Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel corso del Quattrocento la musica compie un’importante trasformazione, seguita alle trasformazioni della società e della cultura del secolo. Non più (solo) appannaggio di ecclesiastici e monaci, il linguaggio musicale scritto viene coltivato diffusamente nelle corti e nei “circoli intellettuali” cittadini. La figura del musicus, che nel Medioevo si identificava anzitutto col monaco maestro di canto e trattatista – basti pensare al più celebre di tutti, Guido d’Arezzo – è adesso prevalentemente un laico o un ecclesiastico al servizio di nobili, o ingaggiato quale maestro cantore nelle cappelle private o nelle chiese cattedrali.
Assai spesso il musicista riunisce insieme le figure del teorico della musica, del compositore e perfino dell’esecutore, ruoli professionali che nel Medioevo erano ben distinti. Dunque, la distanza fra la scienza speculativo-teorica della musica e la pratica compositiva ed esecutiva tende ad attenuarsi, favorendo il consolidarsi dell’idea “moderna” di musica come arte dei suoni. In conseguenza di ciò, i trattati del tempo si indirizzano in modo più circostanziato alle questioni di pratica, soprattutto di polifonia, e anche le opere più speculative, ove rimane viva la tradizione boeziana, si focalizzano su problemi di interesse pratico, come i sistemi di accordatura degli strumenti, che accendono scontri vivaci fra i maestri.
Autori di queste importanti trasformazioni sono musicisti per lo più provenienti dai Paesi Bassi, formati nelle importanti scuole cattedrali di Cambrai e di altri centri fiamminghi, e ingaggiati, spesso con cospicui salari, dai nobili delle corti, soprattutto italiane. Il musicista è, quindi, a buon diritto, un professionista della musica al servizio di signori e potenti: di fatto, un servitore, o “uomo in livrea”, figura professionale contro la quale si ribellerà, tre secoli dopo, il genio di Mozart, e che perdurerà fino all’età di Beethoven.
Le forme musicali
Sul versante delle forme musicali, il Quattrocento è stato giustamente definito “età della chanson”, per il dominio di questo genere poetico-musicale nelle corti di tutta l’Europa centrale.
Con la chanson il linguaggio polifonico subisce una notevole trasformazione: le astrusità e subtilitates compositive della trecentesca ars nova tendono a sparire, in favore di un fraseggio melodico più orecchiabile, dell’emergere sempre più evidente della voce superiore, alla quale è ora spesso affidata la linea del canto, e del polarizzarsi dei registri nei quattro che si standardizzeranno nella polifonia vocale “a cappella”: bassus, tenor, altus e cantus (il “soprano”).
Ma l’egemonia della chanson si esaurisce nella seconda metà del secolo, quando nuove forme “nazionali” cominciano a svilupparsi e a divenire popolari, come la frottola nelle corti italiane. Inoltre, anche il versante della polifonia liturgica è investito da un’aria nuova, tanto nel mottetto, grazie all’impiego di un fraseggio più scorrevole e melodico, anche se ancora prevalentemente fondato sulla tecnica dell’isoritmia, quanto nelle messe polifoniche, per l’affermarsi del principio compositivo del cantus firmus in tutte le sezioni dell’ordinario (cioè l’impiego di una stessa melodia come base per il contrappunto), ricorrendo anche a melodie profane: basti pensare alla grande fioritura delle missae “L’homme armé” .
Il ruolo sociale della musica
La fruizione sempre più allargata alle diverse classi sociali fa sì che fra i cultori della musica non ci siano solo le figure professionali che abbiamo ricordato, ma anche gli stessi signori e le nobildonne, per i quali e le quali è segno di distinzione sociale coltivare questo “svago e ozio” raccomandato da Aristotele.
Fra le dame che si contendono la magnificenza dell’ entourage e del patronato musicale primeggiano le “rivali” Lucrezia Borgia e Isabella d’Este, mentre primo fra i nobili cultori della musica è Lorenzo de’ Medici, patrono delle arti e del sapere, che, a quanto risulta dai documenti disponibili, ha un ruolo attivo nella promozione e nella diffusione di quest’arte, non solo per le occasioni private, bensì anche per le ricorrenze cittadine, perfino profane. Esemplare è il caso delle feste carnevalesche, poi censurate sotto il controllo politico del Savonarola, per le quali il Magnifico è stato accreditato come autore dei famosi “canti carnascialeschi”, componimenti di facile esecuzione che però lasciano trapelare dai testi un messaggio intellettuale che riflette il background culturale umanista del suo circolo.
In questo quadro culturale aperto all’idea della musica come svago e passatempo intellettuale, anche la musica strumentale e la danza emergono infine e trovano un loro ruolo sociale: non più denigrate o tenute in sospetto per essere fonti di piacere sensuale, danza ed esecuzione strumentale, sono adesso coltivate nelle corti, nelle città, fra i nobili e anche fra i borghesi. Anzi, proprio alla danza è affidato un ruolo sociale significativo, in quanto le modalità di esecuzione di generi coreutici specifici nelle occasioni pubbliche servono a marcare i ruoli sociali di appartenenza. Il maestro di ballo e una specifica trattatistica si aggiungono quindi stabilmente ai vari contesti di elaborazione e fruizione della musica che segnano la cultura umanistica.
Un discorso analogo vale per la musica strumentale, che, pur “penalizzata” dall’assenza di una tradizione scritta precedente, è ora al centro dell’interesse nelle corti e nelle città, come attesta con evidenza l’arte figurativa, restituendoci esempi significativi di dame e signori intenti alla pratica del canto accompagnato. Cominciano ad apparire opere di organologia, nelle quali gli strumenti perdono il loro valore simbolico-biblico e sono piuttosto catalogati a seconda delle loro funzioni, anche politico-sociali: la più importante distinzione resta quella fra “alti” e “bassi”. Il liuto – con altri strumenti a corda – domina la scena figurativa, ma anche strumenti a tastiera come clavicembali, e naturalmente l’organo per la musica sacra, sono al centro dell’interesse figurativo e dei trattati, preannunciando così la “rivoluzione” musicale che, di lì a breve, comincerà a delinearsi.