozî, XIV, p. 162). Insieme con gli strumenti materiali, I. cercò di perfezionare lo strumento matematico, e creò quel ramo della sferica che è divenuto la trigonometria. La sferica era stata sempre tenuta in onore dai matematici greci (trattati Sulla sfera rotante di Autolico, circa 330 a. C., Sferiche di Euclide e di Teodosio), ma la trigonometria propriamente detta, sia sferica sia piana, s'inizia con le considerazioni d'I. sui triangoli sferici e con le tavole di corde da lui stabilite, procedendo di mezzo in mezzo grado.
Nell'evoluzione delle teorie astronomiche I. ebbe parte decisiva, poiché fu in gran parte per la sua influenza se gli astronomi abbandonarono i varî schemi eliocentrici come quello di Aristarco, o semieliocentrici, per tornare al concetto della Terra centro del mondo. Poco tempo prima, per opera di Apollonio e di altri, erano stati formulati i teoremi che stabilivano l'equivalenza fra il moto su di un eccentrico e quello su di un epiciclo. Le varie ipotesi venivano quindi a perdere il loro preciso significato fisico, e a fondersi in un relativismo geometrico, da cui sola emergeva l'importanza di ben adeguare la teoria, qual che si fosse, ai dati d'osservazione. Su questo punto Ipparco, il quale coltivava il rigore fino alla pedanteria, non cessò mai di insistere. E fu così che gli astronomi svolsero, anziché il sistema eliocentrico di Aristarco, non ancora suscettibile di sufficiente esattezza, quello che doveva essere il sistema tolemaico: costruzione complicata e puramente geometrica di movimenti circolari (deferente, epiciclo, equante) innestantisi uno sull'altro. Il problema insomma non era più di trovare l'ipotesi più verosimile, ma soltanto il sistema di moti circolari e uniformi che si adeguassero meglio ai dati numerici. In mancanza di argomenti dinamici, che gli fossero di guida, I. non poteva che dedicarsi a epurare e perfezionare il sistema geometrico. Il suo rigorismo è quello del puro positivista. Coi dati raccolti poté stabilire in modo soddisfacente la teoria del Sole e fissarne la linea degli apsidi. Della Luna calcolò distanza e grandezza con l'approssimazione di 1/10; e ai suoi successori tracciò il programma di lavoro per la determinazione dei circoli dei pianeti, programma che trova il suo compimento nella Μεγάλη Σύνταξισ di Tolomeo, tre secoli più tardi.
L'opera di I. nella geografia è ispirata agli stessi criterî. Egli critica severamente i suoi predecessori, e in particolare Eratostene, per i loro ambiziosi tentativi di sintesi, e chiede che si cominci con lo stabilire una rete geodetica fondamentale. A questo grande lavoro si accinse egli stesso, malgrado gli scarsi elementi di cui disponeva. Le longitudini dovevano determinarsi con l'osservazione delle eclissi. Per la cartografia creò anche il metodo della proiezione stereografica. Ma i tempi non erano ancora maturi, e l'indirizzo matematico della geografia doveva essere ripreso solo da Marino e Tolomeo.
Opere: In Arati et Eudoxi Phaenomena commentariorum t. III, ed. e trad. di K. Manitius, Lipsia 1894; H. Berger, Die geographischen Fragmente des Hipparch, Lipsia 1869.
Bibl.: Cfr. l'ottimo art. di D. Rehm, Hipparchos, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl. Sui precedenti babilonesi, v. F. X. Kugler, Die babylonische Mondrechnung, Friburgo in B. 1900. Sul catalogo stellare: F. Boll, Die Sternkataloge des Hipparchos und des Ptolemaios, in Biblioth. Mathem., III (1901); G. Thiele, Antik. Himmelsbilder, Berlino 1896. Sulle misure: F. Hultsch, Winkelmessungen durch die Hipparchische Dioptra, in Abh. z. Gesch. d. Math., IX (1899); id., Hipparchos über die Grösse und Entfernung der Sonne, in Ber. d. Sächs. Ges. d. Wiss., Phil. Kl., 1900. Inoltre le storie generali: P. Duhem, Le système du monde, I e II; G. Loria, Storia delle matematiche, I, Torino 1929; F. Enriques e G. Santillana, Storia del pensiero scientifico, I, Milano 1932.