Introduzione alla musica dell'Alto Medioevo
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La concezione della musica nel Medioevo è alquanto diversa da quella moderna. La musica è considerata oggi, in Occidente, un’arte (l’arte dei suoni) e/o una pratica espressiva “che ha direttamente nel sentimento il punto di partenza e quello di arrivo” – come afferma Hans Heinrich Eggebrecht nel celeberrimo Che cos’è la musica? – mentre nelle teorie medievali è anzitutto una scienza, la “scientia de numero relato ad aliud”, cioè la disciplina matematica che si occupa del numero in relazione “ad altro”, ove l’“altro” è tanto il suono materiale quanto ogni altra realtà terrena e celeste nella quale è possibile rintracciare ordine, proporzione e armonia. Eredi della concezione antica, i medievali inquadrano i saperi musicali nell’ambito della mathesis, cioè, come ribadisce ancora Eggebrecht, “sul concetto dell’ars musica come componente del quadrivio delle arti matematiche”. In effetti, è proprio nel corso del Medioevo che ha inizio la parabola di trasformazione della musica da scienza ad arte, intesa in senso moderno. Tale evoluzione è resa possibile da molti fattori, ma uno risulta alquanto determinante per innescare questo processo: l’oggettiva necessità di adattare i contenuti essenziali della matematica musicale antica a uno specifico repertorio di canti, il canto gregoriano, nato in età carolingia quale linguaggio musicale ufficiale della Chiesa cattolica. L’ars cantus, l’arte del canto, è la dimensione teorica di una musica concreta, ispirata dal culto coevo.
Seguendo questa linea di demarcazione fra pensiero speculativo sulla musica e prassi musicale, il nostro percorso nella storia della musica medievale parte proprio dalla concezione del canto negli scritti dei Padri della Chiesa, che fungono da ponte fra tarda antichità e Medioevo. I Padri, infatti, provano un interesse particolare per la musica, intesa appunto quale scienza matematica, secondo la tradizione filosofica platonico-pitagorica, ma non mancano di fare riferimenti puntuali al canto nelle funzioni religiose, cercando in vari modi di collegare la prassi virtuosa della lode canora a Dio con la “musica” che il mondo intero intona al Creatore. Il tema antico dell’armonia prodotta dalle sfere celesti, derivata dal pensiero dei grandi filosofi e scrittori del passato, Platone anzitutto, è quindi aggiornato alla luce della Bibbia e adattato alla nuova sensibilità religiosa. Agostino di Ippona si colloca su questa stessa linea interpretativa, anche se il suo giudizio sulla pratica del canto a fini liturgici resta un punto controverso del suo complesso pensiero estetico, come evidenziano le trattazioni dedicate ai due maggiori teorici della musica fra tarda antichità e Medioevo: Agostino e Boezio.
Se il dialogo De musica di Agostino offre i principi cardine dell’estetica musicale medievale, il trattato De institutione musica, scritto dal filosofo romano Severino Boezio è invece l’opera principale dalla quale i medievali, a partire dall’età carolingia, traggono i fondamenti della teoria musicale. Boezio infatti adatta il sistema greco di organizzazione dei suoni a una scala musicale definita da rapporti matematici, che i medievali a loro volta riadatteranno alle esigenze del canto e alla classificazione delle melodie gregoriane in gruppi modali. Ma il trattato di Boezio è parimenti noto anche per il tema platonico dell’armonia cosmica, che il filosofo romano vede realizzata nell’inudibile musica delle sfere.
Proseguendo nel nostro percorso relativo al pensiero musicale alle soglie del Medioevo, ci rendiamo conto che l’interesse verso la musica non è stato appannaggio dei soli autori cristiani (non sarà inutile sottolineare che il trattato musicale di Boezio non si occupa affatto di canto liturgico), ma anche degli ultimi maggiori autori pagani. Nelle opere filosofiche enciclopediche che si collocano fra tarda antichità e Medioevo scritte da quegli intellettuali formatisi nella cultura della tarda classicità imperiale – in particolare Marziano Capella e Macrobio – la riflessione sulla musica continua nel solco della concezione antica di scienza matematica e teoria dell’armonia cosmica. Nessun trattato di musica viene scritto nel periodo che intercorre fra Boezio e l’età carolingia (IX sec.), ma nelle opere enciclopediche redatte da monaci e vescovi, soprattutto quelle di Cassiodoro, contemporaneo di Boezio, e di Isidoro di Siviglia, la musica viene presentata rileggendo anche i testi pagani sull’armonia cosmica attraverso il linguaggio simbolico della Bibbia.
Solo dietro l’impulso della riforma promossa da Carlo Magno nel IX secolo si registra una crescita dei trattati di teoria musicale dopo una fase di lungo silenzio seguita alla grande fioritura della trattatistica musicale di età patristica ed enciclopedistica (IV-VII sec.). Mentre in quel caso erano stati consegnati al Medioevo i fondamenti della riflessione musicale antica e tardoantica greco-romana, con un’impostazione essenzialmente matematico-filosofica, la trattatistica carolingia, dovendo fornire un inquadramento teorico al nuovo repertorio gregoriano, è più attenta alla prassi.
Ma l’interesse dei medievali per la musica va ben oltre le esigenze di codifica e trasmissione dei canti. Nelle Sacre Scritture, infatti, il cristiano trova innumerevoli riferimenti al canto e agli strumenti musicali, e la ricchezza di citazioni, oltreché l’incitazione alla lode divina con canti, inni, cetre, salteri, cembali e tube, è indubbiamente uno stimolo irresistibile per gettare dei ponti fra terra e cielo. L’immaginario musicale, che dalla Bibbia passa all’iconografia sacra, ha la funzione di toccare l’animo del fedele nel cammino di luce e di grazia. La forza dell’ispirazione dell’artista medievale ricolma i cieli di una vera e propria "orchestra angelica", a sottolineare come l’antica musica degli astri sia ora soprattutto un canto dei beati. Avvicinarsi a queste rappresentazioni non può che farci riflettere sulla stratificazione dei loro rimandi storici, religiosi e culturali.
Un percorso assai più tortuoso e oscuro segna l’evoluzione della musica profana. Assolutamente priva di notazione, essa resta ai margini degli interessi dell’intellettuale medievale, che vi si riferisce, da uomo di chiesa, solo per ribadirne l’inappellabile condanna. Legata alla stessa sorte è anche la danza, che compare nelle fonti documentarie in forme non immediatamente storicizzabili, ma comunque connesse al non meno oscuro sviluppo del teatro medievale, religioso ma anche profano: praticata nelle piazze o nelle chiese, nelle aie di campagna o nel chiuso delle abitazioni dei potenti, la danza risulta una delle manifestazioni più evidenti dell’ambivalenza del corpo nel Medioevo, mezzo di esibizione di sé, ma anche fonte di esperienza dei propri moti interiori, sede del peccato, ma anche strumento di redenzione e di salvezza.