ipotiposi
Col termine di ὑποτύπωσις si designava, nella retorica classica, la figura retorica consistente nel presentare al lettore o all'ascoltatore un'immagine, in tal modo da rendergliela quasi visibile (cfr. Quintiliano Instit. Orat. IX II 40). Detta anche ἐνάργεια e resa col termine latino di evidentia (Cicerone Acad. II VI 17), di demonstratio (Rhet. Her. IV 55 68) e di energia (Isidoro Etym. II XXI 33 " est rerum gestarum aut quasi gestarum sub oculos inductio "), l'i. non è ben definita nei suoi caratteri strutturali, né viene contemplata nelle arti poetiche medievali.
In D. l'i. può additarsi in una varietà di forme, tutte in relazione con la tendenza della sua poesia a ridurre i concetti a immagini evidenti e concrete. A parte quindi la stessa allegoria, che spesso traduce in termini visivi una realtà astratta, e a parte la vera e propria transumptio (v.), possono farsi rientrare nell'i. le numerose similitudini che riportano il lettore immediatamente a un'esperienza realistica: anima trista come pal commessa (If XIX 47); e come a l'orlo de l'acqua d'un fosso / stanno i ranocchi pur col muso fuori (XXII 25-26); non altrimenti l'anitra di botto, / quando 'l falcon s'appressa, giù s'attuffa (v. 130); e 'l capo tronco tenea per le chiome, / pesol con mano a guisa di lanterna (XXVIII 121-122); Io vidi due sedere a sé poggiati, / com' a scaldar si poggia tegghia a tegghia (XXIX 73-74); due ombre smorte e nude, / che mordendo correvan di quel modo / che 'l porco quando del porcil si schiude (XXX 25-27); Quella sonò come fosse un tamburo (v. 103); a guisa di leon quando si posa (Pg VI 66).
Altra volta, eliminata la similitudine, l'immagine realistica assume quasi la forma di una transumptio: per l'alito di giù che vi s'appasta, / che con li occhi e col naso facea zuffa (If XVIII 107- 108); L'alba vinceva l'ora mattutina / che fuggia innanzi (Pg I 115-116). Analogamente certe vaghe situazioni psicologiche erano state tradotte, nella lirica stilnovistica di D. in immagini concrete: e par che de la sua labbia si mova / un spirito soave pien d'amore, / che va dicendo a l'anima: Sospira (Vn XXVI 7 12-14); che ogn'om par che mi dica: " lo t'abbandono " (XXXI 16 67); quantunque, introdotte da ‛ pare ', queste immagini si pongano sempre sul piano della leggera immaginazione, che è propria della Vita Nuova. Più evidente, entro questo genere, è l'i. di Rime LXVII 5 ss. sento contro mia voglia / raccoglier l'aire del sezza'sospiro / entro 'n quel cor che i belli occhi feriro / quando li aperse Amor con le sue mani. E tale ricerca retorica si spiega nell'ambito di una lirica dolorosa e ‛ forte '.
All'i. può ancora ricondursi un modulo dantesco assai diffuso, che consiste nel richiamare l'attenzione dell'ascoltatore, mostrandogli, più che descrivendogli, una realtà, generalmente spiacevole. Se in Vn VII 3 2-3 l'immagine è ancora sfumata (attendete e guardate / s'elli è dolore alcun, quanto 'l mio, grave), il grido di Maometto in If XXVIII 30 ss. assume la sua piena evidenza dalla scelta realistica del vocabolo: Or vedi com'io mi dilacco!, cui può aggiungersi guardate là come si batte il petto! di Pg VII 106. Non è il caso di ricordare, a proposito dell'i., le descrizioni dei luoghi e delle persone, che la tradizione retorica faceva rientrare nella figura della " evidentia ", per il fatto che esse si rivolgano alla vista, più che all'udito.