invasione biologica
invasióne biològica locuz. sost. f. – Fenomeno di espansione di organismi viventi in aree geografiche estranee da quelle di origine. Le i. b., generalmente, non sono spontanee, ma provocate direttamente o indirettamente dall’uomo; il fenomeno rientra in quello più complesso della dispersione, ossia il meccanismo per cui le specie biologiche si spostano. La dispersione è un fenomeno biologico fondamentale per la sopravvivenza delle specie, perché genera nelle popolazioni variabilità genetica, proteggendole da estinzioni locali dovute per es. a mutamenti ambientali locali: una specie presente in aree geografiche diverse con popolazioni diverse sopravvivrà anche se una o più popolazioni si estinguono; viceversa, una specie presente in una sola area geografica ristretta sarà vulnerabile a qualsiasi variazione locale sfavorevole. La dispersione è anche alla base della formazione di più specie a partire da popolazioni diverse, perché queste, se isolate geograficamente per un periodo di tempo sufficientemente lungo, potranno evolvere indipendentemente e originare nuove specie: è dunque fondamentale anche per la (v.).
Come avvengono le invasioni biologiche. Il fenomeno non è recente, essendo iniziato già 200.000 anni fa con i primi spostamenti umani. Le i. b. hanno poi avuto un’impennata all’inizio dell’era moderna, che si fa coincidere con l’arrivo di Cristoforo Colombo nelle Americhe (1492). Da quel momento è iniziata l’era dei viaggi, delle colonizzazioni, dei commerci con le terre oltre oceano. Gli organismi viventi hanno immediatamente colto le nuove occasioni di dispersione ed è iniziato un vero e proprio rimescolamento biologico. Molte di queste specie sono state attivamente portate dall’uomo (animali da cortile, piante ornamentali, colture), molte altre sono invece arrivate approfittando dei viaggi, soprattutto via nave: tra questi organismi marini incrostanti le chiglie delle imbarcazioni, insetti nascosti nelle piante, nelle derrate alimentari, nel legname, parassiti degli animali da cortile, semi mescolati alle sementi. Una volta iniziato, il rimescolamento non si è mai fermato, ma anzi ne è aumentato il ritmo, di pari passo con l’aumento dei viaggi e dei commerci. Dopo 500 anni il ritmo delle i. b. ha superato la soglia di sopportazione di molti ecosistemi, che non hanno avuto il tempo necessario ad adeguarsi ai nuovi arrivi. Soprattutto le isole, luoghi chiusi e fragili, hanno subito l’invasione di organismi esotici, e migliaia di specie locali, spesso endemiche, sono scomparse. Negli ambienti isolani gli equilibri ecologici sono generalmente precari, e le specie presenti relativamente poche e specializzate. In queste condizioni, l’arrivo di una o poche specie esotiche può stravolgere l’ecosistema locale. Su un’isola priva di predatori le specie locali non sviluppano strategie difensive e sono del tutto inermi di fronte all’arrivo di un predatore: molti uccelli, per es., perdono la capacità di volare e nidificano a terra. La predazione diretta non è l’unica minaccia costituita dagli esotici: le nuove specie, se riescono ad adattarsi e riprodursi, possono competere con quelle locali per le risorse, o trasmettere patologie con cui le specie isolane non sono mai venute a contatto e nei confronti delle quali non hanno quindi difese. Anche negli ecosistemi terrestri, sicuramente più complessi e plastici di quelli isolani, l’arrivo di specie esotiche può spesso avere conseguenze drammatiche. L’esempio più classico è quello dell’Australia del 18° sec., quando, al seguito degli europei, arrivarono sull’isola-continente erbe per i pascoli, selvaggina e animali domestici. Maiali, cani, gatti, martore, volpi, pecore, vacche, cavalli, dromedari, ratti e conigli ebbero un impatto devastante sull’ecosistema australiano, e causarono la rapida estinzione di decine di specie animali, soprattutto marsupiali e uccelli. All’azione degli animali esotici si sommò l’opera diretta dell’uomo: la caccia, il taglio e l’incendio delle foreste causarono stravolgimenti ambientali tali da portare all’ulteriore estinzione di specie, la più nota delle quali, il lupo marsupiale o tilacino (Thylacinus cinocephalus), è divenuto un simbolo delle estinzioni causate dall’uomo.
Situazione attuale. Oggi le i. b. rappresentano una delle principali cause di perdita di biodiversità a livello globale, perché portano fatalmente all’omologazione biologica, attraverso la sostituzione di specie autoctone con specie alloctone, che diventano cosmopolite. Per molte di queste specie si parla ormai di criptogeneticità, ossia dell’impossibilità di stabilire il luogo d’origine: le specie criptogenetiche sono semplicemente ovunque e da un tempo precedente alle prime ricerche scientifiche di carattere faunistico. Ciò riguarda soprattutto gli organismi marini, i più antichi protagonisti delle i. b., i primi a essersi diffusi da una parte all’altra degli oceani al seguito dei viaggi e dei commerci. Molti organismi marini costieri, che mai avrebbero potuto spontaneamente attraversare l’oceano, sono oggi presenti lungo le coste di tutti i mari del mondo, e non a caso le zone più ricche di queste specie sono quelle portuali. Per quanto riguarda le terre emerse, si osserva a livello globale lo stesso fenomeno: perdita di biodiversità, alta criticità per le specie endemiche di aree ristrette, omologazione, sostituzione di specie, stravolgimento degli ecosistemi. Altro aspetto importante del fenomeno delle i. b. è la comparsa o la ricomparsa di malattie e parassitosi sconosciute in molte aree della Terra, oppure note nel passato ma di cui non si registravano casi certi da decenni o da secoli. Le migrazioni umane da aree endemiche, il turismo globale di massa, gli scambi commerciali, permettono il movimento di un numero crescente di persone portatrici di malattie e il riscaldamento globale in molti casi favorisce l’espansione spontanea dei vettori, che quindi possono produrre focolai locali.
Situazione in Italia. Il nostro Paese è, tra quelli europei, uno tra i più esposti al fenomeno delle i. b., per quanto riguarda le specie sia animali sia vegetali. Specie come la nutria, la testuggine dalle guance rosse, il siluro, il gambero rosso della Luisiana, il bivalve Dreissena polymorpha, il punteruolo rosso della palma, la zanzara tigre, il cinipede del castagno, sono diventate ormai note a tutti e riempiono le cronache dei giornali quando se ne scoprono nuove popolazioni o quando causano danni economici. Ma questi organismi sono soltanto una piccolissima parte del problema e le specie di insetti, invertebrati acquatici, pesci, anfibi e persino grandi mammiferi esotici naturalizzati sono ormai migliaia. Nelle acque dolci, circa la metà delle specie di pesci è esotica, e tra gli animali marini le specie alloctone sono centinaia (v. ). Per quanto riguarda le piante la situazione è analoga: si stima che circa il 15% delle circa 7000 specie di piante vascolari spontanee che crescono in Italia sia di origine esotica. Come per gli animali, anche per le piante le specie note sono pochissime: l’ailanto, la robinia, il fico d’India e poche altre. Esiste quindi un problema d'informazione tra la popolazione e di consapevolezza della questione, che solamente da pochi anni si sta cercando di affrontare.
Prospettive. Il problema delle i. b. è ormai drammatico a livello globale e in tutto il mondo esistono enti scientifici preposti al monitoraggio e al coordinamento scientifico delle politiche di lotta alle specie esotiche, con elevatissimo dispendio economico a carico dei governi. Tra questi enti, di particolare rilievo sono l’International union for conservation of nature (IUCN) e l’Invasive species specialist group (ISSG). A livello legislativo, esistono norme nazionali e sovranazionali che regolano e limitano, per es., l’importazione e il commercio di specie animali esotiche, troppo a lungo tollerati e sottovalutati come fonte d'invasione.