Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’esperienza rinnovatrice dell’umanesimo, che informa la cultura del Quattrocento, ha inizio nel cuore del secolo precedente, con la lezione geniale di Francesco Petrarca, seguito da amici e discepoli, fra i quali Giovanni Boccaccio, e soprattutto Coluccio Salutati, che trasmette le intuizioni petrarchesche alla generazione di Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni, Guarino Veronese, Poggio Bracciolini. Non solo nell’amore profondo per i libri e per le opere dell’antichità il grande poeta è il primo degli umanisti, ma anche nella scoperta dei codici antichi, a cominciare dal ritrovamento delle Lettere ad Attico di Cicerone che divengono subito un esempio vitale e portano lo scrittore a progettare le raccolte della propria produzione epistolare.
E invero la scoperta del mondo antico, che è una delle conquiste dell’umanesimo, si definisce anche propriamente come ritrovamento fisico di codici contenenti opere da secoli sconosciute o conosciute in forme parziali e incomplete. Un ruolo particolarmente brillante ha Poggio Bracciolini: tra le sue molte e importanti scoperte la più ricca di conseguenze è certamente quella dell’Institutio oratoria di Quintiliano, che circolava nel Medioevo in esemplari mutili. E il recupero non è solo antiquario, ma ha una funzione vitale in quanto ripropone testi che diventano presto centrali nel nuovo dibattito culturale. Quintiliano significa, ad esempio, una nuova idea della retorica e della parola comunicativa.
È il tempo, anche, in cui gli umanisti sono coinvolti nel governo dello Stato, tanto che si parla di “umanesimo civile” (Burckhardt, Baron, Garin), soprattutto per la Firenze repubblicana, in cui spiccano le figure di Coluccio Salutati, cancelliere per 30 anni a cavallo fra i due secoli, e poi di Leonardo Bruni, cancelliere fino quasi alla metà del secolo. E anche l’attività letteraria è segnata dall’impegno civile degli umanisti, che si dedicano soprattutto a opere storiografiche e politiche. Così pure la nuova visione del mondo classico ha un significato politico: la vita civile dell’antica Roma diviene un ideale repertorio di modelli di comportamento. È il primato della vita attiva, dell’etica e della politica.
Ma dopo l’indagine pionieristica tra i codici delle biblioteche, è la generazione di Lorenzo Valla e di Leon Battista Alberti a farsi l’interprete più matura e più lucida della classicità. Infatti all’identificazione “fisica” dei testi si accompagna quella della loro individualità e storicità: essi sono ora letti senza le tecniche allegoriche tipiche della cultura medievale, ma indagati nei loro significati originari. In questa nuova lettura è fondamentale l’apporto della filologia e della conoscenza della lingua latina classica secondo le sue forme storiche e gli usi propri degli autori. E la cura filologica per la corretta interpretazione testuale non impedisce, anzi affina, l’assunzione di questi testi come esemplari modelli di lingua e di stile, di pensiero e di azione. Attraverso la restaurazione dei testi e della lingua latina si pensa davvero a una rinascita della civiltà antica.
Lorenzo Valla è forse il più grande fra i protagonisti di questa fase di nuova filologia dell’antico, e i sei libri delle Elegantiae ne sono uno straordinario monumento. Ma i suoi strumenti filologici vengono applicati anche alla verità storica, come nel caso della dimostrazione del falso della Donazione di Costantino. E Valla giunge anche ad applicare i nuovi metodi filologici allo studio del testo sacro, aprendo la strada al grande Erasmo da Rotterdam.
Il Quattrocento segna anche la rinascita in Europa e in Italia della conoscenza del greco, ignorato perfino da Petrarca, grazie all’attività dei dotti bizantini. Dopo la presenza di Emanuele Crisolora a Firenze negli ultimi anni del Trecento, altri eventi fondamentali sono il concilio di Ferrara-Firenze (1438-1443) e la fuga degli intellettuali bizantini dopo la caduta di Costantinopoli (1453). Tra i “grecisti” che esercitano un’influenza decisiva è certo Giorgio Gemisto Pletone, che giunge a Firenze per il concilio e suscita tra gli umanisti fiorentini l’interesse e l’entusiasmo per Platone, le cui opere erano ancora quasi completamente ignote in Europa. Da questo magistero discende la grande stagione del platonismo fiorentino di cui Marsilio Ficino sarà poi l’acuto e fervido rappresentante.
Inizialmente l’umanesimo è un fenomeno italiano. Nel resto d’Europa, nel XV secolo, è forte la continuità nei confronti della cultura medievale che conosce una luminosa maturità, brillantemente definita “l’autunno del Medioevo” (Huizinga). E in certe situazioni privilegiate, come la corte di Borgogna, vi si aggiunge un senso acuto del rinnovamento, nell’arte, nella musica e nella letteratura. Ma quello che manca al “Rinascimento borgognone” è proprio il tratto distintivo dell’umanesimo: il nuovo rapporto vitale con i modelli antichi. Tuttavia, per impulso della riscoperta italiana della classicità, l’interesse per i testi antichi si accende in ogni parte d’Europa. Così nella penisola iberica già negli ultimi anni del Trecento il re Giovanni I d’Aragona colleziona libri antichi e promuove lo studio della letteratura classica, mentre lo scrittore catalano Bernat Metge , ammiratore di Petrarca, scrive Lo somni (Il sogno), che si ispira a Petrarca e Boccaccio, ma pure a Cicerone. E anche Parigi diviene un centro di studi sull’antichità, con un gruppo di umanisti riuniti intorno alle figure di Jean de Gerson (1363-1429), Nicolas de Clémanges , Jean de Montreuil .
Durante il Quattrocento l’esempio italiano influenza sviluppi nuovi in molte parti d’Europa, sia attraverso l’insediamento di umanisti italiani, come quello di Guiniforte Barzizza alla corte di Alfonso d’Aragona sia attraverso la formazione italiana di intellettuali che al ritorno nel Paese d’origine vi promuovono gli studi umanistici. Esemplari in questo senso sono il polacco Gregorio di Sanok , il tedesco Albrecht von Eyb, l’inglese Robert Flemming , l’ungherese Giano Pannonio. L’umanesimo si avvia a divenire un fenomeno europeo animato da una rete di fecondi scambi internazionali, come mostra l’esempio di Erasmo da Rotterdam, il più grande umanista della generazione fra XV e XVI secolo: di origine olandese, egli si forma a Parigi, in Italia e in Inghilterra, per poi dare alla sua azione culturale una prospettiva e una risonanza europee.
Umanesimo e letteratura volgare
Nei singoli Stati regionali italiani lo sviluppo della cultura umanistica e la rinascita della letteratura volgare hanno luogo con tempi, modalità, caratteristiche differenti. Ma un rilievo eccezionale nel panorama italiano ed europeo ha Firenze, che si pone all’avanguardia già nella prima metà del secolo ed è poi protagonista del rinnovamento della letteratura volgare che culmina con l’epoca laurenziana.
La situazione fiorentina vede anche uno stretto collegamento fra cultura umanistica, esperienze innovative nelle arti e nell’architettura e ripresa della tradizione letteraria volgare. Di questo momento, cui viene dato il nome di “umanesimo volgare”, sono esemplari la figure di Leon Battista Alberti e di Leonardo Bruni, con il loro impegno lucido e appassionato di scrittori, di promotori culturali, di difensori del volgare e della sua dignità. Alberti è una delle personalità più eminenti e versatili della cultura quattrocentesca. Architetto e trattatista di architettura, pittura e scultura, studioso di matematica, meccanica e ottica, umanista, conoscitore del latino e del greco, autore di opere latine, è anche autore di importanti testi volgari, in versi e soprattutto in prosa. E per il rilancio del volgare Alberti si impegna anche nell’organizzazione del “Certame Coronario”, una gara poetica in volgare intorno al tema della vera amicizia, apprestata a Firenze nel 1441. Anche Leonardo Bruni, conoscitore profondo del greco e traduttore in latino di opere canoniche di Platone e di Aristotele, autore di importanti opere storiche, biografo di Dante e di Petrarca, interviene in più occasioni in difesa della lingua e della letteratura volgare.
Ma l’età d’oro della Firenze quattrocentesca è certo quella di Lorenzo de’ Medici. Cresciuto in un ambiente già ricco di sollecitazioni culturali, con la presenza di umanisti come l’Argiropulo, Ficino e Cristoforo Landino, ma anche di poeti volgari come Luigi Pulci, il Magnifico mostrerà sempre un’attenzione acuta per il rapporto fra letteratura e politica. Rivelatore in tal senso è l’allestimento della Raccolta aragonese: la rivendicazione del primato della lingua e della poesia fiorentina è parte integrante della politica di prestigio mirante a far guadagnare a Firenze una parte sempre maggiore nello scacchiere politico italiano. E alla sensibilità politica di Lorenzo si deve anche il dialogo complesso ma vitale fra poesia dotta e poesia popolare.
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Al mondo laurenziano appartiene infine il Poliziano, uno dei maggiori intellettuali del secolo e forse il poeta più dotato. Autore di epigrammi, odi, elegie, poemetti in latino e in greco, professore nello Studio fiorentino, estensore di corsi universitari, di prolusioni in esametri e di laboriose dissertazioni di filologia, Poliziano è anche un rinnovatore della poesia volgare. La leggerezza, la naturale eleganza e l’apparente semplicità dei suoi versi sono in realtà il frutto di un lavoro intenso e raffinatissimo di rielaborazione di materiali poetici classici e volgari: la memoria dell’antico si fa poesia del presente, nostalgia di affetti e di fantasmi lirici.
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Nel policentrico paesaggio quattrocentesco, accanto a Firenze risplende la Napoli aragonese, che è un centro fertile di cultura umanistica già nella prima metà del secolo, quando intorno al Panormita nasce l’Accademia. E nella seconda metà del secolo Giovanni Pontano incarna la figura dell’umanista uomo di governo e insieme poeta di intimi affetti e di squisiti amori familiari in un latino duttile e musicale. Ma la Napoli aragonese vede anche affermarsi la letteratura volgare nella novellistica e soprattutto nella lirica, mentre con l’Arcadia di Sannazaro (1455-1530) si realizza una geniale versione umanistica del genere bucolico, che influenzerà per secoli la civiltà letteraria europea.
Tra le corti padane spicca intanto Ferrara, con la scuola umanistica di Guarino Veronese, e poi capace, con Matteo Maria Boiardo (1440/1441-1494), di dare nuova vita e dignità fantastica all’epos cavalleresco di Orlando e dei paladini, prima che Ariosto ne faccia un paradigma avventuroso del romanzo moderno.
Nel secolo dell’umanesimo laico anche la letteratura religiosa è quanto mai vitale. I due massimi predicatori del tempo rinnovano in modi diversi il genere omiletico: Bernardino da Siena attraverso un linguaggio semplice, chiaro e animato; Girolamo Savonarola attraverso l’intensità profetica e la forza eloquente delle immagini apocalittiche. Allo stesso modo nella Firenze medicea la letteratura religiosa ha i suoi esiti più sicuri nelle laudi e nelle sacre rappresentazioni.
In definitiva il Quattrocento letterario appare un secolo plurale e vivo, un laboratorio fecondo in cui, accanto alla riscoperta dei classici e all’elaborazione umanistica, rinascono anche le letterature volgari, per le quali “imitare” significa sperimentare codici e generi nuovi. In questo multiforme laboratorio maturano la coscienza e le forme molteplici della civiltà letteraria dell’Europa moderna. La morte di Lorenzo nel 1492 e la discesa di Carlo VIII nel 1494 segnano la fine dell’equilibrio fragile che aveva sorretto l’Italia delle signorie, rotto definitivamente dal nuovo potere degli Stati europei. Ma il modello culturale italiano diviene infine europeo.