invecchiamento cerebrale
Ambiente e invecchiamento
Il naturale processo di invecchiamento dell’organismo si associa a un declino delle funzioni cognitive che può, almeno in parte, essere imputato a cambiamenti della plasticità neurale cerebrale. Benché siano state caratterizzate numerose disfunzioni neurologiche associate all’invecchiamento fisiologico dell’organismo, esse tendono a essere molto meno gravi delle alterazioni che si osservano in presenza di patologie quali la malattia di Alzheimer o di Parkinson.
Mentre prima degli anni Ottanta del 20° sec. era opinione diffusa che il cervello di roditore anziano subisse massicce perdite di neuroni rispetto agli stadi giovanili (una diminuzione di densità neuronale stimata tra il 10 e il 60%), l’introduzione di accurati metodi stereologici per la conta delle cellule ha in seguito consentito di dimostrare che la diminuzione del numero di neuroni non è un processo generalizzato. Piuttosto, alcune aree circoscritte, come l’area 8A della corteccia prefrontale dorsolaterale, vanno incontro a una riduzione nel numero di neuroni correlata ad alterazioni comportamentali per compiti che coinvolgono la memoria di lavoro. Analogamente, l’arborizzazione dendritica rimane per lo più invariata in molte aree cerebrali (come l’ippocampo), ma subisce riduzioni anche marcate nella corteccia prefrontale e nella corteccia del cingolo. Anche le spine dendritiche presentano alterazioni locali, poco pronunciate o assenti nel giro dentato e nell’area CA1 (Cornu Ammonis 1) dell’ippocampo ma piuttosto marcate nel subicolo. Queste evidenze trovano conferma nell’uomo. Nei soggetti anziani si evidenzia, mediante risonanza magnetica funzionale o tomografia a emissione di positroni, una ridotta attivazione della corteccia prefrontale in compiti che coinvolgono le funzioni esecutive. A livello cellulare, l’omeostasi del calcio risulta alterata a causa dell’incremento di densità dei canali per il Ca2+ di tipo L, con conseguente aumento della conduttanza per il Ca2+, direttamente coinvolta nei deficit di plasticità che si verificano durante l’invecchiamento. Inoltre, l’invecchiamento comporta la perdita ippocampale di sinapsi, in prevalenza assospinose, e la conseguente riduzione dell’ampiezza dei potenziali di campo postsinaptici eccitatori. Una ridotta densità sinaptica è stata documentata anche nella corteccia frontale di soggetti umani anziani e nelle scimmie. Nel cervello di ratti anziani, risulta deficitaria anche l’espressione di c-fos, un gene appartenente alla classe dei geni immediati-precoci coinvolti nella plasticità neurale. Le alterazioni cellulari indotte dall’invecchiamento cerebrale sono causa dei deficit funzionali a carico dei processi di plasticità sinaptica, quali il potenziamento e la depressione a lungo termine (➔). A livello comportamentale, l’invecchiamento si accompagna a una riduzione delle abilità mnemoniche che colpisce in prevalenza la memoria di lavoro, la memoria verbale e la memoria spaziale; le memorie a lungo termine e la memoria implicita, invece, sono solitamente risparmiate.
Nei modelli animali, l’esposizione a un ambiente ricco di stimoli cognitivi, motori e sociali ritarda i processi di invecchiamento cerebrale. L’allevamento di roditori da laboratorio in condizioni di arricchimento ambientale (➔ ambiente e cervello) stimola la plasticità del cervello anche nell’animale anziano, prevenendo o rallentando i processi di morte neuronale e stimolando la neurogenesi nel giro dentato dell’ippocampo. Topi anziani mantenuti in condizioni di arricchimento ambientale dai 10 ai 20 mesi di età mostrano un incremento di cinque volte dei livelli di neurogenesi ippocampale rispetto a topi di controllo mantenuti in condizioni ambientali standard. I livelli di lipofuscina, una sostanza derivante dal metabolismo lipidico indicativa dello stress ossidativo e che si accumula nei neuroni col progredire dell’età, sono ridotti in topi anziani che vivono in un ambiente arricchito. A livello comportamentale, l’arricchimento ambientale previene i deficit di apprendimento e memoria in numerosi compiti che richiedono una corretta funzionalità dell’ippocampo e della corteccia prefrontale. Nell’uomo, fattori legati allo stile di vita, quali il coinvolgimento in attività intellettuali elaborate, le interazioni sociali e l’attività fisica, potenziano la riserva cognitiva dell’individuo, stimolando il mantenimento delle funzioni mentali in vecchiaia e riducendo il rischio di sviluppare malattie neurodegenerative connesse con l’invecchiamento, come la malattia di Alzheimer. Studi epidemiologici mostrano che in donne anziane, portatrici dell’allele ApoE-4 (che costituisce un fattore genetico di rischio per l’Alzheimer familiare), il mantenimento delle prestazioni in compiti uditivi, visivi e spaziali è correlato con i livelli di allenamento aerobico. Nell’invecchiamento non patologico, il miglioramento delle prestazioni cognitive indotto dall’esercizio fisico è particolarmente marcato in compiti che richiedono controllo esecutivo (pianificazione, memoria di lavoro, esecuzione di esercizi a compito multiplo), dipendenti dalla corteccia prefrontale. Un altro fattore ambientale di notevole impatto sui processi di invecchiamento cerebrale è rappresentato dalla dieta. Studi epidemiologici suggeriscono che l’acquisizione giornaliera di vitamina E, flavonoli e acidi omega-3 riduce il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer, effetto questo esaltato dalla combinazione con l’esercizio fisico volontario. Anche la restrizione calorica contrasta gli effetti dell’invecchiamento, incrementando la durata di vita media e la resistenza contro un largo spettro di patologie legate all’invecchiamento stesso.