IPERIDE (‛Υπερείδες, Hyperīdes)
Oratore, avvocato e politico ateniese del sec. IV a. C. Nacque nel demo di Collito, nel 390-389; del padre, Glaucippo, non è nota la professione né la condizione, ma è probabile che appartenesse alla borghesia industriale benestante. I. negli anni della giovinezza si formò un'educazione compiuta: mirando alla vita politica, apprese, alla scuola di Isocrate, retorica e filosofia: quell'ars oratoria verniciata di filosofia e costruita su un empirismo etico talvolta ambiguo, che Isocrate appunto aveva teorizzata, e da vent'anni insegnava. Da Isocrate I. apprese oltre l'arte oratoria, la tendenza a poggiare, nella sua opera e nella sua vita, su una base morale. In che venne anche a soccorrerlo il magistero di Platone. Gli antichi biografi lo dissero allievo di Platone; e della notizia non è lecito dubitare, anche se ne manchi conferma. Ma in realtà nulla fruttò in I. l'insegnamento di Isocrate e di Platone: come nulla fruttarono la storia e la tradizione che nel suo coetaneo Demostene mantennero vivida, in ogni momento, la coscienza eroica della missione ateniese. I., che fu dello stesso partito ed ebbe gli stessi ideali politici di Licurgo e di Demostene, profondamente ne differì, tuttavia, nel costume, nella vita. Al contrario di Demostene, I. visse attivamente nel mondo del sensualismo dionisiaco, e fu, probabilmente, iniziato a riti misterici. I., che dappresso conobbe il mondo delle etere e di parecchie fu avvocato ed amico, e non fece mistero del suo amore per Frine, e la difese in un processo di empietà e per lei redasse una delle sue orazioni più celebri, dovette, certo, personalmente conoscere e celebrare i misteri di quel nume ctonio Isodaite, un'ipostasi dionisiaca, alle cui cerimonie Frine presiedeva. Ed è oltremodo significativo, a ben comprendere I., che nel giudizio degli antichi le sue più ammirate orazioni fossero quelle per Frine e contro Atenogene.
L'orazione per Frine è perduta. I miseri frammenti rivelano ancora la passionalità veemente che ispirò le parole di I. in difesa della donna amata: non lasciano ricostruire lo svolgimento dell'orazione. L'orazione contro Atenogene si può ben definire un capolavoro di ingegnosità e di malizia, dove l'arte insinuante, l'etopoietica dell'avvocato cercano d'indurre a compassionevole indulgenza per il giovanetto Epicrate, il cliente di I., ignaro e cieco nel suo turpe desiderio; a superare in questa indulgenza il chiaro rigore della legge. Ora, anche l'orazione contro Atenogene poggia, come l'orazione per Frine, su una passione vissuta. Epicrate ha consentito a comperare, grazie all'interessata mediazione dell'etera Antigona, dall'amante di lei, il profumiere Atenogene, la sua azienda, i suoi servi, pur di possedere uno di questi schiavi, che è il suo ἐρώμενος.
Non celibe, poco sollecito dei suoi doveri paterni (se il figlio di I. dovette uscire dalla casa della famiglia, nella quale I. volle allogare l'etera Mirrine), avido dei piaceri della tavola (perciò, frequentemente schernito dai comici), dedito al vino (che è nuovo tratto del suo dionisismo), e, tuttavia, non vile, non scettico, non egoista, ma animato da una forte passione di libertà, da un impetuoso e sincero amor di patria: con questo animo I. riuscì ad essere, per quarant'anni, uno dei più attivi politici ateniesi, nell'ora grave della campagna antimacedone.
Già nel 362 I. intentò, con procedimento di εἰσαγγελία, un processo ad Aristofonte di Azenia, che nella spedizione contro Ceo s'era fatto colpevole di concussione. E, forse, nel combattere Aristofonte e il suo partito, nel sostenere i diritti degli alleati ateniesi, che gl'imperialisti consideravano nulli, I. seguiva i dettami della politica isocratea. E alla medesima tendenza s'ispirava, com'è verosimile, l'orazione contro Diopite, di cui, peraltro, ignoriamo la data. Ed è conforme al pensiero di Isocrate pur l'implacata, e fin postuma, avversione al programma pacifista di Eubulo. Ma tutta questa prima fase (che non dev'essere poi stata molto rilevante) dell'attività politica di I. è oscura. Meglio ci è dato, invece, di seguirne l'opera negli anni in cui Demostene andò preparando la resistenza a Filippo. Demostene fu, allora, caldamente coadiuvato da I., che divenne, per lui, l'uomo da opporre sempre ad Eschine. Così, se Eschine aveva accusato Timarco, I. accusò Filocrate, l'artefice della pace (anno 346). Di quegli anni medesimi, nel cosiddetto "affare di Delo" (quando i Delî, indotti da Filippo, sollecitarono dall'anfizionia delfica il riconoscimento dell'autonoma amministrazione del santuario apollineo, allora governato dagli Ateniesi), mentre il popolo aveva eletto suo rappresentante anfizionico Eschine, la suprema corte dell'Areopago cassò la nomina di Eschine e lo sostituì con I. In quella contingenza fu recitato da I. il Δηλιακὸς λόγος, un cui frammento mostra come I. rinnovasse l'argomentazione isocratea e insieme rivendicasse (né gli fu negato il successo) i diritti di Atene su Delo - invano difesi da Euticrate, un mercenario di Filippo - ribadendo così, contro Filippo, la volontà ateniese di non tollerare soprusi, di non rinunziare all'impero.
Nel 340 s'iniziò la guerra con Filippo. I. fu attivissimo nel provvedere agli armamenti, alla resistenza. Ricercò aiuti per i Bisanzî assediati dai Macedoni, alleati per la sua Atene: fu a Rodi, a Chio (e in quest'occasione recitò le due orazioni ‛Ροδιακός, Χιακὸς λόγος). Favorì l'invio di milizie ateniesi nell'Eubea, fornendo allo stato 40 triere raccolte mediante le contribuzioni di facoltosi privati: in proprio, a nome suo e di suo figlio, fornì due triere. Lo stesso anno, altra volontaria contribuzione: la coregia. La vittoria parve arridere agli Ateniesi, affrettata e promessa dall'alleanza che Demostene riuscì a concludere con i Tebani. I., esultante, appoggiò la proposta di Aristonico per una corona d'oro a Demostene.
Demostene seguì l'esercito, mentre I. e Licurgo, protetti dall'immunità buleutica, restarono ad aspettare in Atene. Il 2 settembre 338, a Cheronea si decisero le sorti della Grecia e I. fu il primo ad asserire che si doveva, nonostante la disfatta, resistere ancora. E propose uno ψήγισμα, che sanciva la manomissione dei servi e l'uguaglianza di tutti indistintamente gli atti alle armi. Così si poteva sperare di condurre contro Filippo 150.000 uomini. Quale fine politico animasse, in questa sua proposta, I., non sappiamo; probabilmente volle soltanto mostrare che l'ultimo stadio evolutivo della democrazia ateniese, prima di cedere alla signoria straniera e oligarchica, era la proclamazione di una compiuta e universale libertà. Onde, prima ancora dei Macedoni, i reazionarî ateniesi intervennero: cassarono la nomina a stratego di Caridemo, lo sostituirono con Focione, fecero pace col nemico.
Durante la pace I. non disarmò, come testimoniano le sei orazioni superstiti, che tutte furono pronunziate dopo Cheronea. E il popolo continuò ad aiutare, come Demostene, così I. Perciò, accusato di violazione delle leggi statali da Aristogitone per la sua proposta di manomissione, fu assolto: e subito riprese la sua battaglia. Si oppose agli onori di cittadinanza ateniese concessi ad Alessandro, agli altri plenipotenziarî macedoni; accusò di illegalità Demade, perché volle prosseno Euticrate. Frattanto, nell'autunno 336, Filippo fu ucciso; e, nonostante l'intervento di Alessandro in Grecia, i Greci accolsero dalla Persia i mezzi per l'insurrezione. Nei mesi di questo inverno, I. pronunziò forse l'orazione Contro Filippide, per combattere la proposta di questo capoparte filomacedone d'incoronare una bulè che aveva concesso onori ai Macedoni. Il desiderio di libertà, che I. gridava nella sua orazione, rimase vano. L'estate seguente Alessandro rase al suolo Tebe, chiese agli Ateniesi la consegna dei loro capi. È quasi certo che il nome di I. non era nella lista dei proscritti; è certo che I. si oppose alla richiesta illegale di Alessandro. Alessandro cedette, iniziò l'anno dopo la guerra d'Asia. I. perseverò nell'opposizione. Cercò d'impedire che ad Alessandro si concedessero per la guerra, conforme ai patti di Corinto, venti triremi ateniesi. Difese Carete, che, dopo la disfatta persiana, era fuggito con i suoi mercenarî a Capo Tenaro. Ancora, tuttavia, esercitava l'avvocatura.
Meramente privata è la causa di Licofrone (anno 333), reo di adulterio. Ma è quasi, la Licofronea, un'eccezione. Pochi anni dopo, l'Euxenippea poggia su un fondamento politico. E, per difendere il suo cliente, I. non vede migliore via che esaltare i sensi antimacedoni dell'imputato, accusando, invece, di servilismo l'accusatore Polieucto, disposto a consentire alle proteste antiateniesi di Olimpiade. E fin la torbida orazione Contro Atenogene si purifica in questa passione politica, nell'accusa ad Atenogene di avere lasciato Atene quando s'iniziò la guerra con Filippo, d'aver goduto a Trezene la protezione di Mnesia, un partigiano di Filippo.
Nel 324 gli sviluppi nuovi della politica, i disegni occidentali di Alessandro segnano anche un ritorno di I. alla politica attiva. Nella primavera di quest'anno, insieme con Dinarco, difende una progettata spedizione colonizzatrice ateniese nell'Adriatico. Nell'autunno difende Arpalo. Nel frattempo si è già accordato con Leostene, che ha raccolto segretamente al Tenaro le prime schiere di mercenarî. Quando la Grecia era tutta in fermento per i due editti di Alessandro (onori divini e richiamo dei fuorusciti; autunno 324), Arpalo giunse ad Atene, portando uomini, armi, la promessa d'insurrezione oltre Egeo. I. aderì subito, senza ricevere nessun sussidio. Anche Demostene parve consentire. Ma voleva togliere di mezzo Arpalo, guadagnar tempo e non inimicarsi Alessandro. Perciò, anche, volle il fermo e permise la fuga di Arpalo. I. scorse nel quietismo di Demostene la prova del tradimento; lo credette corrotto, insieme, da Alessandro e da Arpalo, si schierò nelle file dei suoi nemici. Con la sua orazione Contro Demostene I. contribuì non poco alla condanna di Demostene (maggio 323). A giugno, Alessandro morì. Grazie a Leostene, ad I., a Demostene stesso, e malgrado Focione, fu la guerra lamiaca. In quell'inverno 323-22, mentre, nonostante la morte di Leostene, parevano ancora favorevoli le sorti ateniesi, I. recitò l'orazione funebre per i caduti: il famoso Epitafio. Ben a ragione lo si è definito l'ultima libera voce della democrazia ateniese. La nuova primavera cominciarono i rovesci: dopo Crannone, l'esercito confederale si disperse. Antipatro ottenne la condanna a morte in contumacia dei capoparte ateniesi; i suoi sgherri eseguirono la sentenza. I., arrestato con altri nel tempio di Demetra a Ermione, fu condotto in Cleone e giustiziato (ottobre 322).
Ediz.: Dei discorsi di I., che la Vita di I. dello Pseudo-Plutarco (a noi giunta nel corpus dei Moralia plutarchei) valutava a 77 (dei quali 25 spurî) non uno si era conservato quando, nel 1847, A. C. Harris acquistò a Tebe in Egitto un rotolo papiraceo, edito l'anno successivo, che conteneva l'orazione Contro Demostene e l'inizio della Licofronea. Un'altra metà dello stesso rotolo, con la seconda parte della Licofronea e tutta l'Euxenippea, fu edita nel 1853 da J. Arden e Ch. Babington. Nel 1891, da un nuovo papiro, F. G. Kenyon trasse i frammenti dell'orazione Contro Filippide; mentre già nel'56 l'inglese Stobart aveva acquistato un rotolo con l'Epitafio, che fu edito nel 1858 dal Babington. In Italia I. fu in quegli anni edito da D. Comparetti. Finalmente, acquistato nel 1888 da F. Révillout, fu da lui edito nel'92 un nuovo papiro, che contiene l'orazione Contro Atenogene. F. Blass, che fin dal 1869 aveva provveduto all'ed. teubneriana (Lipsia) di I., ne redasse, il 1894, una terza completa. Altra ed. curò F. G. Kenyon (Oxford 1906). L'ultima è la nuova ed. teubneriana (Lipsia 1917), di C. Jensen. Tra le edizioni italiane sono da ricordare: D. Comparetti, L'Euxenippea d'I. (in Ann. Univ. Tosc., 1858-1861, cl. scienze noologiche, p. 21 segg.), D. Comparetti, Il discorso d'I. per i morti nella guerra lamiaca (ibid., VII, 1862, p. 61 segg.); A. Gonella, L'orazione funebre sui caduti della guerra lamiaca, Torino 1925.
Bibl.: Per più ampia bibl., cfr. K. Emminger, in Bursian's Jahresber., CLXI, 1913, pp. 186-213; C. Jensen, nella citata edizione, pp. xl-xlv. - I materiali per lo studio di I. negli articoli di J. Kirchner, Prosopographia attica, II, Berlino 1903, n. 13912, pp. 331-334; T. Thalheim., in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IX, coll. 281-285; H. Berve, Das Alexanderreich auf prosop. Grunall, II, Monaco 1926, pp. 376-378. - Per l'uomo e i suoi tempi, A. Schaefer, Demosthenes und seine Zeit, 2ª ed., voll. 3, Lipsia 1885-1887; J. Beloch, Die att Politik seit Perikles, Lipsia 1884; E. Drerup, Aus einer altern Advokatenrepublik, Würzburg 1916. - Studî generali: H. Hager, Quaest. Hyp. capita duo, Lipsia 1870; J. Girard, Études sur l'éloquence attique, 2ª ed., Parigi 1884, pp. 85 segg., 184 segg.; F. Blass, Die att. Beredsamkeit, 2ª ed., III, ii, Lipsia 1898, pp. 1-95; S. Kayser, L'art oratoire, le style et la langue d'H., in Musée belge, I (1897), pp. 240-257; II (1898), pp. 49-93, 210-219; III (1899), pp. 10-20; id., Étude sur la langue d'H., ibid., IV (1900), pp. 95-104, 201-222; U. v. Wilamowitz, in Hermes, LVIII (1923), pp. 61-68; D. Gromska, De sermone H., Leopoli 1927; U. Pohle, Die Sprache des Redners H., Lipsia 1928. - Per questioni particolari, cfr. H. Haupt, Die Vorgesch. d. harp. Processes, in Rhein. Mus., XXXIV (1879), pp. 377-387; A. Cartault, De causa harpalica, Parigi 1881, pp. 106-113; L. Levi, L'Euxenippea d'I., Pisa 1889; A. Röhlecke, Polyeukt wider Euxenipp., in Rhein. Mus., LXXVIII (1929), pp. 68-80; A. Körte, Die Zeitbestimmung von H.'s Rede Für Lykophron, in Hermes, LVIII (1923), pp. 230-237; W. Schlau, De H. oratione funebri, Lipsia 1913; L. Cantarelli, Osservazioni sul processo di Frine, in Riv. di Filol., XIII (1885), pp. 465-482; E. Derenne, Les procès d'impiété, Liegi-Parigi 1930, pp. 224-234.