Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Se la ricerca di un collegamento diretto, e non soltanto ideale, con i modelli formali greci (e romani) e con quello che si ritiene (o si immagina) esser stato lo spirito del mondo antico è il carattere principale (ma non unico, in un gioco complesso e anche contraddittorio di mediazioni) delle arti figurative, dell’architettura e anche delle lettere di quell’età che chiamiamo Rinascimento, quest’elemento fondante manca alla musica. Infatti, se il mondo antico può trasmettere agli “scopritori” del Cinquecento i suoi segni concreti (e mitici) nella cultura visiva, letteraria e filosofica, pressoché nulla può ormai offrire, di sopravvissuto, all’ansia di “ritorno all’antico” dei musicisti.
La cultura musicale del Cinquecento si distingue dalle altre espressioni artistiche del secolo per un elemento essenziale: se la ricerca di un collegamento diretto, e non soltanto ideale, con i modelli formali greci e romani e con lo spirito del mondo antico è il carattere principale delle arti figurative, dell’architettura e anche delle lettere dell’età rinascimentale, quest’elemento fondante manca alla musica. Infatti, il mondo antico può trasmettere agli umanisti del Cinquecento i suoi segni concreti nella cultura visiva, letteraria e filosofica, ma non può offrire opere canoniche all’ansia di “ritorno all’antico” dei musicisti.
In tale ambito, la poesia può risalire fino a Pindaro (e anche oltre) per cercare un’identificazione che le consenta di elaborare nuovi concetti e nuove forme capaci di esprimere i nuovi sentimenti “laici” che fermentano entro una società in evoluzione; analogamente, le arti visive possono confrontarsi concretamente con i monumenti dell’età greco-romana per superare la “decadenza del Medioevo” e recuperare la dimensione di una rappresentazione del mondo fondata sulla ricomposizione di regole attinte da un’età ritenuta “perfetta”; la musica invece partecipa a questo movimento in uno spazio esclusivamente concettuale, senza confronti con testi che esemplifichino le pratiche antiche. È così che la presenza della musica nel processo di rinnovamento del Rinascimento si realizza perseguendo un suo recupero del “profano” e una sua riconduzione dello spirituale e del religioso in uno spazio “umano”, secondo lo stesso disegno di riscoperta “naturalistica” delle altre arti.
È però soltanto nell’ultimo quarto del secolo, con la fiorentina Camerata de’ Bardi, che la musica riesce a trovare un geniale surrogato della ritrovata “classicità” delle altre arti e a proporne la “sua” interpretazione: in assenza di modelli e sul filo della memoria tramandata dalla trattatistica, è nel teatro musicale che si individua un collegamento possibile con il mondo antico. Nell’ambizione di restaurare l’antica tragedia greca, ritenuta capace di commuovere gli uomini fino a ottenere effetti purificatorii, viene così a maturare l’opera in musica, destinata a esprimere per molti, nei secoli seguenti, l’idea stessa di musica. La monodia e il “recitar cantando”, immaginata essenza della musica greca, consentendo di recuperare un’eredità altrimenti perduta e di connettere passato mitico e presente, costituiscono la vera rivoluzione “rinascimentale” della musica.
In Italia le chiese e le corti alimentano senza conflitti una produzione musicale che riflette la ricchezza culturale di quel periodo e la sontuosità “umana” delle manifestazioni sia religiose che laiche. È l’Italia il luogo centrale di queste manifestazioni musicali che sono uno strumento primario di rappresentazione di potere e di raffinatezza sia della Chiesa sia delle corti signorili. Negli altri Paesi europei le vicende politiche e militari non consentono un eguale sviluppo di produzione. Soltanto con il superamento dei tragici sconvolgimenti portati dalla guerra dei Cento anni, delle guerre di religione e delle rivolte contadine consentirà alla Germania, alle Fiandre, alla Francia e all’Inghilterra una viva ripresa anche nell’ambito della vita musicale.
Nell’ambito della musica liturgica, cruciale è l’incidenza della Riforma e della Controriforma: nel primo caso, nella musica religiosa protestante il latino viene sostituito dal tedesco e ci si riferisce non più alla tradizione del canto gregoriano, ma a materiali musicali di origine popolare, soprattutto tedesca, con una notevole semplificazione, funzionale a consentire una partecipazione comunitaria. La Controriforma ha profonde ricadute soprattutto nelle complesse e rigogliose produzioni romane, nelle quali fondamentale pietra di paragone sono le messe e i mottetti di Palestrina, mentre in Italia l’altro principale polo di attrazione è costituito dalla musica sacra realizzata a Venezia da grandi maestri quali Andrea e Giovanni Gabrieli. La musica vocale profana cinquecentesca ha le sue manifestazioni più significative nelle chansons e nei madrigali: la canzone polifonica si sviluppa soprattutto in Francia, dove Janequin e altri autori coevi combinano la sapienza compositiva fiamminga ed elementi popolareschi, eleganze contrappuntistiche e ritmi di danza, sentimentalità malinconica e toni scherzosi. Il madrigale nasce invece in Italia dal connubio tra i compositori fiamminghi e la poesia petrarchesca: la sua “prima prattica” (attuata da compositori quali Arcadelt e Verdelot) incarna gli ideali di armonia, soavità e dolcezza propugnati nelle principali corti italiane, diffondendosi poi in tutta Europa, con esiti particolarmente notevoli e originali in Inghilterra. Contemporaneamente, la musica strumentale, pur godendo ancora di un’importanza inferiore a quella della musica vocale, comincia ad assumere un’identità che va oltre le tradizionali funzioni di accompagnamento di danze e cerimonie rituali o di sostituzione e rinforzo delle parti vocali: a questo cambiamento di condizione, sancito dall’inserimento di un numero sempre più ampio di queste musiche tra quelle scritte e stampate, corrisponde la nascita, accanto ai generi più legati alle funzioni precedentemente assolte (quali la Suite di danze e la Canzone da sonar), di nuovi generi, quali l’invenzione, il ricercare, la fantasia e la toccata.
Sulla fine del secolo, mentre Vincenzo Galilei e i suoi compagni di incontri in casa Bardi danno vita alla nuova esperienza monodica e pongono le basi dell’opera in musica, il madrigale italiano esaspera la sua ricerca di un intenso rapporto fra la parola e la musica, fino al punto di mettere in secondo piano il senso generale del testo concentrandosi di volta in volta su singole immagini, cui vengono fatte coincidere soluzioni compositive sempre più audaci. Queste caratteristiche segnano chiaramente una “seconda prattica” (con autori quali Luca Marenzio, Orlando di Lasso, Gesualdo da Venosa e Claudio Monteverdi), che si allontana dagli ideali di equilibrio e di superiore proporzione che avevano fino ad allora guidato le sorti musicali, in direzione di una modalità più intensamente “affettiva” che darà impronta al nuovo secolo e all’età barocca.