IO ('Ιώ, Io)
Figlia, secondo la più comune leggenda, di Inaco, signore di Argo, e di Melia, e sacerdotessa di Era. Era si avvede dell'amore di Zeus per lei e lo sorveglia, talché il sommo nume è costretto a ricorrere al ripiego di cangiare la fanciulla in vacca, ma Era la pretende in dono e l'affida in custodia ad Argo. Oppure la sua trasformazione in vacca è dovuta alla gelosia di Era; Zeus allora le si accosta in forma di toro; solo dopo di ciò Era le assegna come custode Argo. Ma Argo viene ucciso da Ermete per incarico di Zeus, ed Era lo cambia in pavone, e ne trasferisce i molti occhi nella coda del pavone. La morte di Argo non porta tuttavia requie all'infelice, contro cui Era manda l'assillo, che la caccia in fuga per terre molte e ignote, sinché finalmente Io giunge in Egitto e quivi, bene accolta e ritornata alla sua primitiva forma, diviene madre di Epafo, da cui discenderanno poi Danao ed Egitto (ritorno della leggenda in Argo). Io viene da ultimo collocata in cielo come costellazione.
Il mito d'Io ebbe dagli antichi spiegazioni razionalistiche (Erodoto, Eforo, Palefato): già Erodoto riferisce che secondo l'affermazione dei Persiani la figlia d'Inaco era stata dai pirati fenici attirata sulla loro nave e poi portata in Egitto; Palefato narra addirittura che, avendo ella perduto la verginità durante il suo sacerdozio e temendo le conseguenze del suo fallo, sarebbe fuggita con certo mercante in Egitto, dove sarebbe divenuta madre, ma gli Argivi mandati in caccia di lei la raggiunsero e la riportarono seco in ceppi rinfacciandole che "come giovenca punta dall'assillo se ne fosse fuggita in Egitto". In generale, i moderni considerano Io come la luna; Argo dai cento occhi che le fa la guardia non sarebbe se non il cielo stellato: l'interpretazione non è tuttavia accolta da tutti.
La leggenda d'Io si sarebbe trapiantata in Egitto in seguito a conoscenza, da parte dei Greci, d'Iside, nella quale essi raffiguravano la propria eroina, e del suo culto.
Il mito di Io è stato infinite volte trattato e dalla letteratura e dall'arte antica. Nella letteratura note soprattutto sono le due tragedie eschilee Le Supplici e il Prometeo; Sofocle lo svolse nel suo Inaco che pare fosse una specie di dramma sul tipo dell'Alcesti, rappresentato cioè al posto del dramma satiresco; Euripide allude spesso all'eroina argiva: si ricorda poi una tragedia Io di Cheremone; e numerose allusioni infine s'incontrano nella commedia. Anche il teatro latino conobbe il soggetto, che fu poi toccato in numerosissime altre opere poetiche latine e greche.
L'arte antica ha rappresentato Io in un primo tempo come vacca, poi come fanciulla con corna di vacca (evidente influenza delle esigenze teatrali), da ultimo come fanciulla. I momenti della leggenda preferiti dalle rappresentazioni antiche sono tre: le assiduità di Zeus presso la fanciulla; Io in custodia d'Argo e l'uccisione del guardiano; le liete accoglienze fatte ad Io in Egitto. Di molte rappresentazioni figurate antiche abbiamo solo notizia; un cospicuo numero ce n'é tuttavia giunto. Bello e interessante un vaso di Ruvo e una pittura parietale pompeiana; quello si riferisce alla custodia d'Argo e all'uccisione sua; questa all'accoglienza fatta a Io in Egitto.
Bibl.: R. Engelmann, in Roscher, Lexikon der griech. u. röm. Mythologie, II, i, Lipsia 1890-94, col. 263 segg.; S. Eitrem, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., IX, ii, col. 1732 segg.; L. Preller, Gr. Mythologie, 4ª ed. di C. Robert, II, i, Berlino 1920, p. 253 segg.