invidiare [invidie, in rima, II singol. pres. cong.]
Nel senso proprio, costruito sia transitivamente - io non lo 'nvidio (If XXV 99), con riferimento a Ovidio che in un passo delle Metamorfosi ha dato prova di particolare abilità poetica - sia, alla latina, con il dativo: Pd XVII 97 Non vo'... ch'a' tuoi vicini invidie, " non... volo quod habeas invidiam vel odium contra partem Nigrorum " (Benvenuto; così Daniello e altri). Il participio con valore attributivo in Cv I IV 6 invidia è cagione di mal giudicio, però che non lascia la ragione argomentare per la cosa invidiata.
Ancora con il dativo, e nel significato, pure comune all'invidere latino, di " togliere " (come intendono parecchi antichi e moderni), in If XXVI 24 se stella bona... / m'ha dato 'l ben, ch'io stessi nol m'invidi: ma il Buti esclude l'idea della privazione, e spiega: " cioè per invidia non mel guasti, adoperandolo al male et a'vizi.., come lo invidioso converte il bene altrui in male... così fa colui che converte lo ingegno buono e sottile ad aoperare il male ". Analogamente il Castelvetro e poi Scartazzini-Vandelli; cfr. anche Rossi-Frascino: " non ne lo tolga abusandone, non lo tramuti in male ". V. anche INVEGGIARE.