Introduzione alla letteratura dell'Alto Medioevo
Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’incontro nel Limbo fra Dante e i poeti antichi della “bella scola”, messo in scena nel IV canto dell’Inferno, è parso a uno dei massimi critici letterari del Novecento, Ernst Robert Curtius, un episodio straordinariamente rivelatore. Giunge qui a compimento quel lungo e laborioso processo di confronto fra la nuova cultura cristiana e l’eredità della letteratura classica: il processo che fonda la tradizione europea attraverso la fusione della spiritualità cristiana con il patrimonio letterario antico.
Tale processo appare però complesso e contrastato e vede l’alternarsi di momenti di maggiore ricettività a momenti di resistenza e opposizione. Il difficile equilibrio, la ricerca di formule che permettano di conservare il retaggio culturale, letterario, retorico classico e di piegarlo alle esigenze della nuova cultura cristiana vede impegnati i Padri della Chiesa e i massimi intellettuali dal IV al VI secolo. In Girolamo, il traduttore della Bibbia in latino, la cultura classica, di cui pure egli era profondamente nutrito, viene respinta nella sua autonomia e legittimata solo in quanto utile alla costruzione di un discorso strettamente cristiano. Il suo contemporaneo Agostino si mostra più aperto a riconoscere la validità delle dottrine e specie del patrimonio retorico e letterario antico, la cui conoscenza è indispensabile anche per il chierico, cioè l’intellettuale cristiano. E l’immagine biblica che egli invoca è quella degli oggetti preziosi rubati dagli Ebrei nella loro fuga dall’Egitto: allo stesso modo i cristiani si devono impossessare della preziosa cultura retorica classica e utilizzarla per interpretare la Bibbia e per costruire la nuova letteratura cristiana.
La ricerca di una sintesi che accolga il sapere degli antichi e lo rielabori in forme efficaci per la nuova spiritualità cristiana, ma anche per le esigenze della vita pubblica, è portata avanti nel VI secolo soprattutto da Boezio, con particolare riguardo al sapere filosofico, logico e matematico, e da Cassiodoro, attento specialmente a quello grammaticale e retorico, anche in funzione delle necessità documentarie dell’amministrazione dello Stato.
Nell’alternarsi delle fasi di resistenza e disponibilità un altro momento positivo di apertura e ripresa del rapporto con il retaggio classico è quello della riforma carolingia, con la riorganizzazione e il rilancio dell’istruzione da parte di Alcuino e dei suoi collaboratori. Ma se i meriti della riforma carolingia sono straordinari, oggi si tende a ridimensionare l’importanza che in essa assume il rapporto, pur significativo, con l’eredità classica, che giunge mediata e integrata dalla tradizione cristiana. Nonostante queste limitazioni, sono degne di nota la presenza dei testi classici nelle biblioteche carolinge e l’attività di produzione manoscritta che coinvolge, oltre ai testi cristiani, anche numerosi e importanti testi classici.
La letteratura classica si impone all’attenzione e all’imitazione, pur con le prudenze di cui si è detto, per la propria eccellenza linguistica e retorica. Non a caso l’insegnamento delle arti del linguaggio è sempre connesso al culto per le lettere classiche. E attraverso le trattazioni manualistiche grammaticali e retoriche continuano a essere proposti esempi provenienti dagli scrittori classici, sino al tentativo, avviato in epoca carolingia, di sostituire l’esemplificazione pagana con quella, alternativa o integrativa, tratta dalla Bibbia e dagli scrittori cristiani.
Ma accanto ai tentativi sempre più incisivi di operare una profonda cristianizzazione della grammatica e della retorica, di cui sempre più si riscopre il valore civile, e della dialettica, che penetra progressivamente nel dibattito teologico, le arti del linguaggio sono anche studiate e praticate per la loro forza inventiva e per l’opportunità che offrono di sottili sperimentazioni e riflessioni metagrammaticali, come quelle perseguite nel VI secolo da Virgilio Grammatico.
Nella molteplice attività poetica che attraversa la cultura letteraria dei secoli altomedievali, accanto alle ultime grandi opere della poesia pagana (che però non vanno oltre il VI secolo) si dispiega la grande poesia cristiana, già nel V-VI secolo: in Africa con Draconzio; in Gallia con Avito e Venanzio Fortunato; in Italia con Ennodio. Ma negli ambienti monastici celtici, fra Inghilterra, Galles e Irlanda si sviluppa anche una poesia ispirata al gusto per l’enigma e la sperimentazione linguistica, sia lessicale che sintattica, testimoniata tra l’altro da una celebre raccolta irlandese del VII secolo, gli Hisperica famina. E anche la potente vitalità che tocca ogni genere poetico nel corso della “rinascita carolingia” appare profondamente nutrita della poesia classica.
Ma, accanto all’elemento classico, la polifonia della letteratura altomedievale si arricchisce del contributo del patrimonio leggendario, mitico e storico dei popoli germanici, particolarmente significativo nella letteratura storiografica e nella poesia epica, che culmina con un memorabile capolavoro “barbarico” e insieme cristiano come il Waltharius (IX-X secolo) e giungerà più tardi al Nibelungenlied.
L’altro polo della cultura altomedievale, quello più attivo e vitale, è costituito dalla molteplice attività letteraria che si esercita intorno al Testo Sacro. La Bibbia è oggetto di indagini filologiche, volte alla definizione del canone e alla ricerca del testo più corretto, e di grandi imprese di traduzione, fra cui risulta decisiva quella di Girolamo fra IV e V secolo, che dopo qualche iniziale resistenza si impone nell’uso della Chiesa, tanto da ricevere il nome di Vulgata. E intorno alla Bibbia cresce ogni altra forma di espressione letteraria. Il lavoro incessante di lettura e di interpretazione del Testo Sacro con cui si misura ogni intellettuale di rilievo è testimoniato dall’imponente letteratura esegetica, ma anche la predicazione si incentra principalmente sul commento alla pagina sacra. Nella Bibbia trovano il fondamento la scrittura teologica e quella mistica, che pure si alimentano anche di suggestioni diverse ed estranee, in particolare del neoplatonismo. E la volontà di istituire un epos cristiano che si sostituisca a quello antico e pagano incontra nel testo biblico un inesauribile repertorio tematico, e la possibilità di creare grandi poemi che riscrivano con il linguaggio epico le vicende storiche e religiose narrate nella Bibbia. E dalla Bibbia trae continuo nutrimento anche l’innologia legata al canto e alla liturgia, sia nel mondo latino che in quello bizantino.
Ma l’esperienza di lettura e interpretazione della Bibbia offre pure la chiave per leggere e interpretare la realtà. Il Testo Sacro è concepito infatti come portatore di significati multipli: non solo di un senso letterale e storico, ma di una pluralità di sensi allegorici, di volta in volta figurali, morali, anagogici. E analogamente anche l’altro libro scritto da Dio, la Natura, viene inteso come composto da un insieme di segni che devono essere interpretati in quanto veicoli di significati che li trascendono e che riguardano le verità di fede, i misteri divini, le realtà spirituali. Ma essi possono anche caricarsi di un senso morale e offrire una rappresentazione simbolica dei comportamenti umani giusti e santi, da proporre all’imitazione come modelli positivi, e di quelli colpevoli e peccaminosi, da indicare come esempi da fuggire.
Questo approccio allegorico alla realtà naturale contraddistingue la letteratura “naturalistica” dal Fisiologo greco (III secolo) sino alle enciclopedie, ai bestiari, erbari e lapidari che si diffondono progressivamente nel Medioevo. Pur differenziandosi quindi dall’allegorismo scritturale, l’allegorismo “naturalistico” ed “enciclopedico” trova nella Bibbia una duplice ispirazione e legittimazione: nel modo di lettura allegorica, che dal Testo Sacro si estende alla “realtà”, e nella stessa parola sacra, che offre sempre il punto di partenza per la riflessione naturalistica. La volontà di conoscere la realtà naturale non ha infatti una legittimità autonoma, se non in quanto tale conoscenza si pone come interpretazione e comprensione migliore del Testo Sacro. Gli animali, le piante, i luoghi, le realtà naturali e geografiche citate nella Bibbia devono infatti essere interpretate allegoricamente per poter essere comprese, e di qui nasce la necessità e la legittimità della letteratura naturalistica.
E anche la vocazione per il meraviglioso letterario e iconografico, così intensa in questo periodo, ha nella Bibbia, se non il punto di partenza, certo un termine di confronto e di costante legittimazione. Non è casuale che pure la letteratura visionaria che vuole elaborare una rappresentazione della condizione oltremondana delle anime cerchi di costruire la propria struttura a partire dai modelli biblici del raptus paolino e dell’Apocalisse giovannea.
I modelli biblici e principalmente l’imitazione di Cristo sono naturalmente alla base anche della produzione agiografica, ma la scrittura della vita dei santi deve servire come offerta di modelli vivi e congruenti alle esigenze pastorali e educative, adattandosi quindi con prontezza alle diverse condizioni storiche e culturali.
E perfino il teatro, inizialmente osteggiato dagli scrittori cristiani in quanto espressione sia della tradizione pagana che della licenziosità popolare, diviene con il tempo uno strumento in cui il testo biblico, opportunamente trasposto, può essere messo in scena e trovare un nuovo mezzo di diffusione e penetrazione, mentre la stessa liturgia si configura sempre più nella dimensione di teatro sacro.