Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Premessa
Nel XIX secolo non si dubita di vivere nel “secolo della scienza”: dalla filosofia della scienza alla fantascienza – passando spesso e volentieri per la teologia – un’impressionante mole di testi e di riviste di divulgazione riccamente illustrate ribadisce il punto all’infinito.
Agli occhi dello storico l’Ottocento è il secolo delle macchine. Se nel nostro tempo la tecnologia non è sempre vista come sinonimo di benessere e ci si interroga sui limiti da fissare allo sviluppo, la maggioranza dell’opinione pubblica dell’Ottocento non dubita del carattere intrinsecamente progressivo delle innovazioni tecnologiche.
L’Ottocento è anche il secolo dell’ideologia della scienza e delle profezie scientifiche, dei tentativi (falliti) di definire cosa avessero in comune tutte quelle attività che ieri come oggi – con un nome collettivo e pieno di promesse – vengono chiamate “scienza”.
Scienza e tecnologia
In realtà, sono gli sviluppi delle tecniche a incidere con un impatto dirompente sulla vita quotidiana e sul modo di concepire il passato e il futuro di milioni di nostri progenitori. Sono quei cambiamenti radicali nelle ritualità del quotidiano a conferire, più di ogni sofisticata discussione epistemologica, un’autorità senza precedenti a una visione spesso generica di scienza. Per una sorta di paradosso ben noto agli storici del periodo, nel XIX secolo gli scienziati non riconoscono volentieri dignità scientifica alle tecniche. Anche se ogni generalizzazione è rischiosa, l’aneddoto che descrive la reazione di Lord Kelvin ai primi apparecchi telefonici – “Tutto qui?” – caratterizza in modo efficace una sistematica sottovalutazione delle tecniche da parte di eminenti scienziati. Per complesse ragioni di ordine sociale e culturale, molti scienziati preferiscono esaltare gli aspetti non utilitaristici, il valore di “pura” conoscenza delle indagini sul mondo fisico o naturale, e non perdono occasione per presentare l’attività di ricerca come un’occupazione degna degli ozi del gentiluomo.
Eppure, mentre milioni di cittadini europei ed extraeuropei avrebbero capito ben poco delle ricerche di Kelvin, e mai si sarebbero sobbarcati la lettura dei ponderosi tomi del Corso di filosofia positiva di Auguste Comte, a nessuno sfuggiva come le nuove tecnologie della comunicazione, dei trasporti e degli armamenti stessero mutando il paesaggio fisico e sociale, i ritmi delle città e delle comunità umane. Nello spazio della vita di un singolo, la durata del viaggio da Oxford a Londra scende da una faticosa giornata di carrozza del 1830 (per chi se la poteva permettere) a poco più di un’ora di treno nel 1850. Il telegrafo porta informazioni da una parte all’altra d’Europa e degli imperi coloniali a una velocità vicina a quella della luce (anche quest’ultima calcolata con precisione).
Un intelligente viaggiatore italiano, il botanico Filippo Parlatore, nei primi anni Cinquanta documenta come il treno permettesse ai colleghi naturalisti londinesi di vivere in campagna e di recarsi al lavoro ogni mattina nel cuore della metropoli: un cambiamento silenzioso e di enorme portata nella storia delle città europee. Le esposizioni universali, con le loro gigantesche macchine a vapore o elettriche, fanno dimenticare la moda per i musei di storia naturale, anche se poi, a leggerne i cataloghi, la maggior parte dei prodotti esposti in quelle celebrazioni della modernità industriale è ancora costituita dai frutti della natura coloniale ed esotica.
Nuovi sviluppi disciplinari
A livello di rappresentazione colta del mondo naturale, sociale e umano, l’impatto di nuovi sviluppi disciplinari, quali la chimica organica e alla fine del secolo la chimica fisica, l’ampliamento degli orizzonti di visibilità dall’infinitamente grande (lo spazio stellare e le galassie) all’infinitamente piccolo (l’atomo e gli elettroni o la cellula e i cromosomi) e gli studi non sempre innocenti sulle popolazioni umane, sulle dinamiche sociali e psicologiche, l’esplorazione dell’inconscio psicofisico e di quello più conturbante rivelato dai sogni e dal linguaggio umano, o l’esplorazione dei rapporti di stretta consanguineità tra animali ed esseri umani sconvolgono visioni vecchie di secoli se non di millenni, mettendo in pericolo le fedi religiose (oggetto anch’esse di attenta analisi comparativa), come pure le fondamenta dell’ordine sociale ed economico. Dopo tutto, l’analisi scientifica dei sistemi di produzione condotta da Karl Marx non predice solo l’ineluttabile fine del vecchio mondo aristocratico, ma anche di quello ben più vitale e baldanzoso del capitalismo allora trionfante.
A guardare poi più da vicino il fenomeno scienza, contando semplicemente il numero di riviste specialistiche e di articoli che vengono pubblicati anno dopo anno, e con un’accelerazione particolarmente marcata a partire dagli anni Settanta, si possono constatare fenomeni di notevole interesse storico. Basta consultare il Catalogue of Scientific Papers 1800-1900 (1867-1925, Londra e Cambridge, HMSO e Cambridge University Press, 19 voll.) per osservare, ad esempio, il mutare della lingua veicolare o più usata in una particolare disciplina; dunque, sfogliando i ponderosi tomi è possibile prendere coscienza dell’ascesa, del trionfo e della caduta di vari imperi scientifici nazionali nel corso dell’Ottocento. Il Catalogue of Scientific Papers 1800-1900 è infatti un immenso progetto iniziato – e poi interrotto – dalla Royal Society di Londra, per censire tutti gli articoli scientifici apparsi in tutte le riviste europee, americane e coloniali a partire dall’anno 1800; nei primi anni del XX secolo, constatata l’impossibilità di tener dietro all’immensa esplosione di pubblicazioni in tutto il mondo, si decide di mettere fine al progetto, anche se per far uscire l’ultimo volume si deve attendere il 1925.
Lingua, scienza e potere
Nel XIX secolo, comunque, non sfugge certo lo stretto rapporto tra lingua, scienza e potere politico o militare; nei mesi e negli anni successivi alla disastrosa sconfitta della Francia nella guerra franco-prussiana del 1870, alcuni commentatori inglesi e francesi osservano come nell’anno fatale dello scontro, dei circa 2.500 articoli di chimica e di chimica organica pubblicati in Europa, circa 2.000 fossero stati scritti in tedesco, e si interrogano a ragione su cosa sarebbe accaduto se la guerra fosse stata tra Prussia e Inghilterra. La preoccupazione non è certo infondata, se si pensa che ancora nel 1915, quando la prima guerra mondiale aveva già fatto decine di migliaia di vittime, le industrie belliche inglesi continuavano a pagare diritti di sfruttamento di brevetti per esplosivi alle industrie chimiche tedesche.
Nel campo delle scienze naturali, la lingua francese – praticamente maggioritaria sino al 1830 – deve vedersela con l’inglese e il tedesco per la geologia, la paleontologia, la zoologia e la botanica (perdendo fortemente terreno nel dibattito sull’evoluzione, patrimonio anglo-tedesco) e per le discipline di laboratorio, pur mantenendo un’ottima posizione in settori quali la fisiologia sperimentale, l’embriologia e l’antropologia. In un Paese come l’Italia si continuano a pubblicare decine di riviste, spesso di interesse e circolazione locali, che pochi ormai leggono fuori dai confini nazionali. Così, le fondamentali scoperte di Camillo Golgi sulla struttura del sistema nervoso e i suoi studi pionieristici che portano all’individuazione delle cellule del sistema nervoso centrale (chiamate poi “neuroni” dai nemici di Golgi) per lungo tempo non vengono prese sul serio: le riviste su cui vengono annunciate non riescono a varcare le Alpi.
Il personale scientifico
Se poi si volesse apprendere qualcosa sulla composizione umana della comunità scientifica internazionale del XIX secolo, il grande repertorio bio-bibliografico iniziato nel 1858 (e ancora in corso) dal tedesco Johann Christian Poggendorf – che non si preoccupa affatto di censire solo i primi della classe, ma tutti coloro che hanno pubblicato articoli in riviste scientifiche – rivela la crescita costante del personale scientifico per tutto il corso del secolo.
Una carriera nella scienza sta ormai diventando un’alternativa all’ingresso nelle fila del clero o della manodopera industriale per molti giovani intraprendenti e dotati di qualche ambizione; verso fine secolo, solo lentamente e con estrema riluttanza le porte della cittadella della meritocrazia scientifica si aprono alle donne.
A partire dalla Francia napoleonica, gli Stati più sviluppati, ma non solo – molti Paesi balcanici, arabi, o le amministrazioni coloniali offrono ricche consulenze a geologi, agronomi, ingegneri, chimici, matematici e fisici europei– aumentano il numero del personale scientifico presente a vario titolo nelle loro amministrazioni, così come molte industrie hanno bisogno di personale tecnico dotato di una buona istruzione scientifica di base. Lo sfruttamento intensivo delle risorse minerarie in patria (si pensi al carbone in Inghilterra, in Belgio o in molti Stati tedeschi) o nelle colonie rende necessarie grandi e costose opere di rilevamento, come le carte geologiche del territorio nazionale o dei possedimenti, e molti Stati si dotano anche di carte idrologiche o agricole.
Investimenti significativi si fanno anche nel settore dell’agricoltura e delle tecnologie per la produzione e la conservazione di derrate alimentari, per porre rimedio a malattie devastanti per le culture vegetali (drammatici furono gli effetti della malattia della patata degli anni 1840) e l’allevamento degli animali.
Scienza e Stato
Gli Stati prendono a investire anche nella salute pubblica, dapprima per combattere flagelli oggi non più presenti in Europa o negli Stati Uniti, come il colera, poi per la salute pubblica dei grandi conglomerati urbani (approvvigionamento di acqua potabile, lotta alle malattie infettive o sessualmente trasmissibili come la sifilide, rimedi al rachitismo e alla denutrizione che mettevano in pericolo la leva militare) o per trovare misure contro seri ed economicamente gravissimi accidenti, quali la diffusione della fillossera della vite. Per non parlare delle sovvenzioni statali sotto forma di enormi commesse alle crescenti industrie degli armamenti e delle costruzioni navali, due settori cruciali per la competizione nella conquista di nuove colonie, o lo sviluppo di grandi industrie come quella dell’elettricità o della comunicazione telegrafica.
Nel settore dell’istruzione pubblica e della ricerca universitaria, la fondazione di nuove facoltà di scienze e di istituzioni statali specificamente dedicate a determinate discipline o gruppi di discipline, o l’entrata in azione – soprattutto verso la fine del secolo – di fondazioni private o semiprivate, svolgevano il ruolo di moltiplicatori dell’innovazione teorica e sperimentale, della diffusione dell’informazione e della divulgazione scientifiche. E ovviamente aprivano spazi crescenti alla creazione di posti di lavoro nel settore della ricerca scientifica e tecnologica.
Epistemologia e ideologia della scienza
Perché parlare allora del secolo dell’ideologia della scienza? Perché in effetti ben poco di quanto descritto sinora entra a far parte della riflessione sulla scienza e sulle tecniche che si sviluppa nel corso dell’Ottocento. Così il dibattito filosofico, sia da parte degli scienziati sia da parte di filosofi professionali favorevoli o contrari agli sviluppi della ricerca scientifica, si concentra di preferenza sugli aspetti teorici o più specificamente epistemologici della produzione delle conoscenze scientifiche. La riflessione critica si concentra sulle pubblicazioni di settore, dà voce a riflessioni politiche, sociali e di ordine economico sulle meraviglie della scienza, come pure alle lamentele degli immancabili cantori della purezza del piccolo mondo rurale in via di estinzione; viene prestata scarsa attenzione agli aspetti istituzionali e alla strutturazione sociale delle pratiche scientifiche; si tende spesso a negare che le tecniche abbiano un qualche interesse per la riflessione culturale o filosofica.
In generale, dinanzi al proliferare di settori di ricerca sempre più specializzati, e spesso dotati di linguaggi simbolici altamente tecnici, si tende con ammirevole tenacia a costruire modelli di metodo scientifico desunti da – e di fatto applicabili solo a – alcuni settori delle scienze fisico-matematiche, che vengono rappresentati come gli aspetti più alti e più qualificanti della scienza moderna, cui ogni altra forma di impresa conoscitiva avrebbe dovuto adeguarsi. Nei dibattiti epistemologici i corifei del sapere scientifico rivendicano per i risultati delle proprie pratiche teoriche e sperimentali il titolo di verità certa e assoluta, attestata dal rigore del formalismo matematico e dalla capacità di previsione dei comportamenti fenomenici, in piena contrapposizione alle presunte verità delle varie metafisiche, religioni, credenze del senso comune. Anche coloro che, come Auguste Comte agli inizi del secolo, o Ernst Mach alla fine, non riconoscono una portata ontologica alle leggi scientifiche, sottolineano tuttavia come le procedure e il linguaggio della scienza moderna rappresentino una rottura sostanziale rispetto a tutte le forme precedenti di sapere, e in ogni caso la più alta forma di “verità” raggiungibile dagli esseri umani.
Scienze e tecniche di successo
Nel settore in prorompente sviluppo delle scienze della vita, sia di osservazione sia di laboratorio, dove la quantificazione di tipo matematico risulta ancora applicabile solo ad aspetti molto limitati, l’attenzione pubblica e di molti commentatori si concentra su modelli esplicativi come il darwinismo, o il riduzionismo psicofisico e fisiologico, ignorando completamente interi settori disciplinari, come ad esempio la tassonomia animale e vegetale classica o le ricerche dei naturalisti sul campo che proseguono il loro lavoro lontano dal rumore dei grandi dibattiti sul posto dell’uomo nella natura. Per l’uomo della strada, la sconfitta del vaiolo e, verso la fine del secolo, la comprensione del meccanismo di trasmissione della malaria o ancora – elemento ben più significativo – lo sviluppo di anestetici che leniscono in modo radicale il terrore degli interventi chirurgici contribuiscono ad aumentare le attese nei confronti della medicina scientifica.
In altre parole, le scienze e le tecniche dell’Ottocento conoscono sviluppi e forme di radicamento nella vita quotidiana di stati e di individui che il dibattito filosofico, preoccupato delle implicazioni sociali, politiche, razziali, teologiche ed epistemologiche di questa o quella “scoperta” non riesce e non vuole cogliere.
Infine non è da sottovalutare la presenza, per tutto il secolo e oltre, di tradizioni di ricerca che godono di grande popolarità e che gli storici della scienza tendono sistematicamente a espungere dalle loro trattazioni, o a relegare tra le bizzarrie del secolo. I tentativi della frenologia di leggere sulle protuberanze del cranio le caratteristiche intellettuali e morali dell’individuo vengono seguiti con estremo interesse da teologi come Richard Whately, arcivescovo di Dublino e fondatore della prima cattedra di economia politica ad Oxford (1825), da pittori come Géricault o David e da scrittori come George Eliot. L’idea tipicamente frenologica che le persone molto intelligenti hanno una fronte alta e fortemente scolpita riemerge così nei ritratti e nei busti di Beethoven, o nel modo in cui ancor oggi film molto popolari e programmi televisivi pseudoscientifici speculano sull’aspetto fisico di un improbabile extraterrestre. Le elucubrazioni settecentesche di un Mesmer sul fluido magnetico proprio a ogni forma di vita hanno una ripresa e una fortuna inattese nell’Ottocento e contribuiscono alle teorie che intendono fondare le dubbie pratiche dell’ipnotismo. Fatto ancor più sorprendente per chi crede in un razionalismo scientifico da manuale, non pochi positivisti accesi partecipano attivamente a sedute spiritiche, convinti che vi siano in natura forze ed energie ancora poco comprese, e non esitano a comperare a caro prezzo foto di fantasmi, come ancor oggi si comprano foto di oggetti volanti non identificati fatti in casa.
Gustav Theodor Fechner, uno dei fondatori della psicologia sperimentale, famoso per i suoi studi sul rapporto logaritmico tra stimolo e sensazione, si dichiara convinto che anche le piante abbiano un’anima e ripropone antiche forme di panpsichismo.
Seri scienziati – anch’essi uomini del loro tempo – abbracciano con zelo teorie razziste fondate sulla misurazione di crani e di nasi, e sofisticati calcoli matematici vengono impiegati per studiare il modo di preservare il genio innato delle élite sociali dalle contaminazioni di indesiderabili incroci con esseri delle classi inferiori. Il nome “scienza” viene così applicato con generosa larghezza anche ai ricorrenti e sempre fortunati tentativi di giustificare il dominio dei pochi e lo sfruttamento dei molti.