IOLANDA di Francia, duchessa di Savoia
Quartogenita del re di Francia Carlo VII e di Maria d'Angiò, nacque a Tours il 23 sett. 1434 e fu battezzata con il nome della nonna materna Iolanda d'Aragona, vedova di Luigi II.
I., il cui nome compare sempre, anche nei documenti latini, nella forma vernacolare di "Yolant", non dimenticò mai di sottolineare la sua origine regale qualificandosi come "primogenita et soror christianissimorum Francie regum". Ne risulta che, il più delle volte, I. è stata considerata dalla storiografia sabauda come la primogenita del re di Francia. In realtà era stata preceduta da due sorelle, Radegonda e Carlotta, decedute rispettivamente nel 1444 e nel 1446: I. era quindi la maggiore delle figlie sopravvissute di Carlo VII.
Il 16 apr. 1436 fu promessa al presumibile erede del Ducato di Savoia, Amedeo, che aveva appena compiuto un anno. Quest'unione, voluta e preparata dal duca Amedeo VIII, nonno del futuro sposo, fu stabilita il 16 agosto dello stesso anno e ratificata dieci giorni più tardi. La giovane sposa fu subito condotta negli Stati sabaudi dove fece il suo ingresso il 22 settembre a Châtillon-les-Dombes (oggi Châtillon-sur-Chalaronne). Educata alla corte della sua nuova famiglia, I. celebrò il suo matrimonio con il principe di Piemonte a Chambéry, nel 1452. Questa unione rafforzava i legami fra la casa sabauda e i Valois, avendo il fratello di I., Luigi, sposato un anno prima una sorella di Amedeo, Carlotta.
Al pari del matrimonio del delfino, anche le nozze di I. suscitarono il vivo disappunto del re di Francia, che rimproverava al duca di non aver richiesto il suo esplicito consenso per il compimento del rito.
Minuta e piccolina - pesava a malapena 44 chili se si deve dar credito alla donazione di cera equivalente al suo peso (136 libbre) che fece nel 1469 in favore di un santuario -, I., in meno di vent'anni, dal 1454 al 1472, partorì dieci figli di cui quattro premorirono alla madre.
Quando era ancora principessa di Piemonte e risiedeva abitualmente a Bourg-en-Bresse, I. si recò spesso presso la corte reale francese e, con l'avvento al trono del fratello Luigi XI (1461), fu al centro di un'intensa attività diplomatica e militare che gravitava intorno al Ducato di Savoia. Inoltre, I. non cessò mai, spesso anche contro la sua volontà, di essere il pretesto per una costante ingerenza nelle questioni interne al Ducato da parte della monarchia francese. Nonostante i suoi ascendenti regali e le sue incontestabili capacità politiche, la sua condizione di donna fu certamente una delle principali cause delle difficoltà che incontrò alla corte sabauda, come ben sottolineava l'ambasciatore veneziano Antonio Dandolo: "me he parsa humana […] savia madama, ma è pur donna" (cfr. Tallone, IX, p. 985).
Amedeo IX e I. si trovavano a Bourg-en-Bresse quando appresero della morte del duca Ludovico, padre di Amedeo, avvenuta a Lione il 29 genn. 1465. Le condizioni morali e psichiche del nuovo duca, notorio epilettico, lasciavano nelle mani di I. la guida del governo. Fin dai primi documenti del regno di Amedeo IX, I. compare citata quale parte attiva nelle decisioni. Il nome del duca, presente nella maggior parte degli atti ufficiali, non deve dar adito a fraintendimenti: le fonti diplomatiche non si riferiscono praticamente mai al duca ma solo alla duchessa.
Quest'ultima doveva però sempre tener conto dei suoi cognati, che detenevano la maggior parte dei territori sul versante occidentale delle Alpi: Ludovico, sovrano di Cipro in seguito al matrimonio con Carlotta di Lusignano, che, dopo aver rinunciato al suo appannaggio sul Genevese, reclamava costantemente sussidi per la riconquista del suo Regno; Giano, titolare del Genevese che amministrava come uno Stato autonomo all'interno del Ducato; Filippo, titolare della Bresse ed eterno rivale alla guida del Ducato; Gian Luigi, già avviato alla carriera ecclesiastica, candidato ai seggi episcopali della Tarantasia e in seguito di Ginevra, ma che aspirava anch'egli a ottenere delle responsabilità di governo; Giacomo, conte di Romont, fortemente radicato nel Vaud; e infine Francesco, anch'egli destinato alla Chiesa. Tutte queste personalità, fatta eccezione per Francesco ancora troppo giovane per svolgere un proprio ruolo, erano determinate a partecipare, a vari livelli, al governo del Ducato e a dividerne i benefici allo stesso titolo di Iolanda.
Il più attivo e pericoloso fra i congiunti di I. fu senz'altro il conte di Bresse, Filippo. Ribellatosi al padre nel 1462 con il pretesto del cattivo governo imputabile a suo parere ai cortigiani ciprioti sostenuti da sua madre la duchessa Anna di Lusignano, Filippo si era assicurato nel corso degli anni un vasto consenso sia nei Parlamenti sabaudi sia presso gli Svizzeri preoccupati per la crescente ingerenza della Francia nel Ducato. Proprio tramite I., che agì probabilmente in buona fede, Luigi XI attirò Filippo nel 1464 in Francia dove lo fece rinchiudere nel castello di Loches, nel quale si trovava ancora quando morì suo padre. Una volta liberato (19 marzo 1466) e riconciliatosi con il cognato, Filippo si affrettò a raggiungere la Savoia per farsi riconoscere il suo appannaggio e ottenere la luogotenenza del governo che I. rifiutò sempre di cedergli. Nel corso dell'assemblea degli Stati di Savoia, riuniti a Losanna nel maggio-giugno di quello stesso anno, I. giunse a esaudire alcune delle richieste di Filippo, ma ottenne il riconoscimento ufficiale della reggenza dello Stato affidata esclusivamente a lei. Evitare di essere sopraffatta dal cognato troppo invadente o di essere strettamente asservita ai voleri di suo fratello - anche la figura di Luigi XI dominò infatti costantemente la condotta politica di I. - fu l'elemento più evidente del suo agire ondeggiante, mirato a preservare al meglio l'eredità del Ducato per suo figlio Filiberto.
Fin dal suo avvento al trono, il re di Francia si era alleato con Francesco Sforza e in seguito con Galeazzo Maria, asse portante, insieme con Firenze, della sua politica italiana. Gli Sforza gli fornivano un importante aiuto sul piano militare contro i nemici della Lega del bene pubblico nonché contro il duca di Borgogna Carlo il Temerario. Tale sostegno dipendeva però sempre dalla possibilità di attraversare rapidamente le Alpi passando per la Savoia: questo spiega l'interesse del re di assicurarsi la disponibilità di I. e di rinsaldare i legami fra lei e gli Sforza. Ma I., una volta duchessa di Savoia, benché cosciente dei limitati spazi di azione concessi al Ducato, mantenne e in seguito rafforzò un'accorta politica di contenimento delle pressioni sforzesche, cercando anche di controbilanciare il potente vicino milanese, dietro la minaccia di un possibile intervento di Venezia, sui suoi confini orientali. Al contrario Luigi XI, per rinsaldare i legami con Milano e limitare l'azione di sua sorella, trattò il matrimonio di Bona di Savoia con Galeazzo Maria, ignorando totalmente il parere di Amedeo e Iolanda.
Quando quest'ultima si mostrò infine insofferente alle iniziative di Luigi, e ne sostenne i nemici, il re di Francia le contrappose Filippo, il cognato intelligente e ambizioso che non sognava altro che di soppiantare I. alla guida del Ducato. I ricorrenti ostacoli erano dovuti al fatto che nessuno dei protagonisti era completamente arbitro del proprio destino, e ognuno sollecitava il sostegno di alleati che non si facevano scrupolo di passare da un campo all'altro. È il caso delle città di Berna e Friburgo che, tradizionali alleate dei Savoia come le Leghe svizzere, erano in piena fase espansionistica a scapito dei domini sabaudi e anche di Filippo di Savoia, sempre contrario a una tutela francese sul governo sabaudo, ma costretto nel contempo a fare ricorso per le sue necessità al sostegno del regale cognato.
In molte occasioni I. dovette affrontare violente azioni contro la sua persona e tutte le volte riuscì a trarsi in salvo grazie al suo sangue freddo nonché all'aiuto, mai completamente disinteressato, di Luigi XI troppo contento di soccorrerla per maggiormente legarla a sé. Le disavventure, numerose e spesso intricate, nelle quali I. e la corte sabauda furono coinvolte dal 1465 al 1478 furono quindi l'espressione di una resistenza ostinata ma spesso impotente davanti alla tendenze espansionistiche della monarchia francese e delle Leghe e delle città svizzere a scapito di istituzioni composite come il Ducato di Borgogna o indebolite come il Ducato di Savoia.
Il tentativo di mantenere il proprio Stato indipendente dal re di Francia fu intrapreso da I. fin dai primi tempi del suo governo. Da una parte la duchessa accettava di soccorrere suo fratello inviandogli rinforzi che si rivelarono utili nella battaglia di Monthléry (16 luglio 1465), nel corso della quale il sovrano affrontò la coalizione baronale della Lega del bene pubblico, dall'altra I. e la sua corte furono senz'altro i mandanti della breve incarcerazione di Galeazzo Maria Sforza presso l'abbazia di Novalesa, allorché egli rientrò precipitosamente dalla Francia per succedere al padre (marzo 1466). Questa politica antimilanese, dopo una guerra senza alcun risultato, si concluse l'anno seguente con la pace di Ghemme (14 nov. 1467) che riconfermava lo status quo del 1454 e siglava finalmente il consenso, fino a quel momento osteggiato dai duchi, al matrimonio dello stesso Galeazzo Maria Sforza con Bona di Savoia.
Nel quadro più ampio dell'adesione alla Lega, che si andava delineando allora sotto gli auspici di Paolo II, e d'intesa con i suoi cognati, I. finì per trovarsi a fianco di Venezia in un'alleanza con il nuovo duca di Borgogna, Carlo il Temerario. L'intesa fu così stretta che il figlio di I. nato da lì a poco (30 marzo 1468) fu chiamato Carlo in onore del suo illustre padrino. Le continue e pesanti pretese di Filippo e del conte di Romont, alleatisi nel frattempo con il Temerario, riavvicinarono tuttavia I. a Luigi XI: la protezione di quest'ultimo era infatti sufficiente a intimidire Filippo.
Obbligata a rispettare i suoi impegni nei confronti del fratello, quando dichiarò nel 1470 guerra a Carlo il Temerario, I. dovette resistere nel castello di Chambéry a un tentativo di sequestro da parte dell'ambasciatore di Borgogna poco prima che anche i suoi cognati, Filippo, Giano e Giacomo, le si rivoltassero contro. Rifugiatasi nella fortezza di Montmélian insieme con il marito, non poté evitare che questi fosse preso in ostaggio da Filippo mentre lei riuscì a fuggire con i figli e a riparare a Grenoble (19 giugno 1471), dove si pose sotto la protezione del re. Nonostante un accordo rapidamente concluso con Galeazzo Maria (trattato di Mirabello, 12 luglio) dovette accettare - per la pressione di Luigi XI che non riponeva fiducia alcuna nei suoi confronti, perché sospettata di complottare a sue spese insieme con il fratello minore Carlo, duca di Guyenne - di accordarsi con Filippo sottoscrivendo, l'8 agosto, l'accordo di La Pérouse (nei pressi di Montmélian), ratificato il 5 settembre a Chambéry. In seguito a tale accordo la duchessa accettava di sostituire il suo cancelliere Humbert Chevrier con Sibuet de Loriol - uomo di fiducia di Filippo - e di accogliere nel suo Consiglio persone legate al cognato nonché di sottomettere il problema della reggenza all'arbitrato del re di Francia e degli Svizzeri. Il giorno seguente la stipula dell'accordo Amedeo IX veniva riaffidato alla duchessa. Una volta in Piemonte, I. confermò il trattato di Mirabello e pervenne anche a imporre la restituzione dei sigilli a Humbert Chevrier. Alla fine dell'anno Filippo aveva abbandonato il Temerario ed era passato dalla parte del re di Francia: I., scontenta del fratello, si era riavvicinata a Galeazzo Maria Sforza che tentava di mantenere un suo grado di autonomia nei confronti dell'alleato francese.
Alla morte di Amedeo IX (30 marzo 1472), che non aveva provveduto in alcun modo alla successione, il primogenito della coppia, Filiberto, aveva solo sette anni: I. si fece conferire la reggenza dagli Stati, convocati in tutta fretta a Vercelli dove era deceduto il marito e, il 21 aprile, giurò nelle mani del vescovo di Vercelli, rappresentante imperiale. Forte del sostegno del duca di Milano, continuò a negare la luogotenenza a Filippo, a cui pagò ciononostante gli emolumenti. Mai certa della fedeltà dei suoi alleati, riallacciò i legami con Venezia e soprattutto con Carlo il Temerario, rinnovando con questo, l'8 giugno 1473, l'alleanza del 1467, pur concludendo, nel contempo, il patto matrimoniale di suo figlio Filiberto con Bianca Maria Sforza, figlia di Galeazzo Maria. In seguito I. riuscì anche a far siglare un trattato di alleanza tra quest'ultimo e Carlo il Temerario (Moncalieri, 30 genn. 1474).
Il successo di I. sembra aver corrisposto al visionario progetto che si prefiggeva il Temerario: il ripristino dell'antico Regno di Borgogna, che avrebbe inglobato anche la Savoia, ma che sarebbe stato nelle mani, così immaginava I., della sua progenie, poiché suo figlio Filiberto, rinunciando alla nozze milanesi, avrebbe sposato Maria, unica erede del duca Carlo.
L'alleanza borgognona e le sue inevitabili conseguenze, venuto meno il tradizionale sostegno degli Svizzeri nei riguardi dei Savoia, rischiarono di essere fatali a Iolanda. Nel 1475 le terre del conte di Romont furono invase dai Bernesi, mentre i possedimenti sabaudi nel basso Vallese furono definitivamente persi (battaglia di La Planta, 13 nov. 1475). Carlo il Temerario, sopraggiunto in aiuto al conte di Romont, subiva la grave sconfitta di Grandson (3 marzo 1476), mentre il suo esercito fu in seguito disperso davanti a Morat (22 giugno). I. accolse immediatamente lo sconfitto nel castello di Gex, ma rifiutò di seguirlo in Borgogna. Il 27 giugno uomini del Temerario la rapirono lungo la strada di Ginevra e la tennero prigioniera prima nel castello di Rochefort e in seguito in quello di Rouvres. Il giovane duca sabaudo, tuttavia, riuscì a sfuggir loro. Mentre Luigi XI, quale zio materno di Filiberto, organizzava il governo del Ducato, I. continuò dalla sua prigionia a mantenere rapporti epistolari con i sudditi spronandoli a obbedire solo a lei. Il suo atteggiamento creò notevole imbarazzo in Piemonte: Galeazzo Maria, forte anche dei suoi incoraggiamenti, aveva iniziato a far penetrare le proprie truppe per non far riconoscere Filippo di Savoia come governatore in nome del re di Francia; l'intervento decisivo di Luigi costrinse Galeazzo Maria a rientrare nei suoi confini. Nel frattempo, i plenipotenziari sabaudi riuscivano, in occasione di un loro incontro a Friburgo (12 ag. 1476) a recuperare, dietro promessa di pagamento, la baronia del Vaud a condizione di non riaffidarla a Giacomo di Savoia: ma i possedimenti di Morat e altri due possedimenti del Vaud erano definitivamente persi. I., all'inizio del mese di ottobre, riuscì a scappare da Rouvres e raggiunse Tours, dove suo fratello l'accolse con queste parole riportate da Philippe de Commynes: "Madame la Bourguignonne vous soyez la très bien venue" (cfr. Cerrioni). Avendo sigillato un'alleanza definitiva con Luigi, I. riotteneva i suoi interi poteri e, il 5 dicembre, rientrò solennemente a Chambéry in compagnia dei figli. Nell'aprile 1477 partecipò alla ratifica degli accordi di Friburgo; tuttavia dovette rinunciare definitivamente alla sovranità di quella stessa città che il duca Ludovico aveva acquisito nel 1453. Inoltre non riuscì a risolvere la questione dell'occupazione dello Sciablese da parte dei Vallesi. Giunta in Piemonte nel mese di giugno, I. si occupò di far progredire rapidamente i lavori nei castelli dei diversi luoghi dove soggiornava (Moncalieri, Pinerolo, Moncrivello, Rivoli) e di regolare le questioni riguardanti la sua dote (consistente in castellanie nel Vaud) in vista della maggiore età di Filiberto.
Minata nel fisico a causa della gotta e dei disturbi alle vie biliari, si spense nel castello di Moncrivello il 29 ag. 1478. Le sue spoglie, imbalsamate, furono traslate a Vercelli e inumate nella chiesa di S. Eusebio, ai piedi di quelle del duca Amedeo IX.
Il bilancio della sua gestione economica, come è riportato da Jacques Lambert nei suoi Registres des choses faictes par madame Yolant de France (editi da Ménabréa all'interno della sua opera Chroniques de Yolande…), ricorda da vicino quello di una saggia amministratrice, accorta nell'evitare di premere in modo eccessivo sulle Comunità, alle quali doveva sempre far ricorso per ottenere il consenso per la concessione dei sussidi. I. volle assicurarsi nuove entrate - soprattutto gabelle - cercando di favorire il porto di Nizza, a scapito di Genova, quale sbocco delle fiere di Ginevra, oppure incentivando la circolazione via acqua delle merci (scavo del naviglio da Ivrea a Vercelli). Intensamente devota, come suo fratello, fu una grande benefattrice di opere pie. Molto sensibile allo splendore del culto, fondò una collegiata nella Ste-Chapelle di Chambéry, che dotò anche di un organo e di un coro "d'Innocenti". La sua biblioteca privata, di cui possiamo ipotizzare il contenuto sulla scorta di un inventario senz'altro parziale (ed. Ménabréa, pp. 310-312), conteneva, oltre a testi consueti in una biblioteca principesca, alcune opere che le erano state dedicate.
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